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L’operaio specializzato che monta gli ultimi pezzi sui trapani alla Techtronic ha poco piu’ di vent’anni, scarpe gialle, pantaloni denim blu ben stirati con la piega, camicia attillata e un bel gilet colorato. Lavora a una delle stazioni finali in uno stabilimento a Dongguan, nel delta del Pearl River. Qui vengono montati trapani di ottima qualità per marche ben conosciute che fino a qualche tempo fa erano americane e ora sono cinesi. Gli operai cinesi dentro uniformi blu chini su compiti stupidamente ripetitivi che riproducono copie di scarsa qualità fanno parte di una visione ormai superata di questo mondo, almeno quanto lo sono i cappelli a cono e le donne chine nelle risaie. Là sotto, al suo turno alla stazione finale di montaggio ci sta un ex studente, figlio unico che i suoi genitori avevano chiamato Lin Fu Chi - nuvole sulla foresta - e che a un certo punto della sua vita ha deciso unilateralmente di chiamarsi David Lin. David è appena arrivato da una cittadina di provincia, non ha mai ne’ visto ne’ utilizzato un trapano o un tagliaerba in vita sua ma fa il suo lavoro, e lo fa bene.
La Cina cambia: da Pechino a Shanghai, da Canton (che non si chiama Canton, si chiama Guangzhou) a città che vengono definite piccole perché ci vivono solo qualche milione di abitanti, fino ad altre ancora più remote su a nord, giù a sud o in fondo a est verso l’Asia centrale. Il paradosso è che se vieni dalla provincia industrializzata dei capannoni padani, dall’odore di porcilaie nelle brezze d’estate, dai prefabbricati a ottobre nella nebbia, dalle pareti di cartongesso, dai pullmini dei cottimisti la mattina alle sei, dai caffè corretti sambuca a colazione e i bianci spruzzati nel dopopranzo qui ritrovi parecchie cose familiari. Tanto che alla fine mi chiodo cosa ci trovino di tanto strano in questa Cina per cui tutti ne parlano, la stragrande maggioranza peraltro senza nemmeno esserci stato.
Allora, con altri cervelli presumibilmente di prima classe di una nota multinazionale venuti da tutte le parti del mondo, ci siamo trovati in un bell'hotel nel sudovest della Cina a discutere di cose che non hanno nulla di segreto ma che penso di essere tenuto a non raccontare esattamente in un blog pubblico. Alla fine mi sono chiesto cosa sia davvero specifico in questa attenzione globale verso la Cina e mi sono reso conto che mi restavano in mano giusto quattro cose e che peraltro nemmeno di quelle ero completamente convinto. La prima e’ molto semplice: la Cina è grande, anzi molto grande, anzi enorme. E’ un fatto, è numerico, matematico, algebrico e in quanto tale quasi incontrovertibile. Per quanto però questo non sia il solo paese enorme sulla faccia della Terra. Seconda viene quella vecchia faccenda del comunismo, per quanto oggi la Cina sia più o meno un capitalismo di stato, non si può dimenticare che questa nazione viene da decenni di chiusura e quasi isolamento comunista. Per quanto in realtà di questo non sia rimasto tantissimo oggi e per quanto peraltro anche qui di sistemi politico-economici più o meno simili - ancorati a destra o a sinistra - ce ne sono, ce ne sono stati e ce ne saranno anche altri al mondo (più interessante notare come al momento molti sistemi recentemente diventati ex-comunisti abbiano parecchio successo nell'economia globale capitalistica). Il terzo punto comincia a essere più interessante: per tutta una serie di ragioni prevalentemente storiche ceh vedremo dopo, oggi in Cina ci troviamo di fronte a una società di un miliardo e trecento milioni di esseri umani naturalmente caratterizzati da una fortissima tendenza a un comportamento collettivo. Il quarto e ultimo puinto è forse la sola, vera, assoluta peculiarità Cinese: questa è l’unica nazione nel mondo e nella storia che abbia adottato coscientemente e per legge una politica di controllo delle nascite che impone a ciascuna coppia di non procreare più di un solo figlio nell'arco della loro vita. Praticamente siamo sotto quella che gli esperti chiamano “soglia di sostituzione”. Le conseguenze di questa scelta oggi non le percepiamo ancora direttamente, troppo distratti a discutere di concetti inutili quali destra e sinistra, capitalismo e comunismo, ma tra qualche anno questa cosa potrebbe cambiare il mondo e tra poco proverò a spiegarvi perché.
Ma prima - per completare il discorso qui sopra - chiudiamo concordando che niente di tutto quello di cui si discute è completamente specifico alla Cina: esistono al mondo diverse nazioni enormi, altre ancora che adottano un capitalismo controllato da uno stato centralizzato, ce ne sono e ce ne sono state fortemente guidate da comportamenti collettivi e quanto alla legge di singola gravidanza non mi sentirei di giurarvi che i Cinesi la rispettino sempre e comunque. Alla fine la vera anima di questa Cina è la somma dei quattro punti (e di diversi altri caratteri minori) con in aggiunta l’enorme moltiplicatore delle dimensioni che aggiungono alla situazione uno spessore senza precedenti nella storia del mondo. Per il resto nulla di nuovo, anzi parecchio di ben conosciuto: una sorta di America del primo Novecento o di Italia del dopoguerra. Quella che viene definita “l’officina del mondo nel delta del Pearl River” somiglia molto più a come mio padre mandava avanti la sua piccola azienda familiare negli anni cinquanta che non all’estrema evoluzione delle garage company di Silicon Valley: lavoro ventiquattrore su ventiquattro sette giorni su sette con qualsiasi mezzo e su qualsiasi commessa, nei tempi prima che si inventassero le trentacinque ore, il work-life balance, gli uffici igiene, le direttive ISO e le ferie sulla riviera romagnola. La Cina – almeno per ora - sono un miliardo e trecento milioni di persone che, con solo i lineamenti sul viso di una razza diversa, rifanno l’Italia del dopoguerra.
(continua...)
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