Perché la Russia è un pericolo per l’Europa (e nessuno lo dice)

Creato il 16 luglio 2012 da Eastjournal @EaSTJournal

Posted 16 luglio 2012 in J'accuse, Russie, Slider with 0 Comments
di Matteo Zola

Benché le cancellerie di mezza Europa e gran parte dell’opinione pubblica la accolgano a braccia aperte, la Russia è un pericolo per il vecchio continente. Le alleanze energetiche  e politiche strette con il Cremlino da molti paesi europei hanno un duplice effetto negativo: da un lato isolano quelle nazioni europee (in genere della pars orientalis) che, per travagliate vicende storiche, guardano a Mosca con diffidenza e ostilità; dall’altro rendono il continente dipendente dall’energia russa con tutti i contraccolpi diplomatici che questa dipendenza crea. Ma andiamo con ordine.

Tra libertà e dispotismo

C’è anzitutto una differenza culturale tra il mondo orientale e quello occidentale. Diceva Federico Chabod, storico formatosi nel milieu culturale torinese, che quella tra Europa e Asia è la storia di una divisione: il senso di un’Europa opposta all’Asia per costumi e, soprattutto, per organizzazione politica; un’Europa che rappresenta lo spirito di «libertà» contro il «dispotismo» asiatico. Una libertà che trova fondamento nel peculiare sistema giuridico europeo che (e qui cita Erodoto) si fonda sul vivere secondo le leggi (questo il concetto di “libertas” caro ai latini) e non soggetti all’arbitrio di un despota. Questa divisione vale ancora. La frontiera tra Europa e Asia è mobile, ma corre grossomodo lungo la grande pianura russa, dove l’Europa sfuma nell’Asia. La Russia, lo sappiamo tutti, ha una profonda anima europea, Puskin e Dostoevskij sono lì a dimostrarlo ma l’attuale regime politico russo (e giocoforza quello dei suoi stati satelliti) è innegabilmente orientato al despotismo.

Il governo russo è una monarchia assoluta temperata dall’assassinio. (Astolphe de Custine)

L’imperialismo russo, un male per l’Europa

La Russia, che nell’alto Medioevo nasce nell’area kieviana ad opera di una élite scandinava, esce dalle invasioni dei popoli delle steppe profondamente mutata nel suo assetto etnico. Per vocazione e necessità si lancia verso l’Europa.

In Russia esiste una emigrazione degli intellettuali: si passa il confine per leggere e scrivere buoni libri. Ma così si fa in modo che la patria, abbandonata dallo spirito, diventi sempre più la bocca spalancata dell’Asia, che vorrebbe inghiottire la piccola Europa (Friedrich Nietzsche)

Nel corso del XVII° secolo diventa un grande impero euro-asiatico. Nel 1714 la Russia conquista la Finlandia e si lancia sul Baltico. Nel 1772 si prende la Polonia, si annette la Bielorussia e l’Ucraina. Nel 1877 entra nei Balcani orientali a favore della rivolta bulgara e contro l’Impero Ottomano. Poi due guerre mondiali e una rivoluzione che non ha cambiato la vocazione geopolitica russa: ancora nel 1989 la “Russia” arrivava fino a Berlino, Bucarest e Praga. Dove la Russia è arrivata, zarista o sovietica che fosse, ha soppresso scuole, proibito lingue, usi e costumi; ha perseguitato fino alla morte gli oppositori politici; ha depredato l’economia locale. A differenza della Roma antica, che non praticava politiche assimilazioniste, la “Terza Roma” è sempre stata votata alla russificazione lasciando ferite indelebili nelle popolazioni soggette. Se l’opposizione tra Europa e Asia è quella tra libertà e despotismo, possiamo allora dire che la Russia ha esportato il despotismo fin nel cuore del vecchio continente. Non a caso il 1989 è considerato una liberazione.

Servi di due padroni

Da allora molte nazioni europee sono rinate, dal Baltico al Caucaso, ma passato il breve periodo di disordine (seguito all’89 e dovuto anche a un tentativo occidentale di asservirla) la Russia è tornata protagonista della scena internazionale, forte anche del suo seggio permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il Cremlino ha cominciato a svolgere una fondamentale azione di bilanciamento alla politica americana, favorita in questo da un quadro internazionale che ha visto una (lieve) regressione della superpotenza americana e il sorgere di nuove potenze regionali, Cina, India, Brasile e, appunto, Russia. Ma, accettate la provocazione, su quale “regione” intende dominare la Russia? Sul Caspio? sull’Asia Centrale? sull’Europa?

Si obietterà che il dominio russo in Europa è impossibile a causa della presenza massiccia di basi militari americane e atlantiche sul territorio europeo. Vero. Ma il dominio non è solo quello militare. Oggi più che mai è in atto una corsa alle risorse energetiche. Allontanato lo spauracchio della guerra atomica, “sicurezza” oggi vuole anzitutto dire “sicurezza energetica”: senza petrolio e senza metano le industrie si fermano, l’esercito resta chiuso in caserma e la gente muore di freddo. La Russia possiede enormi giacimenti di idrocarburi ed è leader mondiale nell’estrazione ed esportazione di metano. Gazprom è la società pubblica che gestisce questo tesoro. Molti paesi europei, Italia, Germania, Francia in testa, hanno stretto importanti rapporti energetici con la Russia ma, per così dire, non da soci paritari. Il rischio è quello di essere servi di due padroni: da un lato la servitù militare degli americani e della loro alleanza iniqua; dall’altra la servitù energetica verso la Russia.

Le pipelines, ovvero aggirare ed eliminare gli ostacoli

La Russia è un paese con un passato imprevedibile. (Yuri Afanasiev)

Le pipelines (gasdotti ed oleodotti) partono dalla Siberia, dal Caspio, e attraversano “zone calde” per poi arrivare in Europa. Quali sono queste zone calde? Il Caucaso, anzitutto, non a caso oggetto dell’aggressiva politica estera del Cremlino. L’Ucraina, in secondo luogo, che con la sua “rivoluzione arancione” ha rischiato di passare all’occidente. La Bielorussia, dell’autocrate Lukashenko, amico (ma non troppo) del Cremlino. Il Baltico, dove giovani democrazie sentono sul collo l’alito dell’antico oppressore. Quello ucraino è un nodo fondamentale: citando Zbigniew Brzezinski “senza l’Ucraina la Russia non può essere un impero”. L’ingerenza russa nella politica interna ucraina è rimarchevole, forte anche di una minoranza russa e russofona tradizionalmente legata a Mosca. Di candidati filo-russi si parla ogni qualvolta ci sia un’elezione anche in Georgia. Mentre i paesi baltici si sono visti aggirare dal cosidetto “North Stream”, un gasdotto sottomarino che collega la Russia alla Germania bypassando (e isolando dal punto di vista energetico) i baltici, dove la minoranza russofona e russofila, foraggiata dalle Ong targate Putin, è sempre più forte. Proprio quella Germania il cui cancelliere, Gherard Schroeder, alla fine del suo mandato è andato a fare il dirigente per Gazprom. Il North Stream bypassa anche la Polonia, paese antirusso per eccellenza, tante ne ha viste e subite, con la quale Mosca fatica a mantenere rapporti costruttivi. La Polonia stessa non fa granché in tal senso: lo scudo missilistico Nato, ufficialmente rivolto verso Teheran, ha trovato casa sul confine russo-polacco. La risposta sono stati i missili Iskander nell’enclave russa di Kaliningrad.

Nabucco, un fallimento europeo

Una situazione tesa, insomma. Nei Balcani, invece, Bulgaria e Serbia non vedono male la presenza di Mosca e aprono le loro frontiere alle aziende russe, siglando accordi energetici e infrastrutturali. L’Italia, dal canto suo, è partner di Gazprom per il gasdotto South Stream, diretto concorrente del progetto Nabucco. Anche Romano Prodi, al termine del suo mandato da presidente del Consiglio, aveva ricevuto da Gazprom offerta simile a quella fatta al tedesco Schroeder. Il Nabucco era stato pensato dai principali paesi europei per garantire autonomia energetica al vecchio continente: pagato coi soldi comunitari (non americani!), doveva mettere in sicurezza (almeno dal punto di vista energetico) il progetto di unità europea. Ma i soldi sono finiti in fretta, Italia e Francia hanno preso a investire sul South Stream russo, Eni, Edf e Gazprom sono diventate partner. In cambio Eni ed Edf potranno partecipare a progetti in Asia centrale, come il famoso Tapi, gasdotto transafghano che (casualmente) passa dalla provincia di Herat, quella controllata dall’esercito italiano.

Il lettone di Putin, giornalisti prezzolati

Probabilmente molti non ritengono che l’alleanza con la Russia sia necessariamente un male. per l’Europa e per l’Italia in particolare. La loro convinzione, almeno in parte, sarà stata sicuramente influenzata dai media. E qui bisogna parlare fuori dai denti, a costo di beccarsi qualche insulto: la Russia finanzia propri organi di stampa all’estero. E’ il caso di Russia Oggi, che fa parte del progetto Russia Beyond the Headlines, finanziato dalla Rossiyskaya Gazeta, uno dei principali quotidiani russi. La Rossiyskaya Gazeta (www.rg.ru) è la gazzetta ufficiale del governo russo, sede della pubblicazione ufficiale di leggi, decreti e dichiarazioni ufficiali delle istituzioni statali. Tra i suoi partner c’è La Voce della Russia, sito in lingua italiana dell’omonima radio, organo di “propaganda” (fate caso alle virgolette) del Cremlino. Russia Oggi ha molti partner europei: Le Figaro in Francia, Le Soir in Belgio, El Pais in Spagna, il Daily Telegraph in Gran Bretagna, persino il NY Times e il Washington Post negli Stati uniti. E in Italia? La Repubblica, giornale del gruppo editoriale L’Espresso, che pubblica anche la rivista di geopolitica Limes.

Ora, nessuno dice che esista una spectre dell’informazione mondiale filo-russa, per carità. Ma avere rapporti economici con un organo di stampa che fa direttamente capo allo Stato russo, non rischia di influenzare l’obiettività delle notizie riportate? Nel caso di Limes, ad esempio, pare innegabile una tendenza filo-russa. E’ ovvio che ogni testata segue una propria linea editoriale, che può essere pro o contro quel che vuole,  ma la domanda è: conviene? Ecco che il “lettone di Putin” è molto più di un’imbarazzante ricordo del berlusconismo, quanto piuttosto una rete di relazioni che rischia di adombrare le criticità di una simile liason.

Conclusioni

Secondo chi scrive, non conviene. Per una serie di motivi. 1) L’alleanza energetica con la Russia è, giocoforza, anche un’alleanza politica: questo rischia di influenzare la politica estera del Paese europeo ad esempio in materia di diritti umani (vedi il caso ceceno o la guerra russo-georgiana). I paesi europei, se ancora sono portatori di quei valori di libertà che dicevano Chabod ed Erodoto, non dovrebbero quantomeno rifiutare (o sottoporre a clausole) le relazioni con un Paese despotico? 2) La Russia ha sempre avuto, nella sua Storia, una spinta dominatrice verso l’Europa. Siamo sicuri che quest’alleanza non si trasformi in un cappio? 3) Quei paesi europei che, per ragioni storiche, non intendono avviare relazioni con la Russia rischiano di trovarsi isolate, sia dal punto di vista diplomatico che energetico. Non è questo è un ulteriore colpo all’unità e solidarietà europea? 4) Gas russo e basi militari atlantiche, la “sicurezza” europea (energetica e militare) rischia di realizzare una doppia servitù.

Qualcuno forse riterrà quanto scritto figlio di un pregiudizio antirusso. La Russia non è il colosso dai piedi di creta che diceva Diderot: nell’affermare la marginalità della Russia c’è il pregiudizio. Chi scrive ritiene che le relazioni tra Russia ed Europa siano inevitabili e fondamentali per la crescita del vecchio continente: non si può metetre la Russia all’angolo come invece si cercò di fare nei primi anni Novanta. Ma la natura di quelle relazioni dovrà essere paritaria se non vorremo soccombere al suo spirito matrigno:

La Russia cos’è? Forse per capirlo dovrebbe accettare la sua natura femminile. Si dice Santa Madre Russia, eppure per gran parte della sua storia ha aspirato a diventare uomo. Vuole cambiare sesso. Porta la gonna, ma vuole i pantaloni. (Viktor Vladimirovič Erofeev)

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