Mi sto rileggendo di nuovo un bel libro, che consiglio caldamente a tutti coloro che amano davvero la fotografia: si intitola "Fotografia. Illusione o rivelazione?" e ne sono autori Francesca Alinovi e Claudio Marra. Si tratta di un testo dei primi anni '80, riedito nel 2006 dall'editrice Quinlan, ma le considerazioni e le storie raccontate sono senza tempo, e di grande valore soprattutto oggi, in piena éra digitale. Mentre Claudio Marra tratta la fotografia dal punto di vista della "rivelazione" (da Stieglitz in poi, passando per il fotogiornalismo), la Alinovi (purtroppo scomparsa poco tempo dopo l'uscita del volume) si concentra sui padri dell'illusionismo fotografico, come Rejlander e Robinson, e sul Pittorialismo, un genere fotografico che conobbe grande fortuna ai primordi della nostra arte, ma che poi venne pian piano abbandonato ed anzi rimosso. Perciò non deve stupire che dichiararsi neo-pittorialista risulti difficile a molti fotografi che invece neopittorialisti lo sono, eccome. Io per primo. Naturalmente non parliamo del pittorialismo più retorico e kitsch, quello che ricreava ad arte situazioni tratte dalla Bibbia o da episodi storici, con attori travestiti ed abili fotomontaggi. Qui parliamo di atmosfera, di sfumature, di emozioni. Credo che si dovrebbe e potrebbero recuperare alcune figure come Julia Margareth Cameron, che iniziò a fotografare in età avanzata (specie per l'epoca) cioè a 48 anni (intorno al 1863) e divenne in breve una delle artiste fotografe più apprezzate dell'età Vittoriana. Era famosa per l'uso pionieristico dello sfocato: amava infatti fare in modo che le sue immagini fossero tutt'altro che definite, attraverso un effetto morbido a volte molto accentuato che attirò ovviamente anche molte critiche. "Io credo in ben altro rispetto alla convenzionale topografia fotografica - vale a dire rappresentare un paesaggio nitido come una carta geografica e rendere perfino lo scheletro dell'immagine e delle forme senza quella rotondità e pienezza ... che solamente il fuoco che io uso può dare, la cosiddetta e vituperata - sfuocatura" scrisse la Cameron in Annals of My Glass House. Parole che sottoscriverei in pieno, e con me credo migliaia di fotografi che ancora oggi ricorrono a fori stenopeici, obiettivi ad una sola lente, o Toy Cameras per ottenere immagini in cui la scarsa definizione serve più a suggerire che a rivelare un soggetto, lasciando così spazio alla fantasia, cioé al Sublime, tanto caro ai Pittorialisti. Ne riparleremo...
Magazine Fotografia
Mi sto rileggendo di nuovo un bel libro, che consiglio caldamente a tutti coloro che amano davvero la fotografia: si intitola "Fotografia. Illusione o rivelazione?" e ne sono autori Francesca Alinovi e Claudio Marra. Si tratta di un testo dei primi anni '80, riedito nel 2006 dall'editrice Quinlan, ma le considerazioni e le storie raccontate sono senza tempo, e di grande valore soprattutto oggi, in piena éra digitale. Mentre Claudio Marra tratta la fotografia dal punto di vista della "rivelazione" (da Stieglitz in poi, passando per il fotogiornalismo), la Alinovi (purtroppo scomparsa poco tempo dopo l'uscita del volume) si concentra sui padri dell'illusionismo fotografico, come Rejlander e Robinson, e sul Pittorialismo, un genere fotografico che conobbe grande fortuna ai primordi della nostra arte, ma che poi venne pian piano abbandonato ed anzi rimosso. Perciò non deve stupire che dichiararsi neo-pittorialista risulti difficile a molti fotografi che invece neopittorialisti lo sono, eccome. Io per primo. Naturalmente non parliamo del pittorialismo più retorico e kitsch, quello che ricreava ad arte situazioni tratte dalla Bibbia o da episodi storici, con attori travestiti ed abili fotomontaggi. Qui parliamo di atmosfera, di sfumature, di emozioni. Credo che si dovrebbe e potrebbero recuperare alcune figure come Julia Margareth Cameron, che iniziò a fotografare in età avanzata (specie per l'epoca) cioè a 48 anni (intorno al 1863) e divenne in breve una delle artiste fotografe più apprezzate dell'età Vittoriana. Era famosa per l'uso pionieristico dello sfocato: amava infatti fare in modo che le sue immagini fossero tutt'altro che definite, attraverso un effetto morbido a volte molto accentuato che attirò ovviamente anche molte critiche. "Io credo in ben altro rispetto alla convenzionale topografia fotografica - vale a dire rappresentare un paesaggio nitido come una carta geografica e rendere perfino lo scheletro dell'immagine e delle forme senza quella rotondità e pienezza ... che solamente il fuoco che io uso può dare, la cosiddetta e vituperata - sfuocatura" scrisse la Cameron in Annals of My Glass House. Parole che sottoscriverei in pieno, e con me credo migliaia di fotografi che ancora oggi ricorrono a fori stenopeici, obiettivi ad una sola lente, o Toy Cameras per ottenere immagini in cui la scarsa definizione serve più a suggerire che a rivelare un soggetto, lasciando così spazio alla fantasia, cioé al Sublime, tanto caro ai Pittorialisti. Ne riparleremo...
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