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Dunque in attesa che arrivino a maturazione industriale gli ormai chimerici impianti a fusione nucleare, promessi ormai da quarant'anni, che presentano una virtuale inesauribilità delle fonti, che non immettono nell'atmosfera prodotti di combustione, e che sono considerati «intrinsecamente» sicuri, non tanto perché incidenti non possano accadere, quanto perché almeno il reattore non contiene sostanze radioattive, ma che non si sa quando e se saranno mai davvero disponibili (le cose sono molto più complesse di quanto ci si aspettava), o che salgano alla ribalta industriale processi di produzione dell'energia davvaro innovativi e potenzialmente interessanti come l'Energy Catalyzer, cosa si deve fare? Alla luce di tutte le considerazioni fatte finora, che idea farsi oggi (in vista del referendum, e dopo l'astuta moratoria)? In che direzione orientarsi? Dove andare a piazzare il baricentro del triangolo costi-rischi-benefici? Quali considerazioni pratiche si possono fare, senza lasciarsi portare via dalle impetuose e superficiali correnti di pregiudizi ed emotività?
Se persino di fronte a un disastro come quello di Fukushima, lo stesso Giappone non sembra avere alcuna intenzione di rinunciare al nucleare, credo che valga la pena considerare che ci possono essere fattori da cui non si può prescindere, che magari - proprio come nel caso del Giappone (le cui 56 centrali pare coprano il fabbisogno interno per solo il 25%!) - sono legati anche al territorio e alla popolazione. Quando hai così tanta gente che consuma così tanta energia elettrica su una superficie così esigua, come fai a produrre abbastanza elettricità per tutti, se non (anche) col nucleare? Non dico che questo si applichi all'Italia, piuttosto che qualsiasi tipo di considerazione va valutata con equilibrio. Per esempio, nel caso dell'Italia, in che misura incide sul rifiuto del nucleare l'applicazione della visione affaristico-mafiosa in stile cemento dell'Aquila? E soprattutto, ha davvero importanza nell'economia delle considerazioni? O finisce per essere solo un altro aspetto di natura emozionale, proiezione energetica di una sfiducia diffusa e ormai fortemente radicata verso tutti gli organi di potere, di controllo e di gestione? Eppure pensate che cambierebbe qualcosa nell'opinione della gente avere una qualche garanzia che le centrali venissero costruite ed esercite (e le scorie smaltite) secondo la più aggiornata e onesta "regola dell'arte"? In effetti non sembra che il dilemma affligga i tedeschi. Forse la proverbiale competenza, precisione e senso dell'onore, della responsabilità e del sacrificio giapponesi (benché qualche scheletrino nell'armadio sembra ce l'abbiano pure loro) hanno messo al riparo i cittadini del Sol Levante dall'incubo della contaminazione?
/continua (e finisce) lunedì prossimo
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