Perché «Quota 96»? Perché la quota 96, prevista dalla riforma pensionistica Prodi-Damiano, è il risultato della somma del requisito anagrafico e del requisito contributivo. Stando a tale parametro, nel 2012, poteva essere collocato a riposo chi avesse maturato 60 anni di età e 36 anni di contributi oppure 61 anni di età e 35 di contributi, o ancora, sic et simpliciter, 40 anni di contribuzione a prescindere dall’età. Purtroppo la quota 96 è stata troncata dalle cesoie della blindatissima riforma Fornero. Riforma che ha abolito le pensioni di anzianità dal nostro sistema previdenziale in un modo troppo drastico, così drastico che, nei primi tempi, stentavamo a crederci. Parlo dello choc dovuto al fatidico «scalone» che ha eretto un muro di 6 anni per i pensionandi e non ha lasciato scampo a quella gradualità che era consuetudine delle riforme precedenti e che consentiva, fino al giorno prima, la transizione più morbida da un sistema all’altro. Così fece Dini nel ‘95 quando negoziò con i sindacati la sua riforma pensionistica. Così ha fatto Cesare Damiano nel 2007 con il sistema delle quote.L’assenza di una gradualità nell’innalzamento dell’età pensionabile, decretata invece dal governo Monti,è figlia – diciamolo subito – di una insensibilità cieca e irriguardosa, di una disumanità, spiace dirlo, senza precedenti. Non si possono cambiare le regole del gioco a ogni piè sospinto e ignorare le aspettative di chi, alla soglia del meritato (e sospirato) riposo, se l’è visto soffiare dalle mani. Il governo Monti dovrebbe smetterla di anteporre i numeri agli esseri umani!
La ministra del Lavoro Fornero, membro di questo governo di tecnici anche professionalmente insigni, ha avviato una politica sociale di estrema durezza, ragionando in termini freddi e matematici. Riguardo alla sua riforma delle pensioni, difesa come un fortino, ha assunto posizioni categoriche, irremovibili, quasi fosse una sfida volta a raddrizzare il paese dei fannulloni assestandogli, al posto giusto, qualche robusto colpo. Questo tono da istitutrice vittoriana lo abbiamo riconosciuto quando ha asserito in tv che non era stata chiamata per «distribuire caramelle», o quando, qualche mese prima, non solo aveva annunciato sventure,versando lacrime, ma aveva contribuito a realizzare, facendole poi versare ad altri, noi compresi, le sventure annunciate. Con lei sembra avverarsi la terribile profezia di John Galbraith, e cioè che la politica è la scelta fra il disastroso e lo spiacevole.
La nostra nazione – già lacerata da tante sperequazioni e con il pericolo di una rivoluzione sociale, come ha denunciato qualche giorno fa don Mazzoleni – ha bisogno di governanti che ascoltino la voce dei lavoratori, che vadano incontro alle loro rimostranze con soluzioni adeguate, che rispettino il diritto alla loro progettualità di vita. L’atteggiamento sordo di Elsa Fornero e il suo dispotismo più tetragono vanno invece nella direzione opposta. Il trattamento discriminatorio nei nostri confronti ne è emblematica testimonianza. Spostare dal 31.12.2011 al 31.8.2012 la data cui far riferimento per maturare i requisiti utili a pensione non significa concedere privilegi, non significa regalare caramelle. Non è affatto così, egregia ministra, e lei dovrebbe fare ammenda invece di trincerarsi dietro un atteggiamento indisponente che non ammette repliche. Non sarebbe un male che rimeditasse la celebre esortazione di Spinoza: non ridere, non lugere, neque detestari, sed intelligere.
Lei non ha considerato le precedenti normative sulla previdenza scolastica e ha ignorato la specificità del nostro settore. Non ha voluto riconoscere che i ritmi della scuola – come chiarirà dopo di me Antonio Pane– sono scanditi per legge dall’anno scolastico e non dall’anno solare. Differire quindi la data al 31 agosto 2012, come noi reclamiamo, significa solo tener conto del fatto che i professionisti della scuola possono lasciare il servizio unicamente il 1 settembre di ogni anno. Non chiediamo favori personali, non chiediamo caramelle, ma quei diritti imprescindibili che sono sanciti dalla Costituzione. Quando la democrazia si guasta e fa corto circuito bisogna rimetterla in sesto. Ciò non può comunque avvenire solo a detrimento dei soliti contribuenti gravati da una pressione fiscale sempre più elevata. Di rigore non si può morire!
Il Presidente Monti ha qualificato astutamente il suo decreto «salva Italia» per arginare l’emergenza finanziaria e la recessione. Ha omesso però di dire che i veri salvatori dell’Italia, quelli che si sono fatti carico dei sacrifici economici del paese immolandosi sull’altare dell’austerità, quelli salassati dalle detrazioni quasi fino al prosciugamento, con i contratti bloccati e senza gli scatti di anzianità, quelli sono – come sempre – i lavoratori dipendenti. Non si attua una riforma previdenziale così corazzata senza il consenso dei sindacati e solo per ricavare elogi dall’Europa. Nessuno di noi ha mai creduto che i conti dell’INPS fossero dissestati. Le dichiarazioni rilasciate dal Direttore Mastrapasqua prima dell’attuale governo, volte a fugare il caos e la confusione sull’argomento, erano chiare. Tuttavia il nostro premier, refrattario anche lui al dialogo, ha sfruttato l’antica furberia machiavellica secondo cui governare è far credere. Sarà pure un luogo comune che ad esser toccati sono sempre le stesse persone. Ma è la verità. È molto più facile tartassare chi paga le tasse che tassare chi invece impunemente le evade. Si faccia pagare il costo della crisi ai grandi patrimoni e a chi non ha mai pagato! Perché far cassa con le pensioni anziché con gli aerei da guerra? Giacché cassa è stata fatta con questa riforma – e anche molto crudamente. Come spiegare i sacrifici chiesti al popolo quando i palazzi del potere conservano i privilegi, gli sprechi e le impunità?
Abbiamo subito troppe riforme pensionistiche negli ultimi anni perché si possa considerare la difesa della quota 96 un vantaggio corporativo. Un diritto rimane un diritto ed il nostro è stato violato. Senza scrupoli. Non è dunque un male mettersi a coltivare il proprio giardino. Anzi, se ognuno lo facesse per bene, il mondo intero sarebbe un gran bel giardino. Non c’è bieco tornaconto di contrada quando si porta avanti la tutela dei propri interessi. Se i propri interessi corrispondono a principi di giustizia e di equità, promuoverne la realizzazione va a beneficio di tutti. Ieri qualcuno ha lottato contro la TAV, oggi contro le penalizzazioni del comparto scuola, domani contro altre sopraffazioni. La cosa pubblica è l’interesse di tutti composto da quello di ognuno. Ha ragione Massimo Donadi a dire che l’equità, in questo governo, ce la vede solo Monti. L’esecutivo da lui presieduto, mentre ha sminuito l’importanza della concertazione, negando l’ascolto ai cittadini, ha rilanciato però, suo malgrado, lo spirito di solidarietà e l’unità sindacale. Il suo torto è di non aver fatto proprio quel precetto di Richelieu che per governare bene uno stato bisogna ascoltare molto.
Che dire, poi, del comparto scuola, che esce sempre più penalizzato sulla ribalta dei nostri giorni? Facendo un torto ai 3/4000 interessati che vi lavorano (fra docenti e personale Ata) non è stato leso, di fatto, solo il diritto di una minoranza, ma è stato perpetrato un attacco più generale alla onorabilità di tutto il settore. Perché di questo si tratta. È inutile gettarsi la sabbia sugli occhi per far finta di essere ciechi! Ancora una volta èl’istituzione scuola, nel suo complesso, ad essere trattata come la cenerentola del Bel Paese, segno evidente – lo ha sottolineato di recente Tullio De Mauro – che la centralità della cultura non è fra gli obiettivi di questo governo. Tale disattenzione e tale ignoranza non ci hanno comunque tolto la forza di ribellarci e di farci sentire. Dalla dignità calpestata è germogliato un orgoglio nuovo, dalla condivisione del torto subito la voglia di non lasciarsi schiacciare dagli eventi – come spesso accade quando la difficoltà divide e impera. Gli eventi, in realtà, li abbiamo dominati noi, battendoci prima sul web e poi venendo qui di persona a manifestare. Siamo profondamente indignati, è vero, amici e colleghi, ma non siamo affatto rassegnati. Siamo radici di una pianta che non crolla, diciamo con il poeta, e che solo il fulmine potrà schiantare.
Coloro i quali pensavano che il nostro caso sarebbe caduto nel dimenticatoio avevano fatto male i loro conti. Noi abbiamo scoperchiato la pentola e ne abbiamo fatto uscire le incongruenze. Abbiamo battuto in breccia ogni atteggiamento dubbioso e rinunciatario. Abbiamo innalzato questo palco dove campeggiano – sul fondale – le parole chiave del nostro Comitato. Non è forse vero che il coraggio conquista il mondo? È per questo che abbiamo rimesso in questione l’assurda pretesa del governo di spezzare in due l’anno scolastico. I lavoratori della scuola non possono andare in pensione, come gli altri, non appena maturano i requisiti. Non possono lasciare gli alunni prima della conclusione dell’anno scolastico. Come hanno potuto i nostri tecnici commettere un simile errore e una tale discriminazione? È il caso di dire che gli ingegnosi azzeccagarbugli interpellati hanno fatto una grama figura. Diceva Manzoni che il linguaggio è stato lavorato dagli uomini per intendersi tra di loro, non per ingannarsi a vicenda.
La nostra forza, come ho detto, non è scemata di un passo. Siamo cresciuti a tal punto da essere divenuti non solo legione ma anche un «faro» per molte altre categorie di lavoratori. Ci hanno scritto da Bari, da Milano, da altre città perché volevano ragguagli su come creare comitati civici per contrastare la riforma Fornero. Ci hanno contattato perché volevano emularci. Il nostro operato ha fatto proseliti e ha dato l’esempio. Un esempio impensabile solo quattro mesi fa. Di questo dobbiamo essere grati a Manuela Ghizzoni e a Mariangela Bastico,le paladine di sempre e le nostre stelle polari.
Alla ministra Fornero – e mi avvio alla conclusione – chiediamo oggi non solo di abbattere lo spread, che sale e scende a piacimento degli speculatori, ma di correggere quell’errore e quella discriminazione, di fare un provvedimento ad hoc volto a sanare la dimenticanza contenuta nel famigerato articolo 24 del decreto «salva Italia», articolo dove non è difficile scorgere – lo ha visto anche Giuseppe Fioroni – chiari «profili di anticostituzionalità». Per questo abbiamo intrapreso le strade dei ricorsi al TAR e al Giudice del Lavoro. Per denunciare un eccesso di potere e far scendere a più miti consigli la «lady di ferro». Questa riforma non può e non deve essere ineluttabile. Prenda esempio, ministra Fornero, dalla sua collega Cancellieri, che ha ipotizzato un approccio politico alternativo alla sua fanatica rigidità. Ricordi che solo dubitando si perviene alla verità. Ascolti, con maggior ragionevolezza, la fiera voce del mondo dell’educazione, metta da parte ogni prevenzione illiberale e rispetti l’ordine del giorno n. 79 accolto dal governo il 26 gennaio scorso. Non aggiunga all’errore l’orrore di uno spergiuro e soprattutto non temporeggi più. Sappia che alla nostra giovane età – anche se non possiamo prevedere ciò che accadrà – non abbiamo paura di nulla. O dobbiamo forse dire – scomodando il buon vecchio Esiodo – che è stolto essere giusti quando chi è ingiusto ottiene migliore giustizia?
Concludo il discorso dicendo a voi tutti: grazie di essere qui, risoluti e tenaci, grazie di manifestare su questa gloriosa piazza che è stata teatro di storici eventi, grazie, insomma, di gridare chiaro e forte che quello che rivendichiamo – e gridiamolo insieme – è un diritto, non un privilegio.
( di Giuseppe Grasso Discorso pronunciato in occasione della manifestazione del Comitato Quota 96 Affari Italiani)