A cura della Dottoressa Anna Chiara Venturini, psicologa psicoterapeuta a Roma.
Per rispondere a queste domande è necessario partire da lontano e dal quello che Rosenthal nel 1968 definì “Effetto Pigmalione”, noto anche come “Effetto Rosenthal”. Nel 1948 Gordon e Durea durante uno studio, fornirono i risultati di alcuni test in cui emergevano i QI dei loro alunni ad inizio anno. Tali test erano stati manipolati ad hoc, cosicchè alcuni ragazzi risultassero più intelligenti di altri. A fine ricerca si evidenziò come gli alunni a cui era stato “profetizzato” di essere intelligenti avevano una media di voti molto più alta rispetto ai loro compagni e ai loro stessi risultati dell’anno scolastico precedente. Cosa era successo? Il rendimento dei ragazzi era stato molto condizionato dalle aspettative degli insegnanti nei loro confronti: questi ultimi infatti, col loro comportamento, avevano favorito il rendimento di alcuni alunni rispetto ad altri: si erano infatti rivolti più spesso ai ragazzi verso cui nutrivano aspettative più elevate, lasciando loro più tempo per fornire le risposte, assumendo, in termini generali, un atteggiamento di fiducia e mostrandosi più pazienti, mentre nel caso degli alunni “ meno dotati intettettivamente” addirittura avrebbero potuto ostacolare il rendimento scolastico con un atteggiamento che comunicava sfiducia e scarsa stima.
I meccanismi psicologici alla base dell’Effetto Rosenthal, detto anche “Effetto Pigmalione” (dal nome del re di Cipro che, dopo aver colpito la statua di una donna bellissima se ne innamorò desiderando a tal punto di renderla umana che Afrodite lo esaudì), sono gli stessi che fanno si che, quando un ragazzo appena conosciuto non ci chiama iniziamo a “profetizzare” sul perchè, finendo con il predisporci alla lite che molto probabilmente si verificherà quando lui telefonerà, il più delle volte ignaro del nostro meccanismo.
Se quindi una persona crede di non piacere ad un’altra, sarà proprio a causa di questa supposizione che si comporterà in maniera ostile e suscettibile, generando intorno a sé quel clima di sfiducia e disprezzo che si aspettava sin dall’inizio: avrà così ottenuto la prova del fatto che “aveva ragione” e che la sua convinzione era dunque ben fondata. Si tratta quindi di un circolo vizioso: le aspettative della persona A portano alla creazione di particolari comportamenti di A stessa nei confronti di B. essi però genereranno come conseguenza dei comportamenti di B verso A che porteranno A a confermare le proprie aspettative.
Ma cosa fa si che questo si verifichi?
L’uomo sin dalla nascita cerca di dare un “significato alla realtà” così da potersi orientare nel quotidiano, generare aspettative e pianificarne continuamente lo svolgimento, attraverso azioni, obiettivi e quant’altro: di conseguenza è continuamente soggetto alle profezie che si auto-avverano, sia che vengano “generate” da loro stessi (auto-inganno) e sia che vengano generate dagli altri (etero-inganno).
La costruzione della realtà da parte dell’individuo è mediata da schemi acquisiti attraverso il processo di costruzione ed elaborazione dell’esperienza, sotto l’influenza di tre fattori fondamentali: i criteri di somiglianza, la motivazione ed il contesto.
Secondo il primo criterio la decisione di attribuire un’azione o una persona nuova ad una categoria piuttosto che ad un’altra dipende dalla somiglianza con esperienze passate: più la somiglianza è forte, più la categorizzazione è veloce e quindi meno “mediata” dalla riflessione. Vi siete appena lasciati e incontrate una persona che mostra interesse per voi e voi ne siete in qualche modo attratti? la prima cosa che fate è “paragonarla” al vostro ex cosicchè cercate di “categorizzarla” subito come persona da frequentare o meno; cosa ci guadagnate nel fare questo e cosa ci perdete? Di certo guadagnate tempo che teoricamente potreste perdere e vi evitate l’eventuale dolore di un’altra storia che finisce; ma quello che in realtà perdete è molto di più: perdete la possibilità di conoscere realmente la persona che avete di fronte, la possibilità di stare bene di nuovo e soprattutto perdete la possibilità di conoscere altre parti di voi ( cosa che avviene in ogni incontro con persone nuove).
Passando poi al secondo criterio, quello della motivazione, esso fa si che i giudizi socialmente condivisi possano essere accantonati dai giudizi auto gratificanti, ovvero si può modificare la percezione sociale per rinforzare i propri obiettivi ( percezione motivata). Così le motivazioni e gli stati d’animo possono influenzare le strategie utilizzate per risolvere i problemi. In poche parole, se quello cui vado incontro per me è gratificante, nonostante non sia socialmente riconosciuto come tale, sono comunque motivato a portare la mia scelta sino in fondo.
Infine va valutato l’effetto del contesto in cui l’azione ed il giudizio si verificano. L’individuo, come abbiamo detto, ha l’esigenza di dare un senso alla realtà che lo circonda, confrontandola con esperienze e ricordi e categorizzando tutte le informazioni disponibili: in quest’operato il contesto gioca il ruolo fondamentale di guida dei comportamenti, dando le informazioni di ciò che va fatto e di come va fatto in determinate circostanze. Se da un lato tuttavia questo agevola e funge da euristica, ovvero da una sorta di scorciatoia mentale, dall’altro rischia di ignorare informazioni utili, atte a una formulazione più obiettiva delle condizioni. In poche parole è come se una situazione, visto il contesto, debba andare “in un certo modo”, imprigionando la mente in una fissità funzionale fatta di stereotipi, pregiudizi e aspettative, che non consentono di formulare né di vagliare ulteriori ipotesi.
C’è quindi una soggettività della percezione che porta inevitabilmente ad autoingannarsi: non vedo ciò che vedo, ma ciò che in quel momento voglio vedere (influenzato da tutto ciò che abbiamo appena menzionato) e allora, come dice Watzlawick, se mi autoinganno, tanto vale che io lo faccia in modo utile, convincendomi che il bicchiere è mezzo pieno anziché mezzo vuoto, oppure di essere simpatico e di ricevere, così, sorrisi in risposta al mio: la profezia che si autoavvera funzionerà quindi, al positivo, innescando un circolo virtuoso anziché vizioso. Questo ovviamente non significa che possiamo cambiare il corso delle cose, ma semplicemente che possiamo modificare il nostro approccio agli eventi poiché è da noi che parte la lettura della realtà: non facciamoci imprigionare da frasi del tipo “Mi va sempre tutto storto!”, oppure “Tanto lo so come andrà a finire..”, non predisponiamoci al negativo poiché questo già innescherà in noi dei pensieri e dei comportamenti che prepareranno il terreno affinchè quel negativo ipotizzato accada. A tal proposito ricordo le parole di un medico, parole che ripeto spesso anche ai miei pazienti “A pensare in negativo si fa sempre in tempo”, una frase che fa riflettere come in effetti, a pensare in negativo, non ci si guadagni poi molto, se non negatività. Molti sostengono che pensare all’ipotesi peggiore li prepari all’eventualità che poi potrebbe verificarsi, quando in realtà è solo un meccanismo per mettere a tacere l’ansia di fondo legata all’impossibilità di controllare una situazione.
Iniziate dunque a pensare e ad agire in positivo, come se foste…, come se il mondo fosse…, come se gli altri fossero… vedrete che anche voi capirete che il tempo passato a pensare al negativo è stato in realtà tempo non perso, ma impiegato nel modo sbagliato: iniziate allora sin da adesso ad utilizzare il vostro tempo per trovare la vostra dimensione ed il vostro benessere grazie alla profezia che si autoavvera.