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Perché conservare il sangue del cordone ombelicale

Creato il 03 dicembre 2014 da Conservazionecordoneombelicale @SorgenteSalute

Il sangue del cordone ombelicale è ricco di cellule staminali emopoietiche, cellule staminali molto simili a quelle presenti nel midollo osseo, ma molto vitali e potenti, considerate tra le migliori prelevabili. Ad oggi, conservare il sangue del cordone ombelicale significa avere una risorsa in più per salvaguardare il futuro del proprio bambino e la sua salute.

Conservazione cordone ombelicale - Guida
Di: Redazione

Il sangue del cordone ombelicale è il sangue che rimane nei vasi sanguigni del cordone al momento del parto. In molti casi, a causa della cattiva informazione o della scarsa informazione che ruota attorno a questo tema, il cordone ombelicale viene gettato insieme agli altri rifiuti organici, gettando, insieme ad esso, l’elevato numero di cellule staminali che, se correttamente conservate, potrebbero rappresentare una risorsa molto preziosa per il bambino.

Fu alla fine degli anni ’70 che i ricercatori individuarono nel sangue cordonale delle cellule staminali emopoietiche potenti, le quali sono molto simili a quelle del midollo osseo, e sono in grado di generare globuli rossi, globuli bianchi, e piastrine.

Queste cellule staminali sono pluripotenti, perché hanno una grande capacità di differenziamento e di rigenerazione, che le rendono particolarmente utili nei trapianti, soprattutto in caso di malattie gravi del sangue, come leucemie, linfomi e mielomi. Lo stesso Ministero della Salute, nel 2009, ha approvato un Documento nel quale sono state elencate circa 80 patologie trattabili per mezzo del sangue presente nel cordone ombelicale: le cellule staminali in esso contenute, sono infatti compatibili al 100% con l’individuo da cui sono state prelevate – con scarse possibilità di rigetto – ed al 50% con i genitori, mentre con i fratelli vi è una compatibilità fino al 25%.

Questo significa che, se conservate, le cellule staminali contenute nel sangue del cordone ombelicale possono rivelarsi utili nel trattamento di numerose patologie (inserite nel Documento Ministeriale del 18 Novembre 2009), non solo dell’individuo da cui sono state prelevate, ma anche dei suoi parenti prossimi.


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