Magazine Psicologia
Tale ferma convinzione non vuole essere una sterile posizione teorica, ma un'evidenza sperimentata nel trattamento e nella cura di migliaia di casi in cui abbiamo constatato l'etichettante riduttivitá meccanicista di qualsivoglia DSM (si tratta di uno dei sistemi nosografici per i disturbi mentali più utilizzato da psichiatri e psicologi di tutto il mondo, giunto ormai alla sua quinta edizione) e la sua straordinaria capacità di creare problemi, a partire da semplicistiche letture psicologiche, anziché contribuire a risolverli.
Questo potere etichettante é di assoluta evidenza, ad esempio nella scuola -e lo diciamo a ragion veduta, visto che si tratta di uno dei maggiori contesti in cui siamo chiamati a realizzare i nostri interventi.
La scuola, infatti, come abbiamo più volte sottolineato nei post precedenti, sembra essere luogo privilegiato di psicologi e esperti somministratori di test che, attraverso le loro deformanti lenti di lettura della realtà, individuano soggetti caratteriali, iperattivi, segnati da deficit di attenzione e quant'altro.
Non è un caso che, con una miopia tipica del nostro mondo psicocentrato, nelle nostre scuole è figura istituzionalizzata lo "psicologo scolastico", emblema di una scuola che, invece di viversi come fondamentale momento vitalizzante, si percepisce come luogo del sintomo e della patologia.
Questo, infatti, è il modo attualmente privilegiato di trattare i problemi dei giovani soggetti in apprendimento: inserirli in pericolose categorie psicopatologiche che creano esse stesse la patologia.
È davvero incredibile come, invece di domandarci come risolvere un qualsiasi problema, sembriamo sempre più votati a chiederci perché sussiste quel problema rimandando spesso a mai il come risolverlo.
La nostra cura, per contro, funziona perché non siamo interessanti alla diagnosi o, per meglio dire, siamo concentrati a fare in modo che qualsivoglia diagnosi non prenda il posto della persona, perché per noi conta tanto più aiutare un bambino che zoppica a non zoppicare, che non capire perché zoppica secondo parametri arbitrari e tassonomie culturali.
La nostra cura funziona perché si concentra sulle soluzioni operative e non su mere e arbitrarie interpretazioni descrittive.
La nostra cura funziona perché restituisce dignità alla persona e a tutti coloro che partecipano al suo universo affettivo, rimettendole al centro del processo di cura quali soggetti attivi della stessa e non meri oggetti di indagine.
Massimo Silvano Galli
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