L’eccesso di spesa pensionistica influisce negativamente sul soddisfacimento dei bisogni primari. E questo va a danno dei giovani in cerca di prima occupazione, delle donne senza lavoro e delle madri sole, dei disoccupati di lungo periodo, dei disabili, degli anziani disagiati, degli emarginati e dei poveri. Previdenza e assistenza peseranno sempre più sulle spalle dei cittadini.
L’ultima riforma delle pensioni ha cercato di fermare il dissesto del sistema pensionistico, sul quale pesa il problema demografico, dato dal crollo della natalità e dall’aumento della vita media. Insomma, i giovani lavoratori devono “sostenere” coloro che sono andati in pensione e che vivono più a lungo. Oggi il numero dei pensionati è pari a quello dei lavoratori che versano contributi, e la situazione è destinata a peggiorare per i prossimi anni, con il numero dei pensionati che continuerà a salire. Il sistema è in tilt. Come si è arrivati a questa situazione che peserà molto sulle generazioni future? Vediamo i perchè della crisi.
Durante i primi quaranta anni, l’Italia ha fatto una politica previdenziale basata sulla
assoluta fiducia nel suo futuro economico e demografico. Questo ottimismo era rappresentato dalla crescita del Pil (Prodotto interno lordo – valore di tutti i beni e servizi finali prodotti) e della classe lavoratrice. Per fare un esempio, nel 1960 la spesa pensionistica era pari al 5% del Pil, nel 1994 aveva già raggiunto il 15%. E la popolazione italiana continua a invecchiare. Si calcola che nel 2025 la classe di età più numerosa sarà quella dei sessantenni. Se da una parte si assiste all’aumento della speranza di vita, dall’altra c’è una riduzione della natalità: nel 1960 era del 18,1%, oggi è dell’8,5%.
Purtroppo tutto ciò significa che l’attuale generazione di lavoratori e quelle che verranno, dovranno sostenere il sistema delle pensioni. Per questo motivo si sono succedute nel tempo le riforme previdenziali che determineranno una riduzione degli importi mensili delle pensioni, non tanto per chi è già fuori dal mondo del lavoro, quanto per i più giovani. Se venti anni fa la pensione era riferita all’80% dello stipendio, oggi questa percentuale può scendere al 60% e in futuro può arrivare anche al 40-50%. Il rischio è che i futuri pensionati un giorno si ritroveranno con un reddito mensile che non può garantire il tenore di vita della famiglia. All’aumento dell’incertezza corrisponde l’aumento della necessità di integrare la previdenza pubblica.
L’introduzione dei fondi pensione ha finalmente dato la possibilità ai lavoratori di avere uno strumento di integrazione delle pensioni pubbliche, che può magari essere accompagnato a qualche ulteriore investimento avente una funzione previdenziale.