Un articolo di Francesco Cundari mi suggerisce la seguente riflessione.
Nelle democrazie maggioritarie può capitare che un partito abbia la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento senza avere la maggioranza assoluta dei voti; può succedere addirittura che, per ragioni demografiche, prenda meno voti del secondo partito.
Da nessuna parte la maggioranza relativa è una condizione sufficiente per prendersi tutto. In Gran Bretagna lo stesso partito deve arrivare primo nella maggioranza assoluta dei collegi uninominali. Se non succede, e ultimamente non è successo, non si ricorre a un turno di ballottaggio; si prende atto che un governo di partito non è possibile e se ne fa uno di coalizione. In Germania la legge elettorale altera la rappresentatività proporzionale del Bundestag, favorisce i partiti maggiori; non ha tradotto il 15,8% dei voti avanzati alle ultime elezioni federali in seggi del primo partito.
O dai un premio, implicito nei sistemi maggioritari, o metti uno sbarramento in quelli proporzionali. Se metti il premio, non puoi negare il diritto di tribuna ai partiti minori. Se neghi il diritto di tribuna ai piccoli partiti, non puoi premiarne oltremodo uno che rappresenta pur sempre una minoranza di elettori. In democrazia tertium non datur.
Le ragioni internazionali che tenevano intrappolati gli ex democristiani di sinistra nel partito di Andreotti e Forlani erano le stesse che tenevano il PCI all’opposizione. La conventio ad excludendum valeva un premio di maggioranza. Non era dunque il proporzionale a bloccare il sistema. Non è stato il maggioritario a sbloccarlo nel 1994. E non è sul modo di declinare lo stesso principio che renziani e bersaniani litigano. La sera del voto non si deve sapere chi ha vinto, si deve sapere che ha vinto Renzi. Con l’Italicum, stante la bassa affluenza alle urne, sarebbe difficilissimo batterlo. Solo il trasformismo dei suoi parlamentari potrebbe riuscirci. A meno che Matteo, dopo la pentola, non si ricordi di fare il coperchio.