Magazine Cultura
Ho conosciuto il testo grazie ad una docente della Paolo Grassi, la scuola d’arte drammatica che ho fatto a Milano, perché mi aveva chiamata per leggerlo durante un convegno che trattava le tematiche dell’anoressia. Così ho incontrato per la prima volta sia questo libro che la Nothomb. Da allora ne ho letti un pò di suoi, (Stupori e tremori, Igiene dell’assassino, Metafisica dei tubi…) Mi piace la sua ironia noir, e mi piace in particolare in Biografia della fame, dove il tema dell’anoressia viene trattato in modo sarcastico, ironico, totalmente non patetico né melenso né drammatico. Perché hai scelto di portare in scena proprio Biografia della fame? Senti delle particolari affinità con questo testo autobiografico?
Ho scelto di partire da quel testo perché mi sembrava qualcosa di necessario, perché quando l’ho letto ho pensato che se l’avessi letto prima, forse, mi sarei sentita meno sola. Credo che biograficamente, se il soggetto della biografia è la fame, ci possa riguardare tutti. Per questo del testo della Nothomb ho tenuto quello che riguardava la fame di cibo e quello che riguardava l’universale di un percorso di crescita, al di la quindi della vita specifica della scrittrice, che in questo lavoro, non mi interessa portare alla luce. Da questo scheletro di testo ho iniziato a scrivere altro, ad aggiungere episodi letti o vissuti, fino a creare la storia di questa ragazza, che ha molta fame e poi smette di mangiare. Fino a farla diventare la mia biografia acquisita. Credo che la storia mi riguardi, anche se non ho mai sofferto realmente di anoressia, nella misura conclamata in cui ne parla la ragazza protagonista della storia, ma sicuramente di altri tipi di disturbi alimentari. Anzi, credo che quasi l’80 per cento di donne che conosco, in varia misura, lottino nel loro quotidiano rapporto con il cibo. Mi capita spesso di assistere a spettacoli di drammaturghi nuovi o eserdienti in cui è previsto l’innesto di elementi multimediali, anche nel tuo spettacolo ve n’erano. Per quale motivo avete scelto per la scenografia le creazioni grafiche di Anna Resmini, così geometriche, squadrate, evocative?
La scelta di avere Anna Resmini che proietta le sue illustrazioni dal vivo é nata come un’intuizione ed é stata nutrita da una grande stima reciproca. Volevamo cercare di creare questa storia assieme, e l’uso delle immagini poteva dare un colore poetico che diversamente stava solo a me poter restituire. Anna é molto minimale, filosofica, poetica, io sono molto carnale, colorata, ironica. Questo connubio quindi poteva dare all’una e all’altra un valore aggiunto. Siamo ancora in fase di sperimentazione, lo spettacolo già con il passare dei giorni cresce. Da ieri l’illustratrice é ufficialmente sul palco dall’inizio alla fine dello spettacolo. Con le repliche e magari qualche sostengo di produzione continueremo questa ricerca. Una biografia dura e aspra nella sua veridicità, che racconta con irresistibile leggerezza la battaglia di una ragazzina intelligente e sensibile nel difficile passaggio all’età adulta. Ricordando la saggia frase ripetuta dalla nonna alla nipotina Marchioro/Nothomb: «Picai a un ciodo, ma qua», appesi a un chiodo, ma qua.
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