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Per chiarirci le idee: Prof. Roberto Renò

Creato il 04 febbraio 2014 da Ritacoltellese

IL DECRETO BANKITALIA: DATI OGGETTIVI E PROPAGANDA

Il decreto sul nuovo Statuto della Banca d’Italia riguarda una questione meramente tecnica, piuttosto complicata anche per gli addetti ai lavori. La sua conversione in legge, comunque la si voglia vedere, riforma una materia sulla quale restavano in sospeso numerose incongruenze da quasi 80 anni.Cerchiamo di mettere un po’ ordine: anzitutto, la Banca d’Italia è un istituto di diritto pubblico, che opera le sue valutazioni di politica monetaria in maniera indipendente; possiede un capitale sociale, diviso in quote, che prima della riforma era di 156mila euro, e ora col decreto è diventato di 7.5mld. Poiché queste quote non sono scambiate liberamente sui mercati, il loro valore viene stabilito per legge. Possedere le quote vuol dire avere diritto ai dividendi che la banca distribuisce ogni anno (in misura non eccedente al 6% del capitale, cioé pari a 450 milioni, e solo a patto che la banca d’Italia non abbia perdite sulla riserva), che sono i proventi derivati dalla propria attività finanziaria (ad esempio, i rendimenti sui titoli in cui si decide di investire la riserva). Chi possiede le quote non può, in alcun modo, influenzare la politica monetaria della Banca d’Italia, così come ogni sua azione pubblica; ha diritto di voto all’assemblea dei partecipanti e può decidere, a maggioranza, su politiche di controllo societario (approvazione del bilancio, alcune nomine), e alla ripartizione dell’utile netto. L’assemblea dei partecipanti tramite quote ha in realtà un ruolo del tutto secondario: l’unica funzione pubblica rilevante sono le modificazioni dello Statuto stesso, che comunque devono essere proposte dal Governo.VISCO, TERZO GOVERNATORE LAUREATO IN ECONOMIA ALLA SAPIENZALa legge prevede anche la partecipazione in quote non può essere superiore al 3%;  poiché in questo momento, per alcune banche, essa è largamente superiore, si fissa un tempo di 36 mesi per potersi disfare delle quote in eccesso, cioé di venderle sul mercato ad altri partecipanti a cui la Banca d’Italia riconosce il diritto di possederne. La Banca d’Italia stessa si fa garante dell’operazione, in quanto acquisterà le quote in eccesso per detenerle temporaneamente. E’ importante notare che, garantendo un rendimento fino al 6%, ed essendo gli utili di Banca d’Italia relativamente stabili, è praticamente la stessa cosa (se il capitale è stato ben valutato) dal punto di vista finanziario detenere la quota di partecipazione (il che garantisce i dividendi annuali) o venderla al prezzo stabilito (che garantisce un flusso immediato): quindi, l’eventuale acquisizione temporanea delle quote da parte della Banca d’Italia non comporterebbe per essa alcuna perdita né guadagno. Notiamo infine come non vi sia alcun esborso da parte dello Stato, mentre ci sono dei vantaggi per le Banche che già possiedono quote.Prendiamo il caso di Intesa Sanpaolo, che ne possiede in numero maggiore (il 30% circa): con la rivalutazione, il valore di bilancio delle quote passa da 50mila euro circa (valore del 1936) a 2.2mld circa. Si tratta di una plusvalenza del tutto teorica, in quanto il valore di queste quote era già contabilizzato a bilancio a valori di mercato, e non certo al valore del 1936, e in quanto non viene iniettato denaro nelle casse delle Banche (men che mai, denaro dei contribuenti). Intesa sarà costretta a vendere entro 36 mesi il 25% delle quote, e questo sì sarà denaro liquido che verrà reperito sul mercato da chi vorrà acquistarle e sarà accreditato da Banca d’Italia per poterlo fare. Si aggiunga che lo Stato, nel breve periodo, ha solo da guadagnarci, in quanto tali plusvalenze vengono tassate.Quindi, il punto focale della questione è “solo” l’importo della rivalutazione, cioé i 7.5mld. Perché non venga avvantaggiato nessuno, è importante che tale valore sia effettivamente congruo. Questa è una questione molto difficile da dirimere; un semplice calcolo con un dividendo da 50 milioni (la media degli ultimi 15 anni) ad un tasso del 3% porta a un valore teorico di 1.7mld, ma è chiaro che con questo decreto si intende aumentare i dividendi della Banca d’Italia e quindi il valore reale delle quote. Sarebbe anche pericoloso aver sottostimato il valore delle quote: in tal caso, comprarle (o possederle) potrebbe rappresentare un ottimo affare. Ci si affida, su questo, al lavoro di un comitato di esperti, e si spera che abbia operato nel migliore dei modi. Ho studiato il documento, redatto da stimatissimi colleghi ai vertici della carriera accademica, e ho pochi dubbi che sia andata diversamente. La premessa teorica del calcolo riportata, prima delle specifiche tecniche, è: “Per essere equa, la riforma non deve incidere sul valore delle quote dei partecipanti”.Si potrebbe anche discutere sull’opportunità che la Banca d’Italia divida il proprio capitale sociale con enti privati. Ma questo punto sarebbe un po’ bizzarro, visto che è quello che è successo fino ad oggi nel silenzio generale, con quote singole che potevano arrivare fino al 30%. Alla fine della fase transitoria, nessun possessore di quote potrà superare più del 3%, rendendo molto difficili possibili ingerenze, già peraltro tassativamente vietate dallo Statuto della BdI. Quando è stato costituito il capitale sociale in precedenza (1936!), il principio era che queste quote dovevano essere possedute da istituti pubblici, e le banche a quel tempo lo erano. Poi, piano piano, sono diventate private, e proprio per questo si è deciso di sanare la situazione. La legge individua, in questo senso, un compromesso: si lascia che i privati (sub iudice della Banca d’Italia) possano partecipare, ma in misura molto piccola.Perché si protesta, dunque, per una questione così tecnica? Perché si parla di “regalo” alle banche? Sarebbe ragionevole protestare (anche se non in queste forme) se si adducessero dubbi concreti, avvalorati da analisi approfondite da parte di esperti, sul valore stimato di 7.5 mld. Ma la ratio della legge non appare tale da far gridare allo scandalo. Si potrebbe discutere sull’opportunità di distribuire dividendi provenienti dallo sfruttamento di un bene pubblico (la moneta) a privati, ritenendo che sarebbe più opportuno che i partecipanti alle quote della banca d’Italia siano esclusivamente di natura pubblica. In tal senso si era indirizzata la legge sul risparmio del 2005, che auspicava la ri-pubblicizzazione della BdI con meccanismo di delega della durata di tre anni.  Tuttavia, ritengo comunque legittimo ciò che è stato fatto, anzitutto perché la delega è ormai scaduta, e poi perché se si voleva effettuare la rivalutazione in ogni caso si sarebbero dovute compensare le banche che già possedevano le quote, con esborso di denaro pubblico che di questi tempi è difficile. In ogni caso, può questa essere una questione degna di ostruzionismo parlamentare? La protesta radicale è un bene prezioso che non può essere sprecato, altrimenti perde rapidamente di valore.ON: 30 GENNAIO 2014| BY: | UNDER: SENZA CATEGORIA| COMMENTI:18| TAGS:Like this post? Share it with your friends:
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  1. Per chiarirci le idee: Prof. Roberto Renò30 gennaio 2014 at 21:36 · RispondiSono perfettamente d’accordo!
    Analisi corretta, lineare ed essenziale: la vicenda esposta è emblematica della condizione di ignoranza, non solo politica, che caratterizza i membri del parlamento italiano.
  2. Per chiarirci le idee: Prof. Roberto Renò30 gennaio 2014 at 22:37 · RispondiDiciamo che questo genere di cose sarebbe il caso di affrontarle in modo molto più ponderato e con un orizzonte più ampio, invece che buttarla in decretazione d’urgenza. È già anomalo dal punto di vista legale il fatto che le quote di partecipazione (attenzione, non azioni) siano possedute da istituti di credito privati i quali, nonostante non abbiano poteri di controllo, sarebbero pur sempre i soggetti sui quali la Banca d’Italia è titolata a vigilare. Sul Sole 24 Ore sono apparse delle proposte di Alberto Quadrio Curzio (proposta “Bankoro”) che prendono in considerazione l’idea di rivalutare le riserve auree, tassarne la rivalutazione e ottenere un gettito (come è stato fatto con la rivalutazione del capitale) tale da permettere allo Stato di riacquistare l’intero capitale tramite la cassa depositi e prestiti, rendendolo così pubblico. Nello stesso tempo le banche “ci guadagnerebbero” vendendo le partecipazioni di cui non si fanno un granché (non è che rendano chissà che) e otterrebbero un po’ di liquidità per ricapitalizzarsi…
    Insomma, c’è n’è da discutere. E finora l’assetto di questo sistema è sempre stato gestito tra mille forzature e vaghezze; se non si inizia a esprimere una visione lineare e trasparente su queste cose, saranno sempre la demagogia, il complottismo la disinformazione a farla da padrone.
  3. Per chiarirci le idee: Prof. Roberto Renò31 gennaio 2014 at 10:25 · RispondiMa tutto questo non avrebbe meritato una discussione ampia e approfondita ?
    Non poteva essere calendarizzata con tempi e modi regolari ?
    Perché inserirla di soppiatto (vi ricordo che se non fosse stata segnalata e combattuta dal M5S, sarebbe passata nel silenzio e nell’inconsapevolezza generale.
    Già questo modo di procedere fa scattare pesantissimi sospetti.
    Perché abbinare questo tema così forte e delicato al carrozzone propagandistico dell’IMU ?
    Perché si arriva al decreto legge pure per la tassa sugli immobili ?
    Se dietro tutto questo non c’è un piano preordinato e alquanto raffazzonato cosa c’è ?
    Il M5S sta cercando di fare la sentinella in questa situazione di caos istituzionale e, come la storiella del dito e della luna, viene deprecato per aver gridato “allarme” ..
    Queste giustificazioni tecniche non mi convincono affatto sul piano delle procedure parlamentari. Se c’era una reale ragione tecnica l’avrebbero dovuta presentare alla luce del sole non nasconderla dentro una decretazione d’urgenza.
    La politica sta raggiungendo livelli infimi e il senso critico della cittadinanza sta sbiadendo sempre più..
  4. Per chiarirci le idee: Prof. Roberto Renò31 gennaio 2014 at 10:28 · RispondiProfessore solo un piccolo chiarimento sulla distribuzione dei dividendi da parte di Bankitalia che nel suo articolo rimane un po’ nebuloso, ma che ha rilevanza fondamentale per le casse dello Stato.
    Il meccanismo è semplice, possono essere distribuiti dividendi ai detentori di quote fino al 10% del valore nominale del Capitale più una quota per una somma non superiore al 4% dell’importo delle riserve(per prassi viene distribuito lo 0.5%), dopo gli accantonamenti a riserva che possono arrivare fino al 40%(come da statuto) l’ammontare restante va allo Stato.
    Si capisce bene la differenza tra distribuire il 10% di 156000 euro e lasciare allo Stato il residuo(dopo gli accantonamenti a Riserva) e invece calcolare questa quota di utile da distribuire agli azionisti su un valore di 7,5 miliardi, riducendo significativamente la quota destinata alle casse pubbliche. Questo, a differenza della tassazione sulla plusvalenza che è un introito una-tantum, produrrà effetti negli anni a venire. Suona molto come l’ennesima ipoteca sul futuro per una boccata d’ossigeno nel presente.
  5. Per chiarirci le idee: Prof. Roberto Renò31 gennaio 2014 at 11:01 · RispondiComplimenti per la chiarezza e per il bell’articolo. Mi rimane un dubbio su una questione molto importante: quali sono le conseguenze in caso di fuoriuscita dell’Italia dall’Euro? Che significa avere partecipazioni private al capitale e battere moneta per lo Stato?
  6. Per chiarirci le idee: Prof. Roberto Renò31 gennaio 2014 at 11:57 · RispondiScusi professore, ma dalla sua analisi emerge che per ottenere nell’immediato un introito sottoforma di tassazione sulla plusvalenza, la Banca d’Italia in futuro pagherà ai soci titolari delle partecipazioni somme esorbitanti sottoforma di dividendi. In pratica l’aumento della “rendita” perpetua è di circa 350mil lordi annui. Per sempre! Se non è un regalo è un operazione finanziaria suicida. La percentuale di dividendi andava semmai drasticamente diminuita, non aumentata. Che giustificazione ha l’aumento? Nessuno è in grado di spiegare perchè la percentuale sia aumentata. Poi l’impegno programmatico della Banca d’Italia a comperare le proprie partecipazioni dalle banche che non scendessero sotto la quota del 5%, usando soldi pubblici, se venisse attuato sarebbe vergognoso!
  7. Per chiarirci le idee: Prof. Roberto Renò31 gennaio 2014 at 14:20 · RispondiBeh si potrebbe forse obiettare che se la rivalutazione aspettava dal 1936, era proprio necessario usare la decretazione d’urgenza?
  8. Per chiarirci le idee: Prof. Roberto Renò31 gennaio 2014 at 16:21 · Rispondinon si spiega cosa avverrà delle riserve auree di Bankitalia né chi saranno i nuovi proprietari.
  9. Per chiarirci le idee: Prof. Roberto Renò31 gennaio 2014 at 18:42 · RispondiChi avra’ ragione??http://noisefromamerika.org/articolo/quote-bankitalia-solita-porcata
  10. Per chiarirci le idee: Prof. Roberto Renò31 gennaio 2014 at 20:30 · RispondiRispondo a Daniele e agli altri sui dividendi:
    prima della riforma il dividendo massimo era stabilito in una frazione del capitale (praticamente zero) più il 4% delle riserve. Col nuovo statuto, questo limite è stato abbassato al 6% del nuovo capitale. È stato quindi modificato il tetto massimo (peraltro inferiore, visto che il nuovo capitale è molto meno delle riserve), non deciso l’ammontare dei futuri dividendi, sui quali ogni previsione mi pare azzardata.Ad ami:
    non mi sembra che la riforma abbia modificato il ruolo delle riserve auree.A Marco:
    il pezzo di noisefromamerika è molto ben sostanziato e si sofferma sulla opportunità che le quote di Bankitalia siano di proprietà pubblica o privata, propendendo decisamente per la prima ipotesi. Su questa questione io preferisco sospendere il giudizio perché vi sono pro e contro per entrambe le opzioni. Ritengo legittimo sia il punto di vista del pezzo che quello del decreto.
  11. Per chiarirci le idee: Prof. Roberto Renò31 gennaio 2014 at 22:22 · Rispondima cosa significa che la BdI si fa garante dell’operazione e acquisterà lei stessa le quote in eccesso per detenerle temporaneamente? Con quali soldi coprirà tale garanzia? E se per assurdo non subentrassero altri soggetti?
    Scusa, ma se vuoi sanare una situazione dovuta alla privatizzazione delle banche, prima dovresti rifarti sulle banche stesse delle anomalie che si son venute a creare, non continuare a garantirle.
    Mi sembra una di quelle mosse del tipo facciamo rientrare i capitali dall’estero…
  12. Per chiarirci le idee: Prof. Roberto Renò2 febbraio 2014 at 23:39 · Rispondihttp://www.wallstreetitalia.com/article/1662908/banche/rivalutazioni-quote-bankitalia-denunce-a-130-procure.aspx
  13. Per chiarirci le idee: Prof. Roberto Renò3 febbraio 2014 at 18:57 · Rispondipotrebbe spiegare i vantaggi e gli svantaggi derivanti dalla proprietà pubblica o da quella privata di bankitalia. Da profano mi par di capire che l’acquisizione di tutte le quote, prima della rivalutazione, sarebbe potuta avvenire ad un costo irrisorio sottraendo lo Stato dall’obbligo di versare dividendi a soggetti terzi. Non lo si è fatto per fare cassa subito rinunciando così ad una ” rendita” che avrebbe consentito di rientrare nel giro di 3-4 anni dalla spesa IMU per poi divenire una voce attiva di bilancio permanente? o perchè la proprietà privata delle quote implica vantaggi (che non intuisco) valutati maggiori? Mi scuso anticipatamente nel caso abbia posto domande ingenue. grazie.
    • Per chiarirci le idee: Prof. Roberto Renò3 febbraio 2014 at 20:19 · RispondiNon è che la proprietà pubblica o privata sia rilevante per le quote di Banca d’Italia. E’ chiaro che non si potevano sottrarre le quote alle Banche che le possedevano senza un equo compenso; ed è altrettanto chiaro che bisognava ridurre la partecipazione delle Banche. Il decreto ha fissato il valore equo delle quote in 7,5 miliardi (cifra discutibile, ma ragionevole) che, ripeto, non pagherà nessuno (la storia del “regalo” alle banche è pura propaganda politica), e ha fissato la partecipazione massima al 3%. La partecipazione pubblica forse sarebbe stata meglio da un punto di vista ideale (ma dipende dai gusti), ma in tal caso si sarebbero davvero dovuti sborsare i soldi per ricomprare le quote.
  14. Per chiarirci le idee: Prof. Roberto Renò3 febbraio 2014 at 21:50 · Rispondigrazie. Le chiedo un ulteriore spiegazione su un passaggio che non mi è chiaro: prima della rivalutazione sottrarre le quote ai privati non sarebbe costato i famosi 146mila euro?
    grazie ancora.
  15. Per chiarirci le idee: Prof. Roberto Renò3 febbraio 2014 at 21:52 · Rispondicredo di aver fatto una domanda stupida.
  16. Per chiarirci le idee: Prof. Roberto Renò3 febbraio 2014 at 23:09 · RispondiNon si deprezzi così. No, 156mila euro era il valore del 1936. Le quote danno diritto a un dividendo che negli ultimi 15 anni è stato di 50 milioni all’anno, quindi sicuramente il valore delle quote è dell’ordine dei miliardi di euro.

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