Esistono fonti d’informazione che affermano l’esistenza di cellule dello Stato Islamico operanti nella Striscia con la pervasività e il tono categorico di una crociata contro Hamas. In questo si distingue John Bolton ex ambasciatore Usa all’Onu, repubblicano, ai vertici di varie istituzioni conservatrici e filoisraeliane, come Fox News, il Jewish Institute for National Security Affairs, la lobby armaiola National Rifle Association (!) e il Gatestone Institute; Bolton fu in prima fila tra i critici di Obama quando gli Stati Uniti chiedevano a Israele di sedersi al tavolo dei negoziati per il cessate il fuoco dell’ultima aggressione a Gaza, la Operation Protective Edge.
Il think tank Gatestone – di cui Bolton è presidente - durante il conflitto fu piattaforma di lancio per questo siluro dal titolo “L’Isis è già nella Striscia di Gaza”.
“A quanto pare, Hamas sta perdendo il controllo delle decine e decine di cellule terroristiche nella Striscia di Gaza. Hamas ha impedito ai giornalisti locali di diffondere la notizia del raduno organizzato dai sostenitori dell’Isis nella Striscia di Gaza il mese scorso come parte del suo tentativo di negare l’esistenza dell’Isis nella Striscia. Ma Hamas sembra che stia cercando di coprire il sole con un dito. La Striscia di Gaza non è più solo una minaccia per Israele, ma anche per l’Egitto. L’unico modo per affrontare questa minaccia è attraverso una cooperazione per la sicurezza tra Israele e l’Egitto. “
Compito istituzionale dei think tank è imbeccare i media e creare narrazioni che diventino convinzioni comuni (ved. Think Tank batte un colpo e cade un governo ). E’ evidente il danno che infliggono agli interessi dei Palestinesi tali affermazioni che squalificano a priori le confutazioni da parte degli interessati e precostituiscono la tesi difensiva qualora l’Autorità Palestinese chiamasse Israele a rispondere dei suoi crimini davanti alla Corte Penale Internazionale.
La disinformazione si completa omettendo le reali prospettive che l’Isis si dà verso Gaza, lasciando intendere un sostegno ad Hamas che nella realtà è, al contrario, un’avversione di cui il mondo jihadista non fa mistero: l’organizzazione politico-militare di Hamas è accusata di apostasia perché dichiaratamente schierata con i “valori democratici”.
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A un tweet di Khaled Meshal, capo dell’Ufficio politico: “Hamas combatte per la libertà e l’indipendenza”, il jihadismo risponde ponendosi in frontale opposizione “Lo Stato Islamico combatte per affermare la religione di Dio”.
Gli abitanti di Gaza, rincara lo sceicco salafita egiziano Talaat Zahran, non hanno una leadership legittima poiché sono alleati con gli Sciiti (ndr. gli Hezbollah libanesi e l’Iran).
Questa non è una valutazione politica, è prettamente religiosa e comporta la non idoneità del popolo di Gaza al jihad, perchè, secondo questa ideologia radicale, il jihad può essere condotto solo sotto un governo legittimo. Ne consegue che la Striscia non è per il Califfo un territorio in cui infiltrarsi o da cui auspicare alleanza, ma un futuro terreno di combattimento sulla via che condurrà a Gerusalemme.
“Gli Sciiti sono più pericolosi degli Ebrei” secondo i jihadisti, che alimentano una lotta intestina all’Islam che dura da 1400 anni, e il quotidiano Al-Akhbar scrive “Le nostre fonti nella provincia di Raqqa (ndr.capitale dello Stato Islamico) elencano queste tre fasi indiscutibili: “la priorità è liberare Baghdad, poi dirigersi verso Damasco e liberare tutto il Levante, prima di liberare la Palestina.”
Al momento della proclamazione dello Stato Islamico, il Califfo Al Baghdadi aveva esposto con chiarezza gli obiettivi, ribaditi ancora una volta nell’ultimo numero del periodico ufficiale, Dabiq_Issue_5 dal titolo quanto mai eloquente “Remaining and Expanding”.
“Il 20 del mese islamico di Muharram 1436, lo Stato Islamico ha annunciato ufficialmente la sua espansione nella Penisola arabica, Yemen, Penisola del Sinai, Libia e Algeria. Il Califfo ha anche accettato la bay’āt (giuramento di fedeltà) da tutti i gruppi e individui che si sono impegnati da altre terre. Così, mentre gli occhi del mondo sono incantati dai media che raccontano la battaglia per ‘Ayn al-Islam (ndr. Kobane), gli occhi dello Stato islamico scansionano Oriente e Occidente in preparazione dell’espansione che – con il permesso di Allah – metterà fine allo Stato ebraico e all’alleanza dei Crociati”.
Tutto ciò non rappresenta una novità che gli osservatori internazionali siano incolpevoli di ignorare, si tratta del progetto di Abdullah Yusuf Azzam, lo sceicco palestinese padre del jihad globale che fu mentore di Osama Bin Laden: la liberazione della Palestina è un dovere di ogni musulmano, ma allora come ora tale liberazione è solo un tassello del rivolgimento che il jihad vuole imporre all’intera area.
La leadership di Hamas nega decisamente che lo Stato Islamico abbia cellule presenti e attive nella Striscia ed è artificioso considerare questa posizione una strumentale autodifesa. Essa rispecchia il disinteresse religiosamente motivato dell’Isis per Gaza e per i suoi abitanti.
Rafah, Gaza Strip, 13.11.2014 Approvvigionamento di acqua…
Photographer: Anne Paq
Tuttavia Gaza è popolata di persone, non di robot e non si può dimenticare che gli slogan di Abu Bakr Al Baghdadi contro Israele e l’Occidente che lo appoggia, insieme alla promessa della liberazione di Gerusalemme cadono su un popolo che, a Gaza e nella West Bank, subisce occupazione militare e operazioni belliche, insediamenti illegali, arresto e incarcerazione di minori, confische di territori, frammentazioni di proprietà e deviazione di corsi d’acqua ad opera dello stato di Israele.
Inoltre Hamas è un partito d’ispirazione religiosa, anch’esso tradizionalista, e governa sulla base di un risultato elettorale; significa che l’orientamento politico maggioritario nella Striscia non è ostile all’intreccio religione-politica. In un certo modo, con il perdurare delle condizioni di vita che, al meglio, sono difficili e nel post conflitto tragiche, esiste il rischio che il partito di Hamas si trovi a dover fronteggiare azioni isolate o attività di gruppi in consonanza con il Califfato, senza che tuttavia esistano le condizioni perché si stabilisca un effettivo coordinamento.
L’Isis non è nella Striscia e non intende portarvi il jihad, ma la non attuazione delle clausole del trattato di cessate il fuoco (Draft of the ceasefire agreement Op.Protective Edge) varie volte denunciata dal governo della Striscia e lo stallo delle trattative di pace creano condizioni tali che non permettono di escludere violazioni e conseguenti nuove reazioni israeliane.
I colloqui che dovrebbero trasformare in trattato di pace il cessate il fuoco a tempo indeterminato sono stati posposti sine die il 26 ottobre per volontà dell’Egitto, decisione motivata con l’attentato che in Sinai aveva ucciso trenta soldati egiziani; Hamas ha condannato l’attentato, ma “fonti egiziane” – ma è il Jerusalem Post a sostenerlo – indicavano fra i partecipanti all’azione anche elementi palestinesi.
Nel presente e nell’immediato futuro non l’Isis la Striscia di Gaza deve temere, ma l’ambiguo atteggiamento dell’Egitto, la persistente inerzia dei paesi occidentali, la propaganda di e pro Israele.