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Pensieri sull’invisibile

Creato il 20 febbraio 2014 da Annaaprea55

L’idea che vi siano realtà invisibili è perturbante. Me ne sono accorta di recente parlando con un amico che mi ha detto, il tono era duro e sicuro, che per lui tutto ciò che esiste… esiste in un certa quantità e questa quantità può essere misurabile. Olè. A me sembra invece, gli ho risposto, che gran parte di ciò che esiste sia invisibile. Ho una quasi certezza che il visibile non corrisponda all’intera realtà ma la rifletta solo in parte.

LA REALTÁ È INAFFERRABILE. Se non abbiamo alcuna prova dell’esistenza tangibile di certe cose – i nostri amori, i nostri valori, le follie, le passioni – non possiamo però affermare con sicurezza che non facciano parte della nostra vita quotidiana, che non siano proprio questi ‘invisibili’ a guidarci e a spingerci nell’azione.

Certo, non sono realtà impiantate in me come un organo,  ma mi sono fatta l’idea che sono forse io stessa impiantata in queste realtà invisibili.

SEGNI INDECIFRABILI Quando guardiamo un paesaggio per esempio, sin dalla prima osservazione, entriamo nella sfera dell’invisibile. Ne ammiriamo le strade, le case, i torrenti, i vigneti ma in quell’insieme di strade, case, torrenti e vigneti vi sono tanti ‘invisibili’: il tempo che li ha prodotti, le generazioni che hanno lasciato i loro segni, gli uomini che, con il loro lavoro, ne hanno mutato le forme.

Insomma quel paesaggio noi lo cogliamo come una rete di relazione tra le cose, lo inseriamo cioè in una più vasta realtà cangiante e inafferrabile in cui si sommano e si elidono segni indecifrabili.

E questa più vasta realtà esiste ma non è misurabile, caro amico…

L’INTUIZIONE. È solo attraverso l’intuizione, una facoltà che di colpo ci fa vedere le cose dal di dentro, che cogliamo gli invisibili. Allo stesso modo, quando guardiamo un quadro o leggiamo i versi di una poesia, come in una rivelazione, cogliamo intuitivamente il significato di quella forma espressiva.
La compresenza di visibile e invisibile alimenta la vita. E dell’importanza dell’invisibile ci rendiamo conto solo quando la nostra capacità di cogliere l’invisibile ci abbandona. Come nel dolore prolungato di quello che la medicina chiama ‘il fine vita’, ma anche quando si spezza un filo e ci sembra di non avere più collegamento con l’invisibile. È capitato persino al Cristo di non sentire più l’invisibile e di gridare sulla croce Eloì, Eloì, lemà sabactàni? Padre padre perché mi hai abbandonato?

LE CITTÁ INVISIBILI DI CALVINO. Nel suo libro Le città invisibili (Mondadori, 1996, 176 pagine) Italo Calvino racconta di città fantastiche descritte da Marco Polo a Kublai Klan l’imperatore della Cina …e come le racconta? Non ne fa un’accurata descrizione geografica ma racconta quella molteplicità invisibile che trasmette l’essenza della città.

…Inutilmente, magnanimo Kublai, tenterò di descriverti la città di Zaira dagli alti  bastioni. Potrei dirti di quanti gradini sono le vie fatte a scala, di che segno gli archi dei porticati, di quali lamine di zinco sono ricoperti i tetti; ma so già che sarebbe come non  dirti nulla. Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato: la distanza dal suolo d’un lampione e i piedi penzolanti d’un usurpatore impiccato; il filo teso dal lampione alla ringhiera di fronte e i festoni che impavesano il percorso del corteo nuziale della regina (…) Di quest’onda che rifluisce dai ricordi la città s’imbeve come una spugna e si dilata. Una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano (…)

Che grande Calvino, che modo straordinario di parlare dell’invisibile, di aiutarci a vederlo, di sollecitarci a non mollare l’invisibile. I greci dei loro dei dicevano che essi in fondo non chiedono molto, soltanto di non essere dimenticati. E questo, credo, dobbiamo fare.



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