L’arcivescovo di Milano, richiamando l’Editto di Milano del 313, ha parlato della «indebita commistione tra il potere politico e la religione» forse dimenticando che, almeno in Italia, i costituenti (la cui maggior parte erano cattolici) scrissero nell’articolo 7 della Costituzione che «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani».
L’ex patriarca di Venezia ha poi affrontato il nesso esistente tra libertà religiosa e pace sociale affermando che «imporre o proibire per legge pratiche religiose, nell’ovvia improbabilità di modificare pure le corrispondenti credenze personali, non fa che accrescere quei risentimenti e frustrazioni che si manifestano poi, sulla scena pubblica, come conflitti». Sempre restando fermi al caso italiano c’è da capire quando lo Stato abbia mai “imposto per legge” pratiche religiose mentre l’imposizione indiretta c’è sempre stata e non sembra che la Chiesa cattolica si sia mai lamentata: presenza di insegnanti di religione pagati dai contribuenti nelle scuole pubbliche, cappellani nelle caserme e negli ospedali, cerimonie civili con l’onnipresenza dell’alto prelato di turno o che si concludono con l’immancabile messa. Inoltre i limiti posti dalla nostra Costituzione (articolo 19) alle pratiche religiose è solamente nel caso di «di riti contrari al buon costume». Se lo Stato, in base a quanto affermato da Scola, non potrebbe proibire talune pratiche religiose dovremo pensare lecito lasciar morire, ad esempio, un testimone di Geova che rifiuta una trasfusione di sangue? Oppure dovremmo accettare di vedere camminare donne con il volto coperto nonostante le ovvie conseguenze per la sicurezza pubblica? Siamo proprio sicuri che alle volte limitare le pratiche religiose soprattutto quando ci sono conseguenze per la salute dell’individuo o l’ordine pubblico non contribuisca ad aumentare la pace sociale invece di accrescere i conflitti come ritiene Scola?
Per l’arcivescovo di Milano sino a qualche decennio fa il potere politico «faceva riferimento sostanziale ed esplicito a strutture antropologiche generalmente riconosciute» mentre attualmente questo riferimento è stato ritenuto inutilizzabile e, sempre per Scola, «il giudizio morale sulle leggi si è andato sempre più trasformando in un problema di libertà religiosa». Citando la riforma sanitaria di Obama che «impone a vari tipi di istituzioni religiose (specialmente ospedali e scuole) di offrire ai propri impiegati polizze di assicurazione sanitaria che includano contraccettivi, abortivi e procedure di sterilizzazione» parla esplicitamente di «ferita alla libertà religiosa». A riguardo Scola dimentica che una Corte federale statunitense ha sentenziato che la riforma di Obama non lede la libertà religiosa perché esenta chiese, moschee, altri luoghi di culto e scuole, ospedali e altre organizzazioni con affiliazioni religiose dal fornire direttamente una copertura contraccettiva.
Scola cerca di riconoscere un dato obiettivo sottolineando che «nelle società civili occidentali, soprattutto europee, le divisioni più profonde sono quelle tra cultura secolarista e fenomeno religioso» con il risultato che «la giusta e necessaria aconfessionalità dello Stato ha finito per dissimulare, sotto l’idea di “neutralità”, il sostegno dello Stato ad una visione del mondo che poggia sull’idea secolare e senza Dio» e quindi «lo Stato cosiddetto “neutrale”, lungi dall’essere tale fa propria una specifica cultura, quella secolarista, che attraverso la legislazione diviene cultura dominante e finisce per esercitare un potere negativo nei confronti delle altre identità, soprattutto quelle religiose, presenti nelle società civili tendendo ad emarginarle, se non espellendole dall’ambito pubblico». Sempre per Scola «sotto una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde – almeno nei fatti – una cultura fortemente connotata da una visione secolarizzata dell’uomo e del mondo, priva di apertura al trascendente. In una società plurale essa è in se stessa legittima ma solo come una tra le altre. Se però lo Stato la fa propria finisce inevitabilmente per limitare la libertà religiosa».
A tal punto l’arcivescovo di Milano dovrebbe ricordare che, sempre ricollegandoci al già citato articolo 7 della Costituzione, il concetto stesso di “dio” dovrebbe essere assente dal dibattito politico di uno Stato laico. Inoltre, ad essere realisti, i governi italiani di destra e di sinistra non sono stati mai molto attivi nell’adottare leggi sgradite alla Chiesa.
A prescindere dalle leggi adottate la società è altamente secolarizzata così come ammette lo stesso sociologo di orientamento cattolico Massimo Introvigne secondo cui la secolarizzazione è un fenomeno che riguarda i due terzi degli italiani. Un piccolo segnale è che proprio nella Lombardia di Scola e del ciellino Formigoni l’anno scorso il 51 per cento dei matrimoni celebrati si sono svolti con rito civile e non religioso.
Se lo Stato (o meglio la politica) avessero veramente abbracciato una cultura secolarista così come è largamente diffusa nella società italiana, il nostro Paese già da tempo avrebbe provveduto a tassare i beni ecclesiastici ed a tagliare i finanziamenti pubblici alla Chiesa ed avrebbe adottato una legislazione sull’eutanasia, sulle unioni civili e sul matrimonio per le coppie dello stesso sesso. Compito della classe politica è di essere espressione dei sentimenti diffusi nella società senza avere nessuna pretesa di volerli guidare: se la nostra società è altamente secolarizzata ed è a favore di leggi invise alla Chiesa (come in passato quelle sull’aborto e sul divorzio e più recentemente sul riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio) è doveroso che la classe politica dia concretezza a questo diffuso sentimento. Resta da capire come l’adozione di specifiche leggi su aspetti concreti della società possa «inevitabilmente minare la libertà religiosa». La Chiesa potrà anche affermare che taluni provvedimenti normativi siano una minaccia alla libertà religiosa ma, come nel caso della riforma sanitaria Obama, queste minacce sono ritenute infondate da parte dei tribunali. Inoltre è molto difficile che in Italia venga minata la libertà dei cattolici quando anche un presidente della Repubblica di origini comuniste come Giorgio Napolitano afferma di avere «deferenza» verso il papa.
Scola comunque ha la soluzione pronta per «ovviare a questo grave stato di cose» e suggerisce di “ripensare” «il tema della aconfessionalità dello Stato nel quadro di un rinnovato pensiero della libertà religiosa» in modo che «ciascun soggetto personale e sociale possa portare il proprio contributo all’edificazione del bene comune». Forse non c’è molto da “ripensare”: tutti possono esercitare liberamente la propria fede religiosa sia in forma privata che pubblica e possono farne propaganda. Se invece ci si riferisce all’adozione di taluni provvedimenti di legge, il Parlamento è sovrano e quindi i cattolici possono, così come hanno fatto per cinquant’anni con la Democrazia cristiana, anche legittimamente organizzarsi in un partito politico e farsi eleggere in Parlamento.
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