Fottuti. Lo sono stati in altre storie Dànilo Colombia, Mino Palata, Krol. Lo sono, in questa, Leone Polonia, Mako e il dentuso: terribilmente, inesorabilmente, spietatamente fottuti.
Ma se nelle altre vite dannate regalateci da Cosimo Argentina ci era concesso di scorgere un flebile barlume di speranza, seppur intermittente, in questo dramma non esiste salvezza, ché sin da subito la situazione appare chiara: «Una testa. Per quanto ne so io, la faccenda della testa era il finale che c’eravamo scelti sin dall’inizio».
Si parte dalla fine, dunque: un corpo acefalo, un uomo immobile, un altro fuori di senno. Sono i nostri tre eroi al contrario, generali di una battaglia anti-epica, protagonisti di un’inquietante farsa nera. «Eravamo tre animali braccati, ma eravamo anche tre predatori di quelli buoni e adesso, guardateci. Guardateci adesso! Mezzi nudi, al freddo, in questa maledetta spiaggia», racconta la perversa voce narrante, quella di Leone Polonia, cui spetta il compito di ricostruire tutta la vicenda per dare a noi, inermi spettatori, la possibilità di capire perché, per quale motivo si è giunti a quell’incipit se non da horror, quantomeno da cinema pulp.
E allora racconta, Leone Polonia; ricostruisce questa storia di rabbia e dolore appellandosi a una memoria confusa e agitata, impossibilitata a strutturare cronologicamente i fatti e capace solo di proporre impulsivamente i flash agghiaccianti che si affacciano alla mente dello sconfitto numero uno.
Leone, professore di diritto in una scuola privata di una decadente provincia di Taranto dove gli studenti conseguono controvoglia il diploma solo per dirigere l’attività paterna, è lontano dall’idea di insegnamento come missione, ben più intenzionato a bagordare assieme a Mako e il dentuso, anch’essi professori svogliati, compagni perfetti per prendere a randellate la propria vita e massacrarla più di quanto già non sia. Alle spalle una madre morta al momento sbagliato, sul groppone il peso di un padre delirante, dinanzi a sé un futuro inesistente: Leone intende giocarsi il tutto e per tutto e spassarsela, fra sesso pericoloso, fiumi di alcol e trovate folli. In fondo, lui stesso non sarà troppo sorpreso dell’epilogo cui va incontro.
Cosimo Argentina ha pochi ingredienti, ma buoni: carne e sangue, e sa ricavarne un piatto che, pur crudo e amaro, in fondo piace. La sua scrittura si riconferma simile a pugnalate che colpiscono in pieno petto, lacerando la sensibilità del lettore e svegliando la bestialità che è in lui. Nel caso specifico, lo stile netto, riconoscibile, afferra e trascina nel buco nero della storia e riesce anche a coprire qualche crepa narrativa, che avrebbe rischiato di sfilacciare una trama di per sé un po’ esile.
Angela Liuzzi
Cosimo Argentina, Per sempre carnivori, minimum fax, 2013, 14 euro