Pensosamente noioso

Creato il 23 marzo 2015 da Annalife @Annalisa

la volpe fugge per la noia

Letto a fasi alterne: la prima con attenzione e un filo di angoscia, influenzata probabilmente dai tragici fatti di Charlie Hebdo; poi sempre più annoiata dal protagonista, dalle sue paturnie, dalle sue citazioni, dagli squarci di tesine e saggi letterari con i quali è farcita l’ultima parte; infine, in generale, molto perplessa davanti a una scrittura non particolarmente brillante o piacevole e, in qualche caso, persino scorretta (IMHO).
Arrivata alla fine, mi rendo conto che la mia sensazione di allarme islamico, ancora oggi tanto cavalcata, sento, dai nostri giornalisti opinionisti politicisti, è dovuta più alle descrizioni impaurite dei primi capitoli che a reale ed evidente pericolo. Insomma, è, più o meno, la preoccupazione che potrebbe derivare dal sapere che un vostro amico abita nelle banlieu e che proprio lì stanno bruciando automobili o serrande di negozi. Tolto questo, ci si accorge che si può sopportare tutto (e magari è questo un merito della storia narrata: la sopportazione che scivola nella sottomissione).
In tutto questo il protagonista è tutto ciò che di poco sopportabile potreste immaginare: cattivo collega, scarso intellettuale (monomaniaco), promiscuo tombeur de femme in crisi perenne di astinenza o amorosa, accidioso, irrisolto, lunatico, confuso, consapevole di tutto ciò e pronto a dirvelo in ogni modo, a spiegarvelo il più precisamente possibile.
Sembra quasi logico che, nel disordine esistenziale, l’ex-professore universitario (licenziato perché non islamico) cominci a osservare con interesse le due strade che gli si parano davanti, e che, guarda caso, sono le stesse che si pararono davanti all’oggetto dei suoi lontani studi ed esegesi: Huysmans, autore francese di “A ritroso” e creatore del personaggio di Desesseint nel 1884, si trovò a scegliere tra la morte (suicidio) e la conversione alla religione (allora, quella cattolica). Sono gli stessi pensieri che attraversano a più riprese le giornate senza scopo di François, tra incontri sentimental-sessuali, un amore perduto e la frequentazione con i nuovi intellettuali francesi sottomessi, appunto, al nuovo corso islamico (da scoprire come questo nuovo corso si impone…).
Vedo che ho passato quasi del tutto sotto silenzio le numerose allusioni o le precise descrizioni sessuali (il sesso, sia pure squallidissimo, è l’unico giochino consolatorio che rimane alla civiltà occidentale): segno che, da una parte, le scene di sesso non son poi così memorabili; dall’altra che, sia pure a tratti fastidiose (della serie: eh, vabbè, dai, abbiamo capito, vai avanti), non guastano poi troppo la lettura.
Infine, la scrittura: tra un uso quasi sciatto della punteggiatura che semina virgole come se grandinasse, anche quando sarebbe necessario una pausa diversa per il povero lettore, e errori di sintassi che scuotono i rapporti logici tra le frasi, direi che non è andata troppo bene. Solo due esempi:
“Lei lavorava al servizio marketing di un operatore di telefonia mobile, guadagnava molto più di lui, ma lui aveva la sicurezza del cosiddetto posto fisso, avevano comprato un villino a Montigny, avevano già due figli, un maschio e una femmina, era l’unico tra i miei ex-compagni di università che si fosse impegnato in una vita familiare normale, gli altri vagavano tra un po’ di Meetic, un po’ di speed-dating e molta solitudine, l’avevo incontrato per caso in metropolitana e mi aveva invitato a casa sua il venerdì successivo per un barbecue, sarebbero venuti dei vicini, ‘gente della facoltà’, mi aveva avvisato”.
Ammetto che avevo resistito fin quasi alla fine, ma alle ultime tre, quattro frasi buttate lì come l’elenco della spesa mi è venuto il latte alle ginocchia.
“Avevo voglia di toccarlo ma mi trattenni a stento”: ora, se aveva voglia di toccarlo ma si trattiene, andrebbe bene (cioè: avevo voglia di toccarlo eppure non l’ho fatto); mentre “trattenersi a stento” implica una bella e semplice coordinazione: “avevo voglia di toccarlo e mi trattenni a stento”.
Qualche intuizione sull’esistenza e sull’amore, la descrizione soffocante dell’Università e dell’ambiente di lavoro, l’occhiata ben poco benevola sul mondo occidentale e su ciò che non dà più all’uomo, non salva l’impressione di profonda noia di un libro che non è né visionario, né terrificante, ma che dà atto che, con poco stupore e una buona dose di indifferenza, ognuno di noi potrebbe in fondo abbandonarsi con piacere alla sottomissione.

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