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Per farla infinita

Da Salvinsa
Per farla infinita

Per farla infinita, la vita o la merda. La storia o la lotta.

La malattia della scrittura ti coglie impreparato, ti fa correre lì sulla pagina bianca prima che il commiato del tuo pensiero ostruisca le vie del ricordo e trascolori tutto in un vagheggiato entusiasmo già smarrito. Ti manderà una cartolina nella notte il tuo cervello con quello che avevi formulato e che la giornata ha sbiancato.

Brezza marina qui nel covo candido del lunedi, partendo dai punti in-fermi d'un mondo sempre più immondo, tra le turbe intestinali e la stitichezza espressiva del XXI secolo. Com'è triste la carne, eppure è tutto ciò che cerchiamo.

Scrivere scopare viaggiare secondo Bolano in punto di morte conferenziere in volo sui poeti francesi. Banditi del senso. Banditi dal senso. Inattingibili. Ogni volta diversi.

L'Italia va a puttane, si sa, e noi ci accasciamo lentamente nella fatica mal vista d'accorgercene. Le sante le più bunga bungabili, misere le cortigiane di palazzo, in cerca di opportuna sistemazione e collaborazioniste non meno d'altre già giustiziate a loro tempo. I criminali senza fascino né pretese.

E poi ora per noi in coro Lele Mora prega per noi, meno male che Lula c'è estradate Berlusconi se volete Battisti in cambio.

È Dioniso a vincere in quest'aria fetida da basso impero? O è ancora – ritrovando l'Attali di Bruits – una quaresima camuffata da carnevale? Una rigorosa farsa atta semplicemente all'omeostasi del potere declinante? Apollo è malato, sformato, sfrondato, tra cattive abitudini quasi sempre appagate, ma in questa impenitente isola dei trionfi bacchici manca il rimescolamento, manca l'eversione, il ribaltamento dei ruoli. Restiamo sottostanti, inculabili, appesi e riverenti alle voglie o al parere di s'arroga di contare, di chi ancora è di identità (a che cosa?) che si riempe le tasche.

Gaudeamus igitur eppure parfois j'amerai mourir pour ne plus rien savoir.

E la stanchezza arriva perché una corsa a ostacoli ha coinvolto i miei alter ego prima di raggiunger il MetaTeatro stanotte...dai miei trecento passi in estrema pendente salita, da un treno che non arriva più causa neve viterbese ad un 907 del cui percorso è carica la mia memoria d'abitante di MonteMario da quella Piazza Igea, il bar con il piacente Barbone, la fermata davanti la farmacia e poi le scale per arrivare alla metro Cipro dove una volta quasi mi ruppi una caviglia e no non c'è tempo per far entrare prima che io esca dal convoglio e se le do una spallata è perché non esiste più delicatezza e se mi rispondi Madonna io ti dico Porca e procedo avanti, proprio fino a San Pietro aspettando un 23 che non passa, le mani in tasca il freddo in testa il ritardo incalza la pancia scalpita. Quindi quasi di corsa colpendo a tacchi il suolo, perforando la città tagliando via della Conciliazione e ripescando il 23 all'inizio del lungotevere con in groppa gli stessi volti che prendevano freddo in mia compagnia minuti prima...

E prima di scampanellare solo una crocchetta da mangiare. E come fa quella a star in mini-pants e infradito proprio oggi quando il sale sui campi è lì a testimoniare gli zero gradi??

E ripartendo allora da dove avevamo iniziato,

Scrivere prima che vengano a prenderti per aver fatto troppo chiasso, per aver voluto troppo, per esserti divertito troppo poco, per aver scosso troppi alberi delle certezze, per aver diffamato troppi monumenti, per aver dissacrato troppe cerimonie.

Scrivere prima che vengano a prenderti per non esser riuscito a (r)esistere, moroso e ipotecato in questo ostico condominio sociale. Povera arte in arte povera.

Scrivere prima che si spenga la luce, la lucerna che come spia ti permette di accedere altrove .

Scrivere prima che vengano a prenderti per esserti permesso di scrivere. Dall'ispirazione alla cospirazione.

Tarantiniane sproloquianti Iene a introdurre l'irriverente canovaccio pseudo-liturgico, nella blasfemia canzonatoria d'ogni comunione o comunicazione possibile. Con Artaud esserci per cacare tra le metastasi del linguaggio. Malato, corrotto, corroso, in punto di morte.

Così dis-organizzati come siamo eppure o ancora provvisti di quegli organi capaci di soddisfare le nostre malfunzioni vitali. Condotto (o condotta?) anale dunque. Ancora dall'escatologia alla scatologia, dal destino ultimo ai terminali resti, tra le fogne pronti a tuffarci. De cesso.

Ed invece per farla finita col giudizio di altissimi e nani, non riconciliati tagliare ancora le redini e le radici. Smascherarsi: scrivere, scopare, viaggiare, morire. E poi ricominciare.

Un inferno, un inverno, un infermo. Non si arriva da nessuna parte. Solo qualche illuminazione ogni tanto. Rarissima e adamantina come quell'anima stanca eppure di superiore inafferrabile incanto che ora vigila sul lampeggiamento verde nei pressi dell'ingresso.

E per San Giovanni ora l'87. Per casa mia i piedi soli. Per le prossime Impressions una settimana ancora.


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