Foto di Jo Pace
Sonetti ad Orfeo, I, 19
Anche se il mondo si muta,
rapido, come forma di nuvola,
ogni cosa compiuta ricade
in grembo all’antica.
Ma sovra al mutare e ai cammini,
più dispiegato e più libero,
rimane il tuo canto,
o Dio sacro alla cetra.
Ignoti sono i dolori,
e oscuro rimane l’amore;
che sia che ci sospinge alla morte
è nelle tenebre avvolto.
Solo il canto, qui sulla terra,
consacra e onora.
R. M. Rilke
Ho utilizzato la traduzione della versione italiana di Martin Heidegger, Perché i poeti?, in Sentieri interrotti...
La lirica che ho trascritto è proprio quella che Heidegger ha posto al centro del suo saggio, dove si domanda se anche Rilke appartiene come poeta al tempo della povertà...nel momento in cui gli Dei, come narra Hölderlin nella sua famosa Elegia, hanno abbandonata la Terra, e nel momento in cui s’è spezzata l’Armonia tra l’uomo e la natura, che destinazione o senso può avere la poesia?È una domanda che ogni poeta, degno di questo nome, dovrebbe porsi, come più avanti farà anche lo stesso Rilke... ma, per rispondere a questa domanda, la poesia deve diventare pensiero poetante, poiché non esiste più quella comunicazione diretta tra l’umano e il divino...La moderna società ha spezzato l’incantesimo, ha dissolto la poesia che un tempo aleggiava sul mondo... la tecnica ha svelato la sua vera essenza, e ha finito col ridurre ogni cosa a mezzo...Dunque, cosa resta oggi della poesia se non il canto? Poiché non c’è più il nascondimento della verità dell’Essere...In questo senso credo che Heidegger ha colto una verità importante: l’eccesso di comunicazione (della tecnica) rischia di far perdere alle parole il suo peso e la sua consistenza... le parole diventano sempre più enti interscambiabili... pertanto anche il messaggio poetico sta sempre più perdendo il suo valore nell’era della tecnica...Ecco, io credo che bisogna misurarsi con questi problemi se vogliamo continuare a scrivere versi...