Perché hanno i denti cariati.
A parte la battuta. Qualche giorno fa ho letto un post a proposito del fatto che nelle copertine dei romanzi, è difficile scovare uno scrittore che sorrida. Purtroppo non ricordo quale sia il blog che ne parlava, e se riuscirò a recuperarlo, lo indicherò. (Trovato. Il post è questo).
Però a ben vedere, la risposta è meno folle di quel che sembra a prima vista. Spesso chi scrive, lo fa sempre in condizioni difficili. Dostoevskji, Carver, tutta gente che o era in mano a editori privi di scrupoli, oppure c’era da portare a casa la pagnotta, altro che scrivere. E la cura di sé, della dentatura per esempio, viene lasciata da parte.
Tolstoj non aveva problemi di denaro, poiché era nobile, ma era ossessionato dall’idea del suicidio. Dickens subì il dramma del carcere da bambino. E si potrebbe continuare quasi all’infinito, accennando a quegli scrittori alcolizzati, che hanno fatto uso di droghe, e via discorrendo.
Non è un bell’ambiente la letteratura. Per questa ragione quando i media si avvicinano a queste bizzarre creature che scrivono, lo fanno (secondo me), obtorto collo. Meglio qualcosa di leggero, di allegro; che poi spesso gli scrittori intervistati sorridono pure. Per cortesia. Si vede (io almeno lo vedo), che lo sguardo è sempre fisso da qualche altra parte, e ciò che restituisce alla mente non è niente di bello.
Mi fanno quasi tenerezza certe idee, di quanti blaterano sulla cupezza (eccessiva?) della letteratura. Non è cupezza, bensì consapevolezza: che la vita è un mestieraccio, e se qualcuno racconta il contrario, lo fa per fregare.
Oppure, ha già fregato. Forse proprio te.