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Perché La Critica Letteraria ha Bisogno di Computer e Metodo Scientifico

Da Arturo Robertazzi - @artnite @ArtNite

Perché La Critica Letteraria ha Bisogno di Computer e Metodo Scientifico

Negli ultimi mesi mi sono appassionato alle Digital Humanties (informatica umanistica in italiano), una disciplina emergente che impiega strumenti computazionali, algoritmi e statistica nello studio della letteratura. Nel primo blog post in cui ho introdotto le Digital Humanities su Scrittore Computazionale, concludevo con una domanda, se vuoi, un po’ filosofica. Dopo aver spulciato la rete per qualche settimana, oggi provo a rispondere a quella domanda:

Perché abbiamo bisogno delle Digital Humanities?

Proprio qualche giorno fa ho scritto di Information Overload, sovraccarico informativo. E’ così: siamo sommersi da Film, da opere d’arte, da musica, tutto ovunque, tutto, sempre, online. E con il dilagare dei social network, siamo tutti artisti, tutti fotografi, tutti scrittori, tutti critici. Tutti e nessuno.

Pensa, nel mondo produciamo circa 6000 libri ogni giorno. Ovvio che il lettore impazzisca. Alcuni sostengono si debba porre un limite a questa produzione, che bisogna vagliare, selezionare. Questo ovviamente pone un problema non di poco conto: chi è colui che seleziona? Le case editrici? Il Critico? Il Lettore? Tutte questioni importanti e interessanti. Lasciamole per un momento, io sono di un’altra opinione.

Un film, un romanzo, una canzone, un input umano è informazione, è un dato. E non c’è dato giusto o sbagliato, perché il dato è oro. Anzi, la proliferazione di dati, quando spinta all’infinito, fornisce l’immagine esatta di una certa realtà.

La proliferazione dei dati quindi non può essere il problema. Piuttosto abbiamo bisogno di metodi adeguati che ci permettano di districarci nell’infinità informativa che ci sommerge.

Questa è secondo me la ragione per cui le Digital Humanities sono fondamentali, perché, impiegando strumenti computazionali, si pongono come scopo quello di digitalizzare, catalogare, analizzare la quantità immensa di testi prodotti dal genere umano.

Lettura ravvicinata, lettura distante.

In un’intervista a Nature Podcast, Matthew L. Jockers, Assistant Professor of English at the University of Nebraska, racconta le Digital Humanities e l’importanza di questa disciplina emergente.

Finora, sostiene Matthew L. Jockers, lo scopo principale della critica letteraria è stato quello di studiare singoli testi, in quello che definisce come “close reading”, lettura ravvicinata.

Con la digitalizzazione di centinaia di migliaia di testi, alla “close reading” si affianca la possibilità di studiare la letteratura individuando andamenti, modelli, leggi nascoste e catalogando i testi in funzione del tempo, della lingua, dell’origine geografica. Questa è quella che Matthew L. Jockers definisce macroanalisi della letteratura o che il suo collega alla Stanford University, Franco Moretti, chiama “distant reading“, lettura distante. (se te lo stai chiedendo, ti rispondo sì, Franco è il fratello di Nanni)

Il metodo scientifico nella critica letteraria

Attraverso l’analisi computazionale di migliaia di testi digitalizzati, questo approccio permette la raccolta di evidenze che possono confermare ipotesi formulate attraverso la tradizionale lettura ravvicinata.

Matthew L. Jockers, in un studio ripreso dal Science Daily, fa un esempio che trovo molto interessante, il capolavoro di Melville, Moby Dick.

Che l’opera di Melville fosse fuori dagli schemi era già evidente con il tradizionale approccio del “close reading”. Lo studio computazionale di circa 3500 testi pubblicati tra il 1700 e il 1900 e la conseguente analisi comparativa ha rivelato che Moby Dick è “statisticamente fuori dagli schemi”, essendo il cluster Melville un outlier nella Literature Map ottenuta da Matthew L. Jockers.

Trovo notevole che la macroanalisi del testo possa introdurre un elemento scientifico nello studio della letteratura. Se le ipotesi proposte da un critico mediante la lettura “ravvicinata” di singole opere possono essere confermate o confutate attraverso una macroanalisi statistico-computazionale, allora la critica letteraria acquisisce un mezzo simile a quello utilizzato dalla scienza.

Il critico computazionale

Sarà che ho letto troppi romanzi di fantascienza, sarà che ogni giorno, per il mio lavoro di ricerca, uso i computer per simulare reazioni chimiche, riprodurre interazioni tra DNA e farmaci, predire la struttura e la dinamica di proteine. Sono un chimico che per rispondere alle domande relative a problemi di (bio)chimica utilizza matematica, algoritmi e strumenti computazionali.

L’uso di computer, di modelli matematici e statistici sta travalicando i confini della scienza, addentrandosi in territori finora stranieri, come, per esempio, la letteratura. E’ forse arrivato il momento che il critico letterario accenda il computer, studi la matematica oltre alla letteratura, familiarizzi con la statistica e affianchi all’analisi ravvicinata di singoli testi, la macroanalisi della lettura distante.

Perché, come scrive Franco Moretti, un campo immenso come la letteratura non può essere capito cucendo insieme pezzi scollegati di conoscenza; la letteratura non è una somma di singoli casi, piuttosto è un sistema collettivo, che andrebbe compreso nel suo insieme.

Cosa pensi dell’impiego di computer, statistica e modelli matematici nello studio della letteratura? Ne abbiamo davvero bisogno? Condividi la tua opinione nei commenti.

Perché La Critica Letteraria ha Bisogno di Computer e Metodo Scientifico

 

L’high perfomance computing è cruciale nell’analisi su larga scala di sequenze di DNA. Per questa ragione l’università dell’Illinois ha lanciato quest’anno l’High-Performance Biological Computing, che fornisce consulenza e supporto alla communità di biologi che si occupa di bioinformatica e genomica. L’immagine originale del post è qui.

 



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