Magazine Società

Perché a volte si sceglie la Mafia

Creato il 27 dicembre 2011 da Oblioilblog @oblioilblog

Perché a volte si sceglie la Mafia

In un Paese come l’Italia dove l’Anti-Stato è forte, lo Stato dovrebbe essere il più efficiente possibile per far preferire le pratiche legali a quelle che contravvengono alla legge. La realtà, come ben sapete, è molto diversa e le Mafie sono spesso molto più organizzate del potere centrale.

Capita così che un testimone di giustizia, non un pentito, che per anni ha collaborato con la Giustizia e ha giocato un ruolo chiave nell’antimafia finisca vittima di ritardi e storture della burocrazia. Si tratta di Ignazio Cutrò, 43 anni e due figli, imprenditore edile di Bivona, in provincia di Agrigento.

Dal 1999 è tenuto sotto scacco da parte della cosca dei Panepinto che domina la zona perché si rifiuta di pagare il pizzo: incendi, danneggiamenti, minacce di morte. Cutrò però non ha ceduto e ha denunciato gli estorsori, dando il via all’operazione Face Off che ha sgominato i clan della bassa Quisquina e che in tribunale ha portato alla comminazione di 76 anni di carcere.

Le ritorsioni non si sono fatte attendere, ma di certo Cutrò non si aspettava che la mazzata arrivasse dallo Stato. Come un fulmine a ciel sereno, gli è stata recapitata una cartella esattoriale da oltre 85 mila euro, da pagare entro trenta giorni, pena l’iscrizione d’ipoteca sui beni immobili.

La richiesta che arriva da Inps, Inail e Agenzia dell’Entrate, però, avrebbe dovuto essere bloccata per legge dalla prefettura, visto che Cutrò è un testimone di giustizia, incapace di pagare perché il suo business è stato danneggiato direttamente e indirettamente dalla malavita. Cutrò, sia ben chiaro, intende pagare i soldi, però per legge il pagamento dovrebbe essere procrastinato di 300 giorni, dandogli modo di mettere assieme la somma.

Cutrò è amareggiato:

Quella cartella esattoriale doveva essere bloccata dalla sospensione prefettizia, ma per una serie di errori, ritardi e incomprensioni tra i vari Enti statali, è arrivata fino alla notifica. Non sto chiedendo sconti ma quello che mi spetta di diritto. Lo Stato deve fare il proprio dovere: deve dirmi cosa devo fare per salvare la mia azienda dopo essermi ribellato al pizzo.

Ho sempre creduto nello Stato e mi sono sempre opposto alla violenza mafiosa credevo che si potesse sopravvivere facendo il proprio mestiere anche se ti opponevi a Cosa Nostra. Lo credo ancora e sono disposto a non avere una vita normale, a essere scortato notte e giorno purché cambi qualcosa nel sistema. Ma che segnale dà lo Stato lasciandomi in balia di debiti che dovevano essere sospesi per 300 giorni?”

È una situazione simile a qualche tempo fa, quando volevano che abbandonassi la mia città, che scappassi per proteggermi meglio e ricominciare una vita. Ma che senso ha scappare dopo aver denunciato? E come dargliela vinta ai mafiosi.

Volevo fare capire agli altri imprenditori che si può sopravvivere anche denunciando il pizzo. Che testimoniando si può continuare a lavorare senza fallire. In questo modo invece, negandomi ciò che è mio diritto, si dà il messaggio completamente contrario. Io 85 mila euro da dare alle Serit Sicilia (l’agenzia esattoriale) non li ho. E non posso avere la certificazione Durc per poter riprendere a lavorare e pagare i debiti. Un circolo vizioso in cui non mi stanno lasciando via d’uscita.

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :