Il presidente della SAIt e Direttore dell'INAF - Osservatorio di Teramo si esprime sul perché sia un bene che le Olimpiadi dell'Astronomia esistano
di Roberto Buonanno 01/11/2013 10:10
I primi classificati potranno poi partecipare alle Olimpiadi Internazionali di Astronomia in un Paese che non è stato ancora comunicato ma che, a giudicare dai Paesi ospiti degli anni passati (Lituania, Corea, Cina), non potrà che essere un luogo di grande fascino e di interesse per i giovani astronomi.
Pur non potendomi dichiarare immune dal rischio di apparire un tifoso dell’astronomia, tuttavia penso di essere obbiettivo quando affermo che le nostre Olimpiadi sono importanti.
In primo luogo l’astronomia è una scienza trasversale: un buon astronomo –è certo– deve conoscere le leggi della fisica e deve padroneggiare le tecniche matematiche appropriate. Quando poi si pone l’obbiettivo di cercare i pianeti e le Terre al di fuori del sistema solare, l’astronomo – in aggiunta–deve essere familiare con le Scienze Naturali, la chimica, la biologia, la geologia, la meteorologia così come le abbiamo apprese dallo studio del nostro Pianeta.
Se mi fermassi qui, però, ne risulterebbe un messaggio parziale per i ragazzi che pensano di partecipare alle Olimpiadi. L’Astronomia non si distingue dalle altre scienze perché richiede competenze più ampie, ma perché è la scienza che si propone di utilizzare tutte le nostre conoscenze per dare vita a un quadro organico dell’Universo nel quale viviamo, pronta, naturalmente, a modificare quel modello di Universo con uno più aggiornato ogni volta che le osservazioni lo impongono. Si tratta di un obbiettivo e di un metodo entusiasmante e che forse spiega perché mai, fra tanti settori della scienza, solo l’astronomia annoveri migliaia di appassionati, gli astrofili. Tutti, quindi, possono concorrere a sviluppare l’Astronomia, ricercatori, storici, filosofi e studenti.
Mi viene in mente che fra poche settimane partirà la sonda europea GAIA la quale, oltre all’obbiettivo principale di fornire una immagine in 6 dimensioni della Galassia, cioè trovare posizione e velocità di centinaia di milioni di stelle, avrà l’opportunità di trovare una grande quantità di pianeti extrasolari. Questi si aggiungeranno al migliaio già scoperti con diverse tecniche e missioni spaziali. Supponiamo ora che –come è la speranza di molti– da uno di questi arrivi un segnale di vita intelligente e supponiamo pure di essere in grado in un futuro lontano di superare le difficoltà intrinseche alla velocità finita delle nostre comunicazioni, cosa potremmo dirci con questi ET? Esistono diecine di libri e di articoli nei quali si prospetta di iniziare i colloqui presentando i fondamenti della (nostra) matematica o le nozioni elementari della struttura degli atomi, tutte cose ragionevoli ma che lasciano invariabilmente una frustrante sensazione di scarso realismo.
E se invece pensassimo a trasmettere mappe celesti? Queste sì che sarebbero riconoscibili. Si partirebbe con la Galassia, e, zoomando zoomando, potremmo rappresentare le zone di assorbimento interstellare, la nebulosa di Orione dove nascono le stelle e arrivare a disegnare il sistema solare. A questo punto, se verifichiamo che ET ci capisce, gli inviamo il “Theatrum Cometicum” di Lubienietz e le cosmografie di Hevelius e chissà che non ci accorgiamo che ET ha il nostro stesso senso estetico. A questo punto non resta che inviare il De Sphaera Mundi e scoprire che anche ET ha pensato agli epicicli e ai deferenti. Come noi.
Scienza, tecnica, storia, sogno: questo è il senso delle Olimpiadi di Astronomia. Vale proprio la pena di partecipare.
Fonte: Media INAF | Scritto da Roberto Buonanno