Magazine Cultura
Tanto di cappello ad Antonio Pennacchi per questa dichiarazione di intenti, piazzata prima della prima riga di Canale Mussolini. Tanto di cappello perché quando ci si permette una dichiarazione tanto impegnativa uno pensa a un libro ricercato, magniloquente, carico di effetti speciali, esistenzialmente intricato, invece che questa storia di contadini, di campi sottratti alle paludi, di fatiche e raccolti magri.
Ho letto Canale Mussolini, solo ora, come faccio sempre con i libri che hanno vinto premi importanti e di cui a lungo si è parlato: ovvero dopo aver aspettato che di essi non si parli più e che siano spariti dalle vetrine. Credo che faccia bene, ai libri e ai lettori.
E dunque, questo è il mio consiglio. Non abbiate paura della lunghezza, sopportate qualche pagina di cui certo si poteva fare a meno. E classificate questo romanzo come vi pare, parlandone magari come di una grande saga famigliare, un luogo comune come un altro.
E certo che è giusto interrogarsi su questa Storia dell'Italia tra le due guerre, raccontata dal basso, con uno sguardo originale e discutibile figlio delle bonifiche dell'Agro Pontino, di quei campi strappati alla malaria, delle città sorte dal nulla. Tanto più che le bonifiche e l'idea rivoluzionaria che accompagnò il primo fascismo non nascondono e non giustificano i crimini delle squadracce.
Poi però basta attaccare con il primo rigo:
Per la fame. Siamo venuti giù per la fane, E perché se no?
E arrivare in fondo, pagina dopo pagina.
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