Nel terrazzino come un un vaso di pandora, imparai ad entrare in confidenza con i miei sogni, che erano timidi come i geranei, come timidi sono i talenti prima di uscire allo scoperto; abbisognavano della mia energia, di un’alacre manovalanza, della pazienza e della tenacia, le mie sorelle più amate; di una dedizione profonda mai dimentica, una cura costante passionevole, non per cercare di acchiapparli, ma piuttosto per riuscire a raggiungerli.
I sogni erano giganti scapigliati e commoventi che sollevavano il tetto del mio cielo di cui ero innamorata e grazie ai quali avrei fatto tutto per essere alla loro alltezza. Essere all’altezza dei sogni; niente altro può fare una vita in alto mare se non seguire la luce orientata del faro, la cui esistenza è certezza per la speranza di andare avanti in solitaria senza smarrirsi….
Il sogno mi correva dentro simile a un fiume carsico dalle piene potenti e invisibili, tanto che nei punti di trasparenza della mia vita lo si poteva riconoscere nella genesi, nella sua mallevatura e nel modo in cui l’esistenza stessa del sogno dava garbo dignità lustro e sostentamento alla mia vita, era la ricchezza, era la grazia.
Era l’impresa da compiere, ardua e gentile difficile e mirabile ma irresistibile, era il viaggio sulla luna ardimentoso immaginifico che con gioia costringeva a spingere il limite oltre quelli che si credevano i propri limiti, era il cavaliere e il suo cavallo; cavallo elevato al rango della difficoltà e dalla nobiltà del sogno, appassionato e instancabile, ispirato e fedele che disperava delle difficoltà ma non del sogno ed era infine la principessa innamorata e meritata, la pricipessa salvata, era il senno perduto nel buio delle sconfitte e delle cadute e ritrovato alla luce della forza stessa del sogno; quella di esporsi all’impossibile.”
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