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Per favore, non ammazzate i sogni (e il ciclismo).

Creato il 14 ottobre 2012 da Emialzosuipedali @MiriamTerruzzi

E’ come il Giro d’Italia” dice una voce, in mezzo alla nebbia. E veramente, questa mattina, quassù al Ghisallo, sembra che la gente aspetti un tappone del Giro: in piedi sui muretti, addossato sui lati della strada c’è un pubblico foltissimo, da “ultimo strappo”. Per favore, non ammazzate i sogni (e il ciclismo). Il popolo del ciclismo fa sempre festa quando attende i suoi corridori. Ma oggi, sarà per quella nebbia che va e viene, che avvolge il campanile della chiesa che sta su, a proteggere chi va sulle due ruote, che si insinua tra gli alberi, che fa odorare l’aria di autunno, non si parla di cose belle.

Manca poco all’arrivo dei ragazzi Juniores, lo speaker dice che stanno imboccando la salita che li porterà qui. E su questo asfalto che aspetta le loro ruote si parla di loro. Delle squadre che fanno i salti mortali per stare in piedi, a cui tocca guardare la loro cassaforte vuota, di liquidi e di sponsor. Delle ditte in cassa integrazione e che non hanno i soldi per i loro operai, figuriamoci per far correre i ragazzini. Degli allenatori, dei tecnici che vogliono bene ai corridori come a dei figli, che li vedono sudare, fare fatica e magari vincere ma non sanno per quanto tempo ancora. Di loro, di questi ragazzi che passano le loro giornate a scuola e in bicicletta, che devono trovare il tempo di allenarsi anche quando, l’indomani, c’è il compito di matematica perché sennò alla gara della prossima settimana si trovano al gancio. Di loro che devono fare le cose che fanno tutti ma anche coltivare quel sogno lì, quello della bicicletta. Che è un sogno da duri, da coraggiosi. Da gente che non molla. Ci si domanda come mai faranno questi giovani sognatori, se le categoria U23 verrà eliminata. Come si troverà uno che, all’anagrafe, fa diciotto anni a correre con un campione di trenta? Cosa succederà al suo sogno, coltivato fin da piccolo, come una piantina in una serra? Non saranno al gancio solo per una domenica. Lo saranno sempre. E, forse, si chiederanno: “Che ci sto a fare qui? Sono un incapace”. E quella piantina a cui tanti avranno dato calore morirà, schiacciata malamente, come un’ erbaccia qualunque. Cosa succederà alle nuove generazioni se nessuno li guiderà in un percorso coerente, adatto alla loro età, al loro fisico?

Arrivano. Tutti si sporgono per vedere chi, per primo, ha cavalcato il Ghisallo. Spunta un ragazzo e tutti gridano, applaudono e la bicicletta si piega di qua e di là, sotto lo sforzo. Poi ne arriva un altro, un altro ancora, tutti sfilati, sfiniti, con la lingua fuori, con la schiena curva, la testa bassa. E sento di avere gli occhi umidi perché tutti, dal primo all’ultimo, meritano di avere una società che creda in loro, che non abbia, ogni anno, da fare i conti con l’acqua alla gola, che possa portarli verso il loro sogno senza dover litigare con i padri che urlano: “Prima la scuola”.

Credo che coloro che, dalle loro poltrone, si ostinano a dire che il ciclismo in Italia continua ad andare bene, che non è un problema se i nostri corridori vanno all’estero, avrebbero dovuto essere lì, oggi, sul Ghisallo. E guardarli tutti, ad uno ad uno: le loro facce stremate, le gambe di legno. Avrebbero dovuto essere lì, sentire il boato del pubblico, l’affetto, l’amore che la gente porta a chi pedala. Avrebbero dovuto essere lì, per capire che questo sport si deve salvare, si deve dare ai giovani la possibilità di scoprirsi campioni poco per volta. Essere lì e capire che se ammazziamo i sogni di questi ragazzi, ammazzeremo il ciclismo. Per intero.

Per favore, non ammazzate i sogni (e il ciclismo).
Per favore, non ammazzate i sogni (e il ciclismo).



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