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Perché la comicità anglosassone è migliore di quella italiana

Creato il 02 dicembre 2014 da Redatagli
Perché la comicità anglosassone è migliore di quella italiana

John William Oliver di mestiere fa il comico. Nativo di Birmingham, si laurea in lettere a Cambridge e inizia la sua carriera con la classica gavettaDopo i primi spettacoli nei teatri londinesi, viene ingaggiato per Mock The Week, programma della BBC a base di improvvisazioni, satira e umorismo politicamente scorretto. 
Diversi spezzoni dello show, giunto ormai alla sua 13a edizione su BBC2, sono disponibili su YouTube, e indovinate un po' qual è l'argomento dell'unico sketch sottotitolato in italiano - sketch peraltro nemmeno dei più riusciti - disponibile in Rete. 

Nel 2006, dopo due stagioni di MTW, Oliver viene reclutato dal The Daily Show with Jon Stewart, vera e propria istituzione della satira statunitense.
Lo show, guidato da Jon Stewart dal 1999, si presenta come un finto telegiornale, in cui il conduttore e vari inviati trattano a modo loro i temi della giornata, spesso legati alla politica interna. Gli ospiti illustri non mancano: Barack Obama è stato intervistato da Stewart ben due volte, prima da senatore e poi da Presidente.
L'emittente del format, Comedy Central, è disponibile solo via cavo: ciò nonostante lo show - che va in onda dal lunedì al giovedì e dura circa 25 minuti - fa registrare almeno 1,5 milioni di telespettatori a puntata, e diverse ricerche hanno mostrato come un'ampia fascia della popolazione statunitense consideri lo show quasi più affidabile dei comuni canali di informazioni, quali CNN e Fox News.

Dopo una lunga collaborazione e una breve fase di interregno (per due mesi John Oliver ha condotto lo show mentre Jon Stewart era alle prese con la direzione di un film), ecco che al comico inglese viene affidato un programma tutto suo: Last Week Tonight with John Oliver. Tipi didascalici, questi statunitensi.
Il canale non è Comedy Central, ma la celebre HBO. Che poi, a dirla tutta, l'Italia ha scoperto la HBO solo grazie al fenomeno Tette e Medioevo (sì, insomma, Game of Thrones, di cui abbiamo già parlato qui, qui e qui) e all'isteria di massa che ha portato decine di migliaia di gggiovani a sbavare davanti a un numero sempre più grande di serie tv, di cui True Detective è l'ultima in ordine di tempo.

Last Week Tonight, che come si può intuire ha cadenza settimanale, riprende in parte la struttura del Daily Show: Un anchorman, una scrivania, trenta minuti di air-time e diverse tirate sulle pecche del mondo politico a stelle e strisce.
Ma John Oliver è riuscito a prendere una direzione diversa, a mio avviso perfino migliore. Innanzitutto, per una volta, a fare satira sulla politica americana in un format americano è uno straniero, una novità assoluta. Oliver, anche grazie al suo passato a Cambridge, attinge a un vocabolario ricchissimo e ricorre talvolta a battute molto sottili, meno frequenti negli show americani, dove gli host prediligono un approccio più diretto. Certo, dopo anni "sul campo" a New York, anche il buon John non si fa problemi a ricorrere a svariati fuck, ma solo quando la situazione lo richiede, senza mai farne un uso gratuito.

A Last Week Tonight, inoltre, non ci si ferma alla satira politica, e soprattutto non ci si ferma agli Usa. Nel primo episodio, con un certo coraggio, Oliver ha scelto di trattare un tema importante, ma non certo cruciale per gli standard americani: le elezioni in India.

La caratteristica che rende lo show unico è proprio questa: la capacità di alternare argomenti seri di portata nazionale (la pena di morte, il caso Ferguson, la questione della net neutrality che sta facendo impazzire l'amministrazione Obama in questi giorni) e argomenti di respiro internazionale (le già citate elezioni in India, i mondiali di calcio in Brasile, le leggi anti-gay in Uganda o il referendum per l'indipendenza scozzese), inserendo qua e là notizie tanto insulse quanto spassose: impossibile ignorare l'appello in favore dei gechi russi spediti in orbita [spoiler: non è andata a finire bene], o la degna celebrazione del cannone a salmone.

Satira e nonsense, cronaca e approfondimenti: uno show comico che fa informazione, un programma di news che fa ridere, scegliete voi. E qui purtroppo occorre tirare in ballo quella desolata, invivibile, deprimente landa deserta che è il panorama comico italiano.
Per trovare un programma che si avvicini vagamente al format di Oliver occorre scavare nei meandri di Youtube e andare a ripescare video di inizio millennio, quando Luttazzi - prima del famigerato editto bulgaro - aveva portato in Rai scrivania e tazza di caffé, tratti caratteristici del talk show all'americana. 

È quella che in gergo tecnico si chiama stand-up comedy: un comico sale su un palco, con solo un microfono in dotazione, e intrattiene gli spettatori con un monologo. È il contrario della situation comedy (o sit-com), perché sul palco non c'è alcuna scenografia e l'attore resta in piedi (da qui lo stand-up) e può fare affidamento solo sul suo talento.
Tra le autorità in materia figurano gli americani Bill Hicks e George Carlin (entrambi morti) e i britannici Frankie Boyle e Ricky Gervais (entrambi vivi). 
In Italia la stand-up comedy latita: la pagina inglese di Wikipedia - per quello che può valere - annovera tra gli italiani cinque nomi in tutto: Benigni, Grillo, Crozza, Luttazzi e Fiorello
Luttazzi, dopo la storica apparizione a Raiperunanotte, è sparito dalle scene; Grillo, come tutti sappiamo, si è dato alla politica, mentre Fiorello si divide tra radio e pubblicità Wind. 
Benigni è un signor comico, ma ultimamente lo abbiamo visto in tv più come cantore della Divina Commedia che come fustigatore di costumi. 
L'unico ad avere uno spazio fisso in tv, e soprattutto un programma tutto suo, è Maurizio Crozza, che però raramente va oltre la derisione del teatrino politico italiano, ricorrendo spesso (forse troppo) alle imitazioni dei suoi protagonisti. 
A questo filone di comici possiamo aggiungere Neri Marcoré, che però si dà più volentieri alla recitazione seria, e la famiglia Guzzanti, anch'essa semi-ostracizzata dalla tv e costretta a esibirsi nei teatri.

Perché la comicità anglosassone è migliore di quella italiana
Da non molto è ricominciato Zelig, ex-programma di successo sottoposto a diversi tentativi di rianimazione, tutti vani. Di Colorado Café eviterei di parlare, siccome non è altro che uno Zelig più volgare e ancora meno riuscito. Le Iene si sono date al sensazionalismo spinto e dopo il caso Stamina hanno perso ogni credibilità residua, mentre Striscia la Notizia continua a (pensare di poter) campare sulle gag di Greggio, le stesse da almeno vent'anni. Perfino la Gialappa's Band, unica gioia in un mare di apatia, è sparita dai radar televisivi.
Sky Italia ha proposto una sua versione di Comedy Central, ma i risultati sono imbarazzanti (qui un breve assaggio). In Rai ci sono i monologhi stucchevoli della Littizzetto da Fazio, e poi? Una delle voci fuori dal coro è quella di Maccio Capatonda, attualmente su MTV, che tuttavia non va oltre il nonsense e l'umorismo demenziale.

Insomma, in ogni caso la nostra programmazione comica esce con le ossa rotte dal confronto con un solo programma statunitense. Non voglio fare l'esterofilo a tutti i costi, ma è palese che l'Italia, dove Checco Zalone e Frank Matano sono considerati geni della comicità, è un Paese dove non si ride bene.
E soprattutto dove non si dà spazio alle notizie che contano.

Francesco Panzeri
@franciswolves


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