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Pensieri sull’anniversario della morte di Giuni Russo

Creato il 14 settembre 2011 da Stregonestregato @ppstronzi

7 anni fa esatti, abitavo in uno squallido appartamentuccio a Cologno Monzese. Ricordo che facevo ritorno verso la mia provvisoria dimora dopo aver fatto la solita spesa settimanale all’Unes sotto casa. C’era lo stereo acceso e lo speaker comunicò in maniera abbastanza sbrigativa che la cantante Giuni Russo era morta da poco a causa di un tumore al cervello.

Pensieri sull’anniversario della morte di Giuni Russo

Ricordo che mi chiesi chi fosse, che il nome mi pareva di averlo già sentito, ma proprio non ricordavo che cantasse sta tizia. Forse l’avevo vista a Sanremo; ah sì era quella calva perché aveva il tumore, mi dissi. Poi lo speaker mi fece sapere che Giuni Russo era “quella che cantava un’estate al mare“.

Ah sì! Ora sì, beh allora sì.

“Bella canzonetta” pensai “non so perché mi ha sempre attirato molto, non sembra così stupida come potrebbe sembrare, però boh, forse stupida lo è davvero”. E finì .

Dal 14 settembre 2004 al 14 settembre 2011, sono cambiate un po’ di cose tant’è che dal sapere a stento chi fosse mi sono ritrovato ieri sera a commuovermi al concerto di Battiato sulle note de “l’addio” canzone di Giuni cantata dal maestro, credo in un suo personale e silenzioso tributo a ridosso dell’anniversario della morte dell’amica. È stato strano piangere per qualcuno che non conosci affatto: mi sono sentito un po’ stupido, ma non ne potevo fare a meno; le lacrime scendevano da sole.

Giuni Russo è l’artista italiana più sottovalutata e dimenticata del panorama nazionale. Musa di Battiato, le sue canzoni erano un pop sperimentale a prima vista superficiale ma in realtà molto profondo, proprio come gli anni ’80 di cui era geniale figlia. Ho cominciato a conoscerla lentamente dal 2004 al 2006: Una vipera sarò, Alghero e Good-bye, risuonavano spesso nel mio ipod negli interminabili viaggi in macchina a Napoli, nel traffico cittadino, con i miei amiciSoprattutto Good-bye mi colpiva parecchio: motivetto semplice, parole un po’ enigmatiche, sensazione di malinconia crescente ogni volta che l’ascoltavo. Non male, mi dicevo, mi piace. E non andavo oltre.

Poi la sua discografia ha cominciato a vegetare nel mio itunes: lentamente venivo a conoscenza delle sue canzoni in maniera più approfondita e lentamente comprendevo le varie sfaccettature dei suoi brani, l’importanza di alcuni testi, la poesia di alcune melodie. Poi è arrivato Blugino. Per caso ascoltò Mediterranea, una sera mentre ci preparavamo per uscire, e qualcosa si smosse in lui: sarà stata la voglia del sud, le sue radici, i ricordi del mare e della sua infanzia, ma qualcosa in quella canzone accese una passione fortissima di Blugino per Giuni.

Per mesi in casa nostra non si è ascoltato altro: appena poteva, Blugino metteva su i brani dell’artista siciliana arrivando a nauseare me e Babydoll che al momento viveva ancora con noi. Babydoll e i suoi controcanti, le risate per quella parola buffa che era Magonza in “Tappeto Volante” o l’emozione che ogni volta mi pervadeva (e mi pervade ancora) quando ascolto “Atmosfera“, canzone d’amore che mi lega a Blugino più di quanto lui immagini.


In realtà io adoravo quella sua ossessione. Aspettavo solo di associare a quelle canzoni malinconiche dei momenti di pura quotidianità. Giuni Russo era entrata propetentemente nelle nostre vite e da allora le sono diventato grato per tutte le sensazioni che la sua musica mi dona.

Ieri sera forse piangevo perché Giuni è ricordata da troppe poche persone; il resto (per chi la conosce) immagina che lei sia solo “Un’estate al mare”, ignorando lo splendore che ha prodotto negli anni ’80: Energie, per esempio, è puro capolavoro.

Pensieri sull’anniversario della morte di Giuni Russo

Piangevo per la sua voce, una vera meraviglia della natura che riesce a toccare le corde più profonde di una persona che, come me, è innamorata del passato e vive costantemente con la paura che il presente non sia all’altezza di ciò che è stato e, manie causate dalla difficile accettazione che il tempo trascorre a velocità delirante. Quella voce da gabbiano, tenera, forte, delicata, altissima che ti grida in faccia la sua disperazione in un mondo incancrenito dall’ambizione, successo, arrivismo, fretta, follia. Una voce che dolce si insinua a ricordarti quanto è bello essere amati, come l’attesa della morte si risolve in una quotidianità troppo spesso disprezzata e allontanata e bollata come monotonia, facendoci cascare in quel vortice senza fine di “una ricerca di qualcosa“.

Una voce che è stata spezzata prestissimo, che non potrò mai ascoltare dal vivo e che se l’avessi scoperta prima…

Una voce che sì, mi fa piangere, anche se ascoltavo quella di Battiato. Mi faceva piangere solo immaginandola.

Oggi celebro non solo una cantante, ma tutta una serie di emozioni che non ritrovo da nessun’altra parte.

 


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