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Ricevo da Londra e pubblico*:
Da 15 anni pago le tasse alla regina Elisabetta II e ne vado fiero. Sin da bambino ho subito il fascino delle teste coronate e sapevo che, prima o poi, mi sarei trasferito in un paese monarchico. In Svezia fa troppo freddo, gli spagnoli mi stanno un po’ sulle scatole, dei monegaschi e del loro accento francese non ne parliamo. Direi che ero destinato a diventare un suddito di Queen Elizabeth II.
Lo ammetto: sono un monarchico, con buona pace di ciò che pensa il politologo di famiglia (Domenico). Mi piace l’idea di avere come capo dello Stato qualcuno che è sopra le parti. In tanti Paesi, al giorno d’oggi, si ha un politico dal non chiaro orientamento ideologico, altri hanno un dittatore. In Inghilterra abbiamo una “Lady”, una signora, dignitosa nel proprio ruolo, diretta discendente di William il Conquistatore, il che già è “figo” di suo.
Elizabeth ha tutto il mio rispetto. È indubbiamente un tesoro nazionale e rappresenta tutte le cose buone dei tempi andati ma anche la modernità dei nostri giorni. Come donna ispira tranquillità e saggezza. Ha principi, senso del dovere e, da 60 anni, svolge il ruolo di capo dello Stato dedicando alla nazione la propria vita e la propria privacy, senza mai protestare o andare sopra le righe. Direi che per i repubblicani inglesi questi siano tempi cupi, perché la monarchia, qui in Inghilterra, non solo è amata, ma è popolare più che mai. Non dimentichiamo che la monarchia è un investimento e genera, ogni anno, ingenti introiti per le casse dello Stato solo in turismo. Nessun presidente riuscirebbe mai a fare qualcosa del genere e a mantenere alto il prestigio e l’interesse internazionale legato ai Windsor.
La regina è il link tra passato, presente e futuro della nazione, in un ruolo che esalta la cultura democratica britannica: non è politica, non vota, non favorisce alcuna corrente politica ed è imparziale. Quando parla, lo fa in nome dell’intera nazione. La preferisco a qualsiasi capo dello Stato, prigioniero della propria agenda personale ed esposto a favoritismi più o meno indotti. The Queen is The Queen. È sempre là, il volto rassicurante sulle banconote e sulle monete (ah, cara vecchia sterlina!), sui francobolli e nell’annuale discorso della cena di Natale. Un’icona che rappresenta perfettamente la visione “cool” degli inglesi.
Mi impressionò quando, dopo l’attacco terroristico del 7 Luglio 2005, apparì in televisione e ci incitò a continuare a vivere normalmente e ad usare la metropolitana, perché la politica del terrore non riuscirà mai ad averla vinta sulla mentalità democratica britannica. Anche due giorni fa, a 86 anni suonati, “Ma’am” ha dimostrato di che pasta è fatta e ha dato una grande prova di senso del dovere quando, per tutta la durata (più di due ore) della cerimonia sul Tamigi, non si è mai seduta perché il suo popolo era là, ai margini del fiume e sotto una pioggia monsonica, ad aspettare che lei passasse. È rimasta lì, ai quattro venti, in piedi e con i suoi acciacchi, per salutare con grazia la gente che era andata lì per festeggiarla.
La regina è diventata una nonna adottiva che la vecchiaia ha reso più accessibile e umana. La guardo e seguo con affetto e tenerezza, un po’ come anni fa seguivo, da lontano, Giovanni Paolo II. Quando non ci sarà più mi mancherà: piangerò la scomparsa della regina, ma anche la donna e i principi che incarna. I suoi 60 anni di regno racchiudono un’epoca storica e meritano di essere celebrati con tutta la fanfara che la circostanza richiede. E allora, come si dice dalle mie parti: God save the Queen!
Che per i tagli economici e le considerazioni moralistiche c’è sempre tempo. E che il governo italiano guardi e impari.
*Mario Forgione, il fratello “londinese” del titolare di questo blog
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