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Per chi si scrive?

Da Mcnab75

Per chi si scrive?

Post ispirato da alcuni dubbi che tormentano un caro amico, che però rimarrà anonimo.
Continuiamo a flagellarci le gonadi con discussioni pro e contro regole e manuali, pro e contro ebook, pro e contro questo o quel blogger. Tutto ciò ci fa  perdere troppo spesso di vista una domanda basilare per chi coltiva questa passione: per chi scriviamo?
Come ho detto in altre occasioni, dedicarsi a tale attività creativa ha più lati negativi che non positivi. Il fatto che quell’articolo sia il più letto di sempre, qui su Plutonia, vuol dire che altri si pongono questo problema.
Eppure in molti (forsi troppi?) sentono il bisogno di scrivere e condividere racconti, romanzi, poesie etc etc.
Diciamo anche che ci sono più scribacchini che non lettori forti, e questo è un dramma. Ma non perdiamoci per strada e torniamo alla nostra domanda:
Per chi scriviamo?

La risposta più abusata: Scriviamo per noi stessi.
Vero fino a un certo punto. E’ una spiegazione incompleta e che spesso serve per ammantarci di un’umiltà un po’ posticcia. Io non ho mai inteso la scrittura come un’attività masturbatoria. Senza pubblico, che può essere anche di una sola persona, non siamo niente.
Scriviamo perché ci piace farlo. Questa è una variante già più onesta. Scriviamo perché è divertente. Di quel divertimento che altri provano a giocare a calcio o a suonare la chitarra. Ma queste risposte sono incomplete.
Scriviamo per divertire un pubblico che condivide i nostri gusti.
Ecco, questa è per me una spiegazione ancora più valida. La molla che mi fa svegliare alle 8.00 di domenica mattina per completare un racconto, al posto che dormire beatamente, è tutta qui. Raccontare storie con la speranza che qualcuno con interessi e gusti simili ai miei possa apprezzarle.
Nessun demone interiore da esorcizzare (se non in modo totalmente inconscio), nessuna missione divina, nessun desiderio di successo o fama (ahahahah… ehm). 

Per chi si scrive?

E allora sì: il venir meno di un pubblico disposto in primis a divertirsi crea un sacco di guai. E’ da qualche anno che noto che molti lettori forti sembrano far tutto fuorché godersi questa passione. C’è chi è sempre pronto con la matita rossa, che pure ci sta, per segnalare ciò che non gli è piaciuto. Mai il contrario. Non fornire mai un feedback positivo nemmeno per sbaglio, dando erroneamente per scontato che uno scrittore – piccolo o grande che sia – si accontenti di trastullarsi con le statistiche di download o di vendita. Questa è una cosa davvero scoraggiante. Se una cosa vi è piaciuta, con tutti i mezzi che il Web 2.0 ci offre, social network in primis, perché non farlo sapere? Perché solo i feedback negativi, sulla cui liceità nessuno obietta, sono considerati indispensabili e onesti?
Questo è uno degli altri grandi dilemmi che gravano sul settore. Che tra l’altro corrisponde a un’apparente – o almeno spero che sia tale – calo di entusiasmo, sostituito da una saccenza dilagante. Che pare sia cool, ma che alla lunga, vi dirò, annoia.

Ma questo non vuole essere un articolo di lamentele, bensì dare una risposta al mio amico in crisi.
Allora per me la risposta completa alla domanda “Per chi si scrive?” è questa:

Si scrive per divertire un pubblico che condivide i nostri gusti, selezionandolo man mano, fino a ottenere un ideale (anche se non perfetto) rapporto tra autore e lettori.

Il che implica che:
- Non si può piacere a tutti.
- Non dobbiamo farci abbattere da chi ci tiene a ribadire capziosamente che non valiamo nulla.
- Occorre relazionarsi con quei lettori i cui pareri arricchiscono effettivamente il nostro percorso di scrittori.
- Bisogna mantenere una dignità minima indispensabile. Lo scrittore non è un esecutore, un maggiordomo. Men che meno un bersaglio. Essere disponibili al dialogo non vuol dire porsi sempre e comunque al livello dei lettori, specialmente quelli casuali o scortesi.

Sbaglierò, ma la vedo così.


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