Perché le terapie alternative sembrano funzionare.

Creato il 02 settembre 2010 da Silvanocavallina @Soc1000Blog

Normalmente chi vende una terapia di qualsiasi tipo ha l’ obbligo di provare in primo luogo che i trattamenti previsti non facciano male, e in secondo luogo che siano efficaci. Questo secondo compito è spesso il più difficile, dato che vi sono molti modi subdoli con i quali persone oneste e intelligenti (sia pazienti che medici) possono essere indotti a pensare che un trattamento abbia curato qualcuno anche quando non è così. Ciò è vero sia che si tratti di valutare qualche nuovo trattamento nella medicina scientifica, che qualche vecchio rimedio della medicina popolare, o trattamenti collaterali della “medicina alternativa” o le panacee decisamente magiche di guaritori. Per controllare possibili rimedi e distinguere tra i miglioramenti veri e quelli casuali che possono seguire un intervento, sono stati messi a punto dei procedimenti obiettivi. Se una tecnica, un rituale, un medicamento o un procedimento chirurgico non segue questi procedimenti è moralmente discutibile offrirli al pubblico, specie se vi è uno scambio di denaro. Dato che molte delle terapie “ alternative” (quelle cioè non accettate dalla bio-medicina scientifica) appartengono a questa categoria, c’ è da chiedersi come mai molti consumatori che non acquisterebbero nemmeno un tostapane senza aver prima consultato il Consumer Report (equivalente di riviste come Altro Consumo, NdR) buttino via, con fiduciosa ingenuità, notevoli somme di denaro per interventi sulla salute non provati e forse dannosi. Per molti anni i critici hanno sollevato dubbi sulle pratiche mediche collaterali, ma la popolarità di tali rimedi sembra inalterata. Dobbiamo chiederci perché le affermazioni di chi opera in quest’ area siano così refrattarie a ogni dato loro contrario. Se una terapia “ alternativa” o “ complementare” :

1) non è credibile già a priori (in quanto implica meccanismi o promette effetti che contraddicono leggi ben stabilite, principi o dati empirici di tipo fisico, chimico o biologico).
2) è carente di per sé stessa di una razionalità scientificamente accettabile
3) ha insufficienti prove derivanti da una ricerca adeguatamente controllata (ad es. con prove cliniche in doppio cieco, randomizzate, e confrontate con un placebo)
4) ha fallito in studi clinici ben controllati eseguiti da valutatori imparziali e non è stata in grado di far scartare spiegazioni alternative per ciò che sembra funzionare in condizioni non controllate, e …
5) sembra improbabile, anche a persona incompetente, sulla base del comune “ buon senso

perché mai tanta gente bene istruita continua a vendere e comprare una tale terapia? La risposta, credo, nasce dalla combinazione di una vigorosa propaganda delle pretese infondate di guaritori “ alternativi” (Beyerstein e Sampson, 1996), con un basso livello di conoscenza scientifica del grande pubblico (Kiernan, 1995) e con la “ voglia di credere” tanto prevalente in soggetti attratti dal movimento New Age (Basil, 1988; Gross e Levitt, 1994). Il fascino della medicina non scientifica è in gran parte un derivato dei sentimenti popolari di “ controcultura” degli anni 1960 e 70. Residui delle tendenze di ribellione tipo “ ritorno alla natura” di quegli anni sopravvivono come desiderio nostalgico dei sistemi di cura del diciannovesimo secolo democratizzati (ora trasformati nei movimenti dei diritti dei pazienti) e come insoddisfazione per i trattamenti specialistici di malattie, burocratici e tecnologici (Cassileth e Brown, 1988). Allo stesso modo il richiamo dei dogmi “ olistici” della medicina alternativa derivano dal fascino del misticismo orientaleggiante emerso negli anni 60 e 70. Per quanto la filosofia e la scienza che sono alla base di queste tecniche olistiche siano stati severamente criticati (Brandon, 1985), conservano un forte richiamo per quanti sono portati a credere nelle cure del tipo “ la mente che controlla la materia” , nel considerare le patologie più sistemiche che localizzate, e nel ritenere onnipotente la capacità dell’ alimentazione a ristabilire la salute (concepita come un “ equilibrio” di tutto l’ organismo). Molti prodotti medicinali di dubbia efficacia restano sul mercato perché pazienti soddisfatti testimoniano della loro efficacia. Ciò che dicono è in sostanza: “ L’ ho provato e sono stato meglio, quindi deve essere efficace” . Ma anche quando i sintomi migliorano dopo un trattamento, ciò non prova di per sé che il trattamento sia stato la causa del miglioramento. La distinzione malattia-malessere Per quanto i termini malattia e malessere siano spesso usati come sinonimi, per i nostri scopi è bene distinguere tra i due. Userò il termine malattia per riferirmi ad uno stato patologico dell’ organismo dovuto a infezione, degenerazione dei tessuti, trauma, esposizione ad agenti tossici, carcinogenesi, ecc. Per malessere intendo il sentirsi male, sofferenti, disorientati, privi di alcune funzionalità o altro come possibile conseguenza di una malattia. La nostra reazione soggettiva alle sensazioni grossolane che chiamiamo sintomi dipende da fattori culturali e psicologici come credenze, suggestioni, attese, pretese, autoconvinzioni e autoillusioni. L’ esperienza del malessere è anche influenzata (spesso inconsciamente) dai vantaggi sociali e psicologici ottenibili da chi viene accolto nel ruolo di ammalato dai controllori della società (cioè dai professionisti della salute). Per certi individui i privilegi di stato e i benefici del ruolo sociale di ammalato sono sufficienti a prolungare il malessere anche quando la malattia è guarita o addirittura a creare sensazioni di sofferenza anche in assenza di malattia (Alcock, 1986). A meno che non si possano distinguere i molti fattori che contribuiscono alla percezione dello stare male, le testimonianze personali non offrono una base che consenta di giudicare se una terapia proposta curi realmente una data malattia. È per questo motivo che, per valutare ogni tipo di terapia, sono indispensabili test clinici con obbiettive misure fisiche. Una correlazione non implica un rapporto di causa-effetto Scambiare delle semplici correlazioni come rapporti di causa-effetto è la base della maggior parte delle credenze superstiziose, comprese molte nell’ area delle medicine alternative. Abbiamo la tendenza a ritenere che, quando delle cose avvengono contemporaneamente, debbano avere una connessione causale, per quanto ovviamente ciò non sia necessario. Ad esempio, c’ è una correlazione tra il consumo di bibite dolcificate e obesità. Forse questo significa che i dolcificanti portano le persone ad aumentare di peso? Quando ci basiamo sull’ esperienza personale per verificare l’ efficacia di trattamenti medici, molti fattori variano simultaneamente, rendendo estremamente difficile determinare quale è la causa e quale l’ effetto. Le esperienze personali costituiscono la base per cui si crede a terapie non ortodosse, ma si tratta di argomenti deboli a causa di quello che Gilovich (1997) ha chiamato il problema del “ confrontato con che cosa?” Senza un confronto con un gruppo simile di pazienti trattati nell’ identico modo tranne che per l’ assenza dell’ elemento ritenuto curativo, i singoli soggetti non potranno mai sapere se sarebbero migliorati altrettanto bene anche senza la cura. Dieci errori e fallacie La domanda allora è: come mai dei medici e i loro clienti, che si basano su evidenze aneddotiche e osservazioni non controllate, concludono erroneamente che una terapia è efficace? Vi sono almeno dieci buone ragioni. 1. La malattia può aver seguito il suo decorso naturale Molte malattie hanno un termine naturale; se non sono fatali o croniche, i processi di guarigione del corpo stesso ripristinano la salute del malato. Dunque, prima che una terapia sia riconosciuta efficace, si deve dimostrare che il numero di pazienti che figurano tra i “migliorati” sia maggiore della percentuale di quelli che ci si attende migliorino senza trattamento alcuno (o che migliorino più velocemente di quelli non trattati). A meno che un terapeuta non convenzionale non fornisca un elenco dettagliato dei successi e dei fallimenti su un numero sufficientemente grande di pazienti con lo stessa malattia, egli non può sostenere di aver superato la normale quota di miglioramenti o guarigioni spontanee. 2. Molte malattie sono cicliche L’ artrite, la sclerosi multipla, le allergie, i problemi gastro-intestinali, sono esempi di malattie che normalmente hanno i loro “ alti e bassi” . Naturalmente chi soffre tenderà a ricorrere alle terapie nella fase “ bassa” di ogni ciclo. In tal modo un trattamento inefficace avrà ripetute opportunità di coincidere con il miglioramento, che sarebbe avvenuto comunque. Ancora una volta, in assenza di un adeguato gruppo di controllo, sia i consumatori che i venditori sono portati a interpretare erroneamente come effetti terapeutici validi i miglioramenti dovuti alle normali variazioni cicliche. 3. Remissione spontanea Cure riportate per via aneddotica possono anche essere dovute a possibili, seppur rare, “ remissioni spontanee” . Anche tumori quasi sempre letali talvolta scompaiono senza alcun trattamento. Un esperto oncologo (Silverman, 1987) ha riferito di aver assistito a dodici di tali casi sui circa seimila da lui trattati. Terapie alternative possono ottenere approvazione non meritata grazie a questo tipo di remissioni, dato che molti pazienti disperati si rivolgono a esse quando pensano di non avere più nulla da perdere. Quando un “ alternativo” asserisce di aver salvato molti individui senza più speranze alle soglie della morte, raramente rivela quante siano queste fortunate eccezioni, in termini percentuali, rispetto ai loro pazienti considerati terminali. Ciò che viene richiesto è una evidenza statistica che la loro “ quantità di cura” supera la quantità di comparsa delle remissioni spontanee e di quelle dovute all’ effetto placebo (vedi più avanti). L’ esatto meccanismo responsabile delle remissioni spontanee non è ben compreso, ma vi sono molte ricerche volte a rivelarlo, ed è possibile che i responsabili per queste inattese inversioni siano i processi del sistema immunitario o altro. Il campo abbastanza nuovo della psiconeuroimmunologia studia come variabili psicologiche possano influenzare i sistemi nervoso, ghiandolare e immunitario in modo da ripercuotersi sulla suscettibilità a una malattia e sulla sua guarigione (Ader e Cohen 1993; Mestel, 1994). Se pensieri, emozioni, desideri, credenze, ecc. sono stati fisici del cervello, non c’ è niente di intrinsecamente mistico nel concetto che tali processi neurali possano influenzare i processi ghiandolari, immunologici o altri processi cellulari nel corpo. Tramite il sistema limbico del cervello, l’ asse pituiario dell’ ipotalamo ed il sistema nervoso autonomo, dei fattori psicologici possono produrre effetti fisiologici che si ripercuotono con effetti positivi o negativi sulla salute. Benché le ricerche abbiano confermato che questi effetti esistono, bisogna ricordare che essi sono piuttosto piccoli, e possono pesare forse per un qualche percento nelle statistiche delle variazioni delle malattie. 4. L’effetto placebo Una delle maggiori ragioni per cui a rimedi basati su pregiudizi si attribuiscono miglioramenti soggettivi e occasionalmente oggettivi, è il diffusissimo effetto placebo (Roberts, Kewman e Howell, 1993); Ulett, 1996). La storia della medicina è colma di esempi di quelli che, a posteriori, sembrano procedimenti discutibili, che una volta furono accolti con entusiasmo da medici e pazienti (Skrabanek e McCormick, 1990; Barret e Jarvis, 1993). False attribuzioni di questo tipo nascono dal falso assunto che una variazione nei sintomi che fa seguito a un trattamento debba essere una conseguenza specifica di tale procedimento. Attraverso una combinazione di suggestione, credulità, aspettativa, reinterpretazione cognitiva e perdita di attenzione, pazienti cui vengono somministrati trattamenti biologicamente inutili sperimentano spesso un miglioramento misurabile. Alcune risposte ai placebo producono veri cambiamenti nelle condizioni fisiche; altri sono cambiamenti soggettivi che inducono i pazienti a sentirsi meglio, anche in assenza di variazioni significative nella patologia di cui soffrono. Tutti noi sviluppiamo, come i cani di Pavlov, tramite ripetuti contatti con procedure terapeutiche valide, risposte condizionate in diversi sistemi fisiologici. Queste risposte possono successivamente essere collegate ad impulsi rituali, accessori e verbali che segnalano solo l’ ” avvenuto trattamento” . Tra le altre cose, i placebo portano al rilascio nel corpo di sostanze tipo morfina che sopprimono il dolore, le endorfine (Ullett, 1996). Dato che tali risposte acquisite possono essere un palliativo anche quando un trattamento non è di per sé correlato alla fonte della sofferenza, le terapie sotto esame debbono essere controllate contro un gruppo di controllo dell’ effetto placebo – pazienti simili che ricevono un trattamento simile in tutto a quello “ reale” tranne che per la mancanza della sostanza che si suppone sia attiva. È essenziale che in tali controlli i pazienti siano distribuiti a caso ai diversi gruppi e che non sappiano se sono nel gruppo reale o in quello di controllo. Dato che il potere di ciò che gli psicologi chiamano effetti di aspettativa e di condiscendenza (vedi sotto) è molto forte, anche il medico che effettua la terapia deve ignorare a quale gruppo appartengano i pazienti. Da qui il termine doppio cieco – il massimo standard per i risultati della ricerca. Tali precauzioni sono richieste in quanto segnali scarsamente percepibili, rilasciati senza intenzione da chi fornisce il trattamento se non è “ cieco” , possono influenzare i risultati. Analogamente, anche chi stabilisce gli effetti del trattamento deve essere nella condizione di “ cieco” , dato che c’ è una larga casistica di “ pregiudizi dello sperimentatore” che dimostra come anche professionisti validi e onesti possano senza intenzione “ leggere” nei risultati ciò che si aspettano, quando tentano di chiarire fenomeni complessi (Rosenthal, 1966; Chapman e Chapman, 1967). Quando le prove cliniche sono completate, la condizione di cecità può essere rimossa, per consentire il confronto tra gruppi attivi, gruppi placebo e gruppi non trattati. Solo se i miglioramenti osservati nel gruppo di trattamento attivo superano in modo statisticamente significativo quelli dei gruppi di controllo la terapia può essere considerata legittima. 5. Alcuni presunti sintomi curati sono psicosomatici fin dall’inizio Una costante difficoltà nel tentare di misurare l’ efficacia terapeutica nasce dal fatto che molti disturbi fisici possono nascere da stress psico-sociali ed essere alleviati da aiuti e rassicurazioni. A prima vista tali sintomi (chiamati di volta in volta “ psicosomatici” , “ isterici” o “ nevrastenici” ) sembrano quelli di sindromi mediche ben note (Shorter, 1992; Merskey, 1995). Anche se vi sono molti “ vantaggi secondari” (di tipo psicologico, sociale ed economico) a beneficio di coloro che si adagiano in tal modo nel “ ruolo di malato” , non dobbiamo con ciò accusarli di malizia voluta, dato che i loro sintomi sono comunque dovuti a subdoli processi psico-sociali. Guaritori “ alternativi” si rivolgono a questi membri della “ fossa della paura” che sono erroneamente convinti di essere ammalati. I loro disturbi sono esempi di somatizzazione, la tendenza a esprimere problemi psicologici utilizzando termini di sintomi delle malattie organiche (Alcock, 1986; Shorther, 1992). Gli “ alternativi” offrono aiuto a questi individui che per ragioni psicologiche vogliono credere che vi siano eziologie organiche alla base dei loro sintomi. Spesso con l’ aiuto di strumenti diagnostici pseudoscientifici costoro rinforzeranno la convinzione dei somatizzati che la classe medica ufficiale, senza cuore e di mente ristretta, che non trova in loro nulla di fisico, sia tanto incompetente quanto disonesta nel rifiutarsi di riconoscere una vera situazione organica. Gran parte di chi presenta una diagnosi di “ fatica cronica” , “ sindrome di sensibilità ambientale” e diversi disordini da stress (per non ricordare i tanti che si richiamano a presunti effetti dannosi delle protesi al silicone per il seno) ricorda molto i classici casi di somatizzazione (Stewart, 1990; Huber, 1991; Rosenbaum, 1997). Se, attraverso i loro rituali di “ intervento” i terapisti di tecniche collaterali riescono a rassicurare, a ridare il senso di appartenenza e una base esistenziale ai problemi dei loro clienti, ciò è ovviamente accettabile, ma tutto ciò richiede di non mantenersi estranei alla medicina convenzionale, che a ogni modo ha molto di più da offrire. Il lato negativo è che rinforzare il desiderio di diagnosi mediche per disturbi psicologici promuove un modo di pensare pseudoscientifico e magico, aumentando in modo indebito i presunti successi dei ciarlatani. Quel che è peggio, si perpetua in tal modo la convinzione anacronistica che vi sia qualcosa di vergognoso o di illegittimo nei problemi psicologici. 6. Sollievo dei sintomi anziché cura Più che una vera cura, ciò che il malato desidera è di combattere il dolore e il malessere. Molti presunti trattamenti curativi offerti dai terapeuti alternativi, pur se inefficaci rispetto al decorso reale della malattia, possono renderla più accettabile, ma per ragioni psicologiche. Il dolore è un esempio. Molte ricerche dimostrano che il dolore è in parte una sensazione come il vedere o il sentire, e in parte un’ emozione (Melzack, 1973). È stato provato ripetutamente che ridurre la componente emotiva di un dolore ne lascia la sola parte sensoria, sorprendentemente tollerabile. È così che la sofferenza può essere spesso ridotta con mezzi psicologici, anche se la sottostante patologia ne rimane immutata. Tutto ciò che può ridurre l’ ansietà, distogliere l’ attenzione, diminuire l’ eccitamento, promuovere un senso di controllo o portare a una reinterpretazione cognitiva dei sintomi può alleviare la componente parossistica di un dolore. Le moderne cliniche del dolore utilizzano ogni giorno al meglio tali strategie (Smith, Merskey e Gross, 1980). Che il paziente soffra meno è un’ ottima cosa, ma bisogna stare attenti che un sollievo puramente sintomatico non distolga la gente dal ricorrere a rimedi di dimostrata efficacia prima che sia troppo tardi perché siano utili. 7. Molti consumatori di terapie alternative “giocano su due tavoli” Molti guaritori non ortodossi, nel tentativo di allargare la loro clientela, hanno cominciato a presentarsi come “ complementari” piuttosto che “ alternativi” . Invece di rivolgersi soprattutto a persone ideologicamente convinte, o a quelli cui è stato detto che non c’ è più nulla che la medicina convenzionale possa fare per loro, gli “ alternativi” hanno cominciato a propagandare che possono migliorare i trattamenti biomedici convenzionali. Ammettono che i terapisti ortodossi possono alleviare dei sintomi specifici, ma pretendono che la medicina alternativa possa curare le cause reali della malattia – tra cui presunte diete “ sbilanciate” , sensibilità ambientali, “ campi energetici squilibrati” o anche conflitti non risolti dalle reincarnazioni precedenti. Se si hanno dei miglioramenti sulla base del trattamento scientifico fornito contemporaneamente a quello “ complementare” , quest’ ultimo ne trae spesso un credito indebito. 8. Diagnosi sbagliate (da soli o da un medico) In questa era di mass media ossessionati dai temi della salute, molti possono essere indotti a pensare di soffrire di malattie che non hanno. Se queste persone sanissime ricevono da un medico ortodosso la triste notizia che non presentano alcun segno organico di malattia, spesso si spostano verso guaritori alternativi che possono trovare quasi sempre qualche tipo di “ sbilanciamento” da trattare. Se si arriva alla “ guarigione” è nato un altro convertito. Naturalmente, anche i medici con una formazione scientifica non sono infallibili, e una diagnosi sbagliata, seguita da un pellegrinaggio a un santuario o da un guaritore alternativo, può portare a una brillante testimonianza per la cura di una grave malattia, che non è mai esistita. Altre volte la diagnosi può essere corretta, ma può essere non previsto correttamente il decorso della malattia nel tempo, sempre difficile da predire. Se un paziente in condizioni terminali si rivolge a trattamenti alternativi e manca più tardi di quanto avesse predetto il medico convenzionale, il procedimento alternativo può ricevere credito per avergli prolungato la vita, mentre in effetti si trattava solo di una diagnosi troppo pessimistica; la sopravvivenza era stata più lunga di quanto previsto, anche se comunque nell’ intervallo delle normali fluttuazioni statistiche per quella malattia. 9. Benefici secondari I guaritori alternativi hanno spesso una personalità forte, carismatica (O’Connor, 1987). Se i pazienti sono attratti dagli aspetti messianici della medicina alternativa, ne possono ricavare vantaggi psicologici. Se un guaritore ottimista ed entusiasta è in grado di migliorare l’ umore e le aspettative di un paziente, questo ottimismo può portare a una maggiore accettazione, e quindi a un aumento dell’ efficacia, di qualsiasi trattamento ortodosso che il paziente stia ricevendo. Tale migliore predisposizione può convincere la gente a mangiare o a dormire meglio o a fare più movimento, o a socializzare maggiormente. Tutto ciò può accelerare una ripresa naturale. Vantaggi psicologici secondari di questo tipo possono anche ridurre lo stress, che è noto produrre effetti deleteri sul sistema immunitario (Mestel, 1994). La rimozione di questo carico aggiuntivo può accelerare la guarigione, anche se non si tratta di un effetto specifico della terapia. Come per un semplice sollievo dei sintomi, ciò non è affatto cosa disprezzabile, a meno che non distolga il paziente da trattamenti più efficaci, o che i costi siano esorbitanti. 10. Distorsione psicologica della realtà La distorsione della realtà al servizio di un forte convincimento è cosa comune (Alcock, 1995). Anche in assenza di miglioramenti oggettivi, persone fortemente credenti nelle medicine alternative possono autoconvincersi di essere stati aiutati. Secondo la teoria della dissonanza cognitiva (Festinger, 1957) se un’ esperienza contraddice delle attitudini esistenti, credenze o conoscenze acquisite, si produce uno stress mentale. Si tende ad alleviare questa situazione reinterpretando (e distorcendo) l’ informazione che ci ha colpito. Il non aver ricevuto sollievo dopo aver perso tempo, soldi e “ faccia” in un trattamento alternativo (e forse rispetto a tutta la visione del mondo di cui esso fa parte) potrebbe creare una tale distonia interna. Dato che sarebbe psicologicamente troppo difficile ammettere di fronte a sé stessi o di fronte agli altri che è stato tutto uno spreco, vi sarebbe una forte pressione psicologica per trovare qualche valore nel trattamento alternativo che lo “ salvi” . Altre distorsioni servono a mantenere l’ autostima e a rendere meno aspre le relazioni sociali (Bayerstein a Hadaway, 1991). Poiché le credenze fondamentali tendono a essere difese con forza, distorcendo la percezione e il ricordo, i terapeuti alternativi e i loro clienti facilmente interpretano male gli indizi e ricordano le cose come vorrebbero fossero accadute. Analogamente possono essere selettivi in ciò che riferiscono, sopravvalutando gli apparenti successi e ignorando, sottovalutando o spiegando i loro fallimenti. Il metodo scientifico è stato in gran parte sviluppato per ridurre la forza di questa propensione umana a balzare alle conclusioni più congeniali. Una sensazione illusoria che i sintomi siano migliorati può anche essere causata dalle cosiddette “ proprietà della domanda” presenti in ogni rapporto terapeutico. In ogni società esiste una “ norma di reciprocità” , una regola implicita che obbliga la gente a rispondere cortesemente quando qualcuno li tratta bene. La maggior parte dei terapeuti crede sinceramente di aiutare i loro pazienti ed è naturale che i pazienti vogliano ricambiarli con gentilezza. Senza che i pazienti se ne rendano necessariamente conto, tale tendenza è sufficiente ad aumentare la loro percezione dei benefici ottenuti; per cui nei veri test clinici bisogna anche tener conto di questi effetti di accondiscendenza (Adair, 1973). Infine il compito di distinguere correlazioni reali da quelle spurie o casuali richiede non solo osservazioni controllate, ma anche la loro estrazione sistematicizzata da un gran numero di dati. Gli psicologi che si occupano degli errori di giudizio hanno identificato molte fonti di errore che colpiscono chi si basa su processi informali di ragionamento nell’ analizzare eventi complessi (Gilovich 1991, 1997; Schick e Vaughn 1995). Dean e colleghi (1992) hanno dimostrato, usando esempi di un’ altra popolare pseudoscienza, l’ analisi della scrittura (grafologia), che senza strumenti statistici sofisticati le capacità conoscitive umane semplicemente non erano in grado di estrarre e vagliare correlazioni valide dalla massa di dati interagenti. Analoghe difficoltà furono affrontate dai pionieri della medicina pre-scientifica e dai loro successori, ed è per questo che non possiamo accettare racconti aneddotici a sostegno delle loro affermazioni. Conclusioni Per i motivi che ho esposto, le testimonianze individuali contano molto poco nel valutare le terapie. Dato che tanti falsi indizi possono convincere persone intelligenti e oneste che delle cure funzionino anche quando non è vero, è essenziale che ogni trattamento da valutare sia controllato in condizioni che tengano conto dell’ effetto placebo, degli effetti di persuasione e degli errori di pregiudizio. Prima che una persona accetti di sottoporsi a un trattamento, essa dovrebbe essere certa che questo sia stato convalidato da test clinici attentamente controllati. Per ridurre la probabilità che le prove siano state contaminate da errori e pregiudizi, i consumatori dovrebbero richiedere che le prove siano state pubblicate in giornali scientifici dotati di referees. Qualsiasi ciarlatano che non sia in grado di fornire questo tipo di prove per le procedure che propone, diventa immediatamente sospetto. I potenziali clienti dovrebbero stare ad esempio molto in guardia se le sole “ prove” consistono di testimonianze individuali, opuscoli o libri pubblicati privatamente o citazioni da riviste popolari. Anche se esistono articoli di supporto che apparentemente provengono da seri periodici scientifici, il consumatore dovrebbe controllare se i giornali in questione sono pubblicati da organizzazioni scientifiche di buona reputazione. Articoli pseudoscientifici compaiono spesso in periodici di aspetto serio, ma che poi risultano appartenere a gruppi privi di adeguate credenziali scientifiche, ma con qualche interesse finanziario nei prodotti presentati. Analogamente, bisognerebbe scartare gli articoli comparsi nella “ stampa su commissione” – giornali che accettano praticamente qualsiasi cosa facendo pagare le spese agli autori. E infine, dato che un singolo evento positivo – anche proveniente da una sperimentazione ben fatta e pubblicata in un giornale credibile – potrebbe sempre essere un caso fortunato, la prova definitiva è data dalla ripetizione da parte di un gruppo di ricerca indipendente. Se il terapeuta grida alla persecuzione, è ignorante o apertamente ostile alla scienza ufficiale, non può portare una ragionevole spiegazione razionale per i suoi metodi e promette risultati molto al di là di quanto previsto dalla bio-medicina ortodossa, vi sono molte ragioni per sospettare che si tratti di un ciarlatano. Riferimenti ad altri modi di conoscenza o a misteriosi “ piani” , “ energie” , “ forze” o “vibrazioni” sono altre indicazioni sospette, come la pretesa di trattare l’ intera persona piuttosto che patologie definite. Le persone che stanno male e a cui viene promessa una cura sono particolarmente facili da ingannare. Il risultato è che una falsa speranza può sostituirsi al comune buon senso. In queste condizioni di vulnerabilità una valutazione attenta e accurata sarebbe quanto mai necessaria, mentre invece vediamo spesso il desiderio di abbandonare ogni restante traccia di scetticismo. Persone normalmente di buon senso, colpite dalla malattia, spesso chiedono meno garanzie da chi offre cure alternative, di quante prima non ne avrebbero richiesto a chi fosse venuto a offrirgli una macchina usata. Caveat emptor! Bibliografia
  • Adair, J. 1973. The Human Subject. Boston: Little, Brown and Co.
  • Adler, R., and N. Cohen. 1993. Psychoneuroimm.: Conditioning and stress, Annual Review of Psychology 44: 53 – 85.
  • Alcock, J. 1986. Chronic pain and the injured worker. Canadian Psyc. 27 (2): 196 – 203. 1995. – The belief engine. Skeptical Inquirer 19 (3): 14 – 8.
  • Barrett, S., and W. Jarvis. 1993. The Health Robbers: A Close Look at Quackery in America. Amherst, N.Y.: Prometheus Books.
  • Basil, R., ed. 1988. Not Necessarily the New Age. Amherst, N.Y.: Prometheus Books.
  • Beyerstein, B., and P. Hadaway. 1991. On avoiding folly. Journal of Drug Issues 20 (4): 689 – 700.
  • Beyerstein, B., and W. Sampson. 1996. Traditional medicine and pseudoscience in China. Skeptical Inquirer. 20 (4): 18-26
  • Brandon, R. 1985. Holism in philosophy of biology. In Examining Holistic Medicine, edited by D. Stalker and C. Glymour. Amherst, N.Y.: Prometheus Books, 127–36.
  • Cassileth, B., and H. Brown. 1988. Unorthodox cancer medicine. CA-A Cancer Journal for Clinicians 38 (3): 176–86.
  • Chapman, L., and J. Chapman. 1967. Genesis of popular but erroneous diagnostic observations. Journal of Abnormal Psychology 72:193–204.
  • Dean, G., I. Kelly, D. Saklofske, and A. Furnham. 1992. Graphology and human judgement. In The Write Stuff edited by B. and D.
  • Beyerstein. Amherst, N.Y.: Prometheus Books, 342–96.
  • Festinger, L. 1957. A Theory of Cognitive Dissonance. Stanford: Stanford University Press.
  • Gilovich, T. 1991. How We Know What Isn’ t So: The Fallibility of Human Reason in Everyday Life. New York: Free
  • Press/Macmillan.-, 1997. Some systematic biases of everyday judgment. Skeptical Inquirer 21 (2): 31 – 5.
  • Gross, P., and N. Levitt. 1994. Higher Superstition. Baltimore: Johns Hopkins University Press.
  • Huber, P. 1991. Galileo’ s Revenge: Junk Science in the Courtroom. New York: Basic Books.
  • Kiernan, V. 1995. Survey plumbs the depths of international ignorance. The New Scientist (April 29): 7.92
  • Merskey, H. 1995. The Analysis of Hysteria: Understanding Conversion and Dissociation. 2d ed. London: Royal College of Psychiatrists.
  • Melzack, R. 1973. The Puzzle of Pain. New York: Basic Books.
  • Mestel, R 1994. Let mind talk unto body. The New Scientist (July 23): 26-31.
  • O’Connor, G. 1987. Confidence trick. The Medical Journal of Australia 147: 456–9.
  • Roberts, A., D. Kewman, and L. Hovell. 1993. The power of nonspecific effects in healing: Implications for psychosocial and
  • biological treatments. Clinical psychology Review 13: 375–91.
  • Rosenbaum, J. T. 1997. Lessons from litigation over silicone breast implants: A call for activism by scientists. Science 276 (June 6,1997): 1524–5.
  • Rosenthal, R. 1966. Experimenter Effects in Behavioral Research. New York: Appleton-Century-Crofts.
  • Schick, T., and L. Vaughn. 1995. How to Think About Weird Things: Critical Thinking for a New Age. Mountain View, Calif.:Mayfield Publishing.
  • Shorter, E. 1992. From Paralysis to Fatigue: A History of Psychosomatic Illness in the Modern Era. New York: The Free Press.
  • Silverman, S. 1987. Medical “miracles” : Still mysterious despite claims of believers. Psientific American (July): 5–7. Newsletter of the Sacramento Skeptics Society, Sacramento, Calif.
  • Skrabanek, P., and J. McCormick. 1990. Follies and Fallacies in Medicine. Amherst, N.Y.: Promerheus Books.
  • Smith, W., H. Merskey, and S. Gross, eds. 1980. Pain: Meaning and Management. New York: SP Medical and Scientific Books.
  • Stalker, D., and C. Glymour, eds. 1985. Examining Holistic Medicine. Amherst, N.Y.: Prometheus Books.
  • Stewart, D. 1990. Emotional disorders misdiagnosed as physical illness: Environmental hypersensitivity, candidiasis hypersensitiviry, and chronic fatigue syndrome. Int. J. Mental Health 19 (3): 56–68.
  • Ulett, G. A. 1996. Alternative Medicine or Magical Healing. St. Louis: Warren H. Green.

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :