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perché non sono vegana

Creato il 30 giugno 2012 da Gaia

Potrebbe sembrare gratuito e controproducente prendersela con i vegani, quando il problema del pianeta è l’opposto: troppa gente mangia troppa carne o prodotti animali, e il numero di queste persone sembra destinato ad aumentare. Quindi chiarisco subito: generalmente, penso che le pratiche dei vegani contribuiscano a un mondo migliore, riducendo il consumo di risorse necessario per produrre carne, formaggi, uova e altri prodotti animali, e la sofferenza delle bestie* – purché tengano conto anche di altri fattori nei loro consumi alimentari: chilometro zero, stagionalità, riduzione della dipendenza da cibi lavorati industrialmente, e così via.
Io sono grata ai vegani per le loro pratiche, ma contesto le loro filosofie. La mia tesi è che i vegani pecchino dell’antropocentrismo di cui fanno rimprovero ai non-vegani, e manchino di comprensione e rispetto nei confronti dello stesso mondo naturale ed extra-umano che dicono di voler proteggere.
Inoltre, con le loro campagne moraliste, spesso si comportano da crociati e da fanatici, e non comprendono le ragioni di chi non la pensa come loro, trattato da assassino e peccatore. Nel peggiore dei casi, mettono una vita umana sullo stesso piano di una vita animale, svilendo la prima e non capendo il senso della seconda.
La mia obiezione principale ai vegani è quindi questa: non si può pensare che l’uccisione di un animale sia una cosa sbagliata. Non lo si può pensare perché è la legge fondamentale della vita su questo pianeta: mors tua vita mea. È vero che gli esseri umani, non tutti purtroppo, considerano la vita umana sacra e da proteggere fino alla sua morte naturale, preferibilmente di vecchiaia, ma questo è diverso dal considerare tutte le vite animali in questo modo. Il mondo degli animali è complesso e segue leggi diverse da specie a specie, ma io ritengo compatibile con questo mondo accettare che una specie tuteli se stessa. Tralasciando questioni per ora irrisolvibili su cosa rende gli esseri umani diversi da altre specie, e superiori, ammesso e per nulla concesso che lo siano, io dico semplicemente: io faccio gli interessi dell’homo sapiens. Questo è quello che fa ogni specie, anche se alcune, per motivi di sopravvivenza, si sbranano al proprio interno. Naturalmente questo solleva spinose questioni su fino a che punto ci si possa spingere nella difesa della propria specie, dato che io penso anche che il mondo non umano abbia un valore intrinseco – ma anche senza preoccuparci di questo valore, mettendolo da parte per il momento. so che distruggendo l’ambiente che ci circonda non possiamo vivere. Quindi: sono umana, considero la vita umana superiore alle altre, e cerco di preservarla. Al tempo stesso, senza mancare a questo principio, mi adopero affinché la vita umana esista entro dei limiti – difficili da definire, certo, ma indispensabili. Cerco di mantenere uno stile di vita non troppo impattante, di sensibilizzare le persone sui rischi di una crescita senza fine della popolazione umana, e sul valore del mondo non-umano. Penso agli interessi della mia specie, nel nome di questi interessi tutelo l’ambiente in cui la mia specie vive, e intanto gli riconosco anche un indefinito valore proprio indipendente dall’esistenza umana.
Se questa mia premessa non vi torna, guardatela in questo modo: quanti di voi si sentirebbero di mettere sullo stesso piano la vita di una persona e di un cane? E poi di una persona e di una falena? E poi di una persona e di un tonno?
Questo non è incompatibile con l’idea, con cui sono d’accordo, che vadano limitate le sofferenze animali. Qui c’è l’enorme problema del non poter sapere quando e quanto un animale soffre. Naturalmente, gli animali ci mandano dei segnali, acustici, visivi, fisici, chimici, della loro sofferenza. In questi casi, pratiche come quella, in vigore per legge nel nostro paese e in deroga solo per la carne halal, di mandare in coma un animale prima di ucciderlo per la macellazione, così che soffra il meno possibile, mi sembra ragionevole e necessaria, e andrebbe fatta rispettare sempre, o per lo meno finché non troveremo un metodo migliore (se vi interessa, leggetevi qualcosa sul dibattito halal – non halal per quanto riguarda le sofferenze dell’animale… non riesco ad affrontarlo qui).
Diverso è il discorso della libertà. Io non tengo animali in casa, non sopporto pesci negli acquari, uccelli in gabbia, e nemmeno cani e gatti prigionieri di una casa. Per me gli animali, a meno che non servano per qualcosa di utile, dovrebbero vivere liberi nel proprio ambiente. Quindi non ho animali domestici. Sono pronta a credere che questa sia una mia semplice proiezione: non so se a un animale dispiaccia stare in gabbia o no. La libertà è un concetto umano e controverso tra gli stessi umani. Lessi una volta un libro di Konrad Lorenz in cui l’etologo sosteneva che i pappagallini soffrissero, in gabbia, molto più dei leoni, dato il carattere delle diverse specie. Avete mai visto una mucca su una malga? Mangia, si sdraia, mangia un’altro po’. Una mucca in una stalla fa lo stesso. Io posso supporre che la vacca stia meglio all’aperto e muovendosi piuttosto che al chiuso e ferma, ma non posso saperlo per certo. Dubito tra l’altro che apprezzi gli spettacolari paesaggi alpini tanto quanto le idilliche foto sui prodotti caseari sembrano suggerire. Inoltre, come posso io sapere che è migliore la stressante vita di un capriolo, sotto la minaccia costante di essere cacciato e ucciso, in maniera ben più brutale di quella usata dagli umani**, piuttosto che quella di una vacca, prigioniera sì ma con cibo sempre garantito e la morte che arriva solo alla fine? (preciso che non sto parlando di allevamenti intensivi in cui le vacche muoiono presto e si ammalano di frequente, ma di allevamento in genere, dando per scontato che la salute degli animali sia buona, che questi non vengano percossi e sfruttati eccessivamente)
Facciamo un altro esempio. I metodi biologici di controllo degli insetti, per la produzione di verdure di cui si nutrono anche i vegani. Ucciderli con i pesticidi è inquinante, ma forse non è più crudele di metodi di controllo biologico come farli divorare dall’interno dai nematodi, o attirarli con dei feromoni, per poi fargli trovare una trappola anziché l’agognato partner per l’accoppiamento. Questa è l’agricoltura biologica: crudele! Eppure, l’alternativa è lasciare che gli insetti divorino il cibo che stiamo coltivando per noi stessi, e nutrirci con quel che rimane, se ne rimane. Quindi, a meno che non mi sfugga qualcosa, i vegani non sono vegani se mangiano verdure coltivate, perché per coltivarle bisogna uccidere gli insetti.
Insomma, io cerco di garantire alle bestie un tenore di vita decente, ma so che si tratta di mie proiezioni e supposizioni, basate sulla mia umanità, non su leggi di natura, e su sensibilità moderne. Infatti, a quanto sento raccontare da testimoni del mondo agricolo prima del boom economico, contadini e macellai erano molto meno teneri con gli animali di quanto prescrivano le leggi odierne per gli odierni allevatori.
Le leggi di natura dicono che gli animali si ammazzeranno inevitabilmente gli uni gli altri per sopravvivere. Al di fuori della mia specie, io accetto di vivere secondo queste regole, le regole naturali, anziché secondo quelle stabilite dai vegani, innaturali e assurde, secondo le quali gli animali non devono essere uccisi.
Può sembrare uno strano principio, ma vi chiedo di guardarlo in un altro modo: volete vivere la vostra vita seguendo un obbiettivo non solo praticamente, ma anche teoricamente irrealizzabile? La differenza è questa, facendo un esempio: la pace nel mondo magari non si realizzerà mai, ma è possibile, almeno in teoria. Possiamo immaginare un mondo in cui nessun essere umano uccide un altro: questo mondo potrebbe esistere e anche funzionare. Un mondo in cui gli animali non si ammazzano gli uni gli altri invece è impossibile, insensato e ridicolo. Noi siamo animali.
Gli animali che sono prede producono più prole di quanta ne servirebbe per il semplice ricambio intergenerazionale, proprio perché parte di essa sarà uccisa e mangiata per sostenere altre specie. Quando non viene uccisa, perché non ci sono più predatori naturali o perché c’è uno squilibrio, di solito creato dall’uomo, la specie preda diventa infestante e distrugge l’habitat divorando le risorse disponibili. Non serve neanche che vi faccia esempi, tanto è evidente e noto quello che dico.
Quindi, se i principi dei vegani venissero applicati all’intero mondo naturale, i predatori dovrebbero competere con le prede per mangiare solo vegetali, anche se il loro metabolismo e la loro fisiologia lo rendono impossibile, e le prede dovrebbero praticare qualche tipo di controllo per le nascite. Vedete che questa prospettiva è ridicola. E allora perché io dovrei aderire a una regola tanto assurda? I vegani vogliono che io creda che un pilastro della vita su questo pianeta è sbagliato: quanta arroganza in questo!
Come ho detto, un discorso è limitare per quanto possibile le sofferenze, o, come suggerisce David Foster Wallace, astenersi da pratiche che probabilmente, anche se non sicuramente, causano a un animale sofferenze atroci ed evitabili; un contro è proteggere ogni singola vita animale da una morte prematura.
I materiali sintetici, che i vegani dovrebbero usare al posto di materiali naturali come la pelle o la seta, sono solitamente derivati dal petrolio o lavorati chimicamente e, anche se è difficile fare una generalizzazione, a mio giudizio probabilmente più dannosi per l’ambiente dei loro equivalenti naturali – nonché sgraditi al corpo umano. Io non posso mettere tessuti sintetici, mi danno fastidio. Il mio corpo non si è evoluto, nei millenni, per sopportarli. Le isole di plastica galleggianti nel mezzo degli oceani mi spaventano più delle concerie, che pur so essere inquinanti. Non sono nemmeno contraria alle pellicce, purché: gli animali siano uccisi nella maniera più indolore e rapida possibile, la loro carne venga usata in qualche modo e non gettata via, e le pellicce servano effettivamente per ripararsi dal freddo e non per decorare borsette. Io non ne faccio uso, ma d’altronde non vivo in Siberia. Qui la lana basta e avanza.
Ho letto recentemente una riflessione sulla cosiddetta ‘peace silk’, la seta prodotta senza ammazzare le pupe, che sottolinea tutte le contraddizioni di uno stile di vita vegano. E va bene, i bruchi, con questo tipo di lavorazione, possono diventare farfalle. Poi però faranno le uova, nell’ordine di centinaia, e ovviamente non sarà possibile sfamare tutti i piccoli bruchi che nasceranno. Quindi invece di bollire vive o cuocere le pupe, che ammetto non è il massimo, si faranno morire di fame i bruchetti. L’unica alternativa, è vero, sarebbe non indossare seta. Io però, come ho detto, non tollero i suoi sostituti sintetici. Inoltre, perché le morti dirette di animali sacrificati per noi fanno tanto scalpore, e le morti indirette di animali causate dall’inquinamento e dalla distruzione di habitat conseguenza di attività agricole e industriali come la produzione di materiali sintetici o vegetali no? Gli animali avvelenati dalla plastica nell’oceano o i pesci morti nel lago Aral quando le acque che lo alimentavano vennero deviate per la produzione di cotone non sono forse vittime di una produzione pur vegana?
Ho deciso che per vivere devo accettare la morte degli insetti: se necessario avveleno le formiche che mi entrano in casa, schiaccio i pidocchi sulle piante del terrazzo, e tollero che delle pupe vengano uccise con il calore per i miei vestiti, che in compenso sceglierò con cura e cercherò di far durare il più possibile. Accetterò anche la morte di animali per la mia alimentazione, per il mio abbigliamento e per la ricerca medica se e solo se ne è dimostrata l’efficacia***. Mangio poca carne per non pesare sul pianeta, cerco di controllarne l’origine, ma la mangio. Accetto tutto questo perché penso che se avessi dovuto vivere secondo regole diverse, non sarei nata su questo pianeta.

* La parola bestia può sembrare offensiva; io invece l’ho sempre sentita usare in maniera neutrale, in contesti agricoli in cui dalle ‘bestie’ si dipendeva per la sopravvivenza. Credo inoltre che il bestis friulano abbia una sfumatura diversa, più domestica, del ‘bestie’ italiano, ma non posso esserne certa e non sono un filologo.
** Una volta ho visto la carcassa di una pecora fatta a pezzi da un orso. O avete visto un gatto che gioca con il topo? Noi non siamo la specie più crudele.
*** Diverso è il discorso della sperimentazione per i cosmetici. Lì sinceramente non vedo utilità e soprattutto non vedo necessità, ma non approfondisco qui perché sono poco informata.


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