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perché non uso BlaBlaCar

Creato il 01 luglio 2015 da Gaia

Sentendomi esporre le difficoltà logistiche (risolte) legate al mio ultimo viaggio senz’auto, alcune persone mi hanno risposto, per aiutarmi: perché non usi BlaBlaCar? Non è proprio come andare in macchina, è più simile al trasporto pubblico… A questo punto io, inorridendo più o meno visibilmente, rispondevo: scherzi? BlaBlaCar è il male! Alché gli interlocutori si mostravano spiazzati o infastiditi: pure questo non va bene? Una delle risposte perplesse è stata: ma non era Trenitalia il male? Anche. Il demonio ha molti volti. Purtroppo nessuno prende sul serio il trasporto pubblico per quello che è, cioè un modo per ridurre l’impatto ambientale, il costo e il rischio della somma degli spostamenti individuali cercando di permettere a tutti di spostarsi almeno un po’, per cui il risultato è che chiunque gestisca qualsiasi aspetto di qualsiasi tipo di trasporto pubblico sembra vederlo come o un’elemosina ai poveracci che non hanno una macchina (visione di politici e amministratori) o un’opportunità per fare soldi o carriera (tutti gli altri), o al massimo una scusa per litigare con gruppi rivali con idee diverse dalle proprie usando quel che rimane di trasporto pubblico come arma in una battaglia che con esso non c’entra o c’entra poco.

Il primo motivo per cui io mi rifiuto di utilizzare BlaBlaCar è che non intacca in nessun modo la supremazia dell’automobile, anzi: offre una salvezza a un mezzo in crisi.

BlaBlaCar è un concorrente diretto del trasporto pubblico: tutte le persone che conosco che lo usano lo prendono e lo consigliano in alternativa al treno o alle corriere. Sì, mi si dirà, ma meglio che una macchina viaggi piena piuttosto che vuota. Questo è il classico esempio di falsa alternativa con cui si cerca di intrappolare chi propone un’alternativa vera. Il fatto è che la macchina non necessariamente viaggerebbe vuota: forse non viaggerebbe proprio. Forse il viaggio in automobile diventerebbe talmente costoso, non potendone condividere le spese, che il proprietario dell’auto la lascerebbe a casa o la venderebbe addirittura, e prenderebbe il treno – quello sì che viaggia comunque. Invece il risultato è che il treno ha meno passeggeri, ma va lo stesso, e chi ha la macchina trova un modo per tenerla spendendo meno. A lungo andare, se il calo di passeggeri continua e il servizio inizia ad apparire inutile, il treno potrebbe non esserci più. E allora auguri a chi spera di ripristinarlo – la battaglia per la Gemona-Sacile è un esempio di quanto è difficile recuperare un servizio perduto.

Il trasporto pubblico, quello vero, pur con tutti i suoi problemi, deve rispondere a dei requisiti di sicurezza, deve servire anche le aree remote, deve dare delle garanzie sugli autisti e non può discriminare. In BlaBlaCar, tutto questo, a quanto leggo, è lasciato alle valutazioni degli utenti, che recensiscono sia i guidatori che i passeggeri. Come ogni volta che un servizio viene affidato al mercato, il rischio è la marginalizzazione degli utenti deboli: nessuno si prenderà in macchina i vari casi umani che trovo spesso sulle corriere – logorroici patologici, vecchi rincoglioniti, puzzoni, eccetera. L’autista di una corriera è obbligato a far salire tutti, a meno che non causino problemi per lo svolgimento del servizio; chi offre passaggi su BlaBlaCar può scegliere i passeggeri in base ai voti di altri utenti, cioè sostanzialmente alla simpatia. Questo è sensato se si considera BlaBlaCar come l’equivalente di un viaggio tra amici; se invece si allarga lo sguardo ci si rende conto che BlaBlaCar è di fatto un concorrente del servizio pubblico, e che far dipendere la possibilità di spostamento delle persone dalla loro simpatia è tanto allucinante quanto sarebbe ammettere in ospedale solo gli amici dei dottori.

Probabilmente, ma non sono in grado di dimostrarlo, le località più periferiche sono meno servite da BlaBlaCar. Ho provato a cercare un passaggio dal posto in cui vivo a Udine, e non c’è niente; dal paese che si trova a due chilometri da qui ed è più grande, c’è un passaggio fra due settimane. E se a me serviva subito? Provo una tratta molto più frequentata ma tra centri minori, tra Savignano sul Rubicone e Cesenatico: un solo risultato il 3 luglio. Voi mi direte: sì, ma devi prendere i centri più grandi, devi usare BlaBlaCar solo per viaggi sulle lunghe distanze. Appunto: e tutti gli altri? I trasporti pubblici attualmente servono sia centri piccoli che grandi; una sola corsa può trasportare chi deve fare un chilometro come chi deve farne cento; chi si muove ogni giorno come chi deve fare un viaggio una tantum. Se si sottrae a questa corsa una parte della sua clientela, la corsa rischia di decadere, e poi cosa faranno gli altri che perderanno il servizio vecchio e non saranno serviti da quello nuovo?

BlaBlaCar, come Uber, Airbnb, e altri servizi simili, si presentano come occasioni di condivisione: io ho una cosa, tu la vuoi, te la do, facciamo a metà delle spese e siamo contenti tutti e due. Sharing economy, si chiama adesso. Io vivo in un paese in cui la “sharing economy” da quando esiste il paese stesso, ed è tutta un’altra cosa. La vera condivisione non è mediata. Se conosci la tua comunità, sai a chi chiedere e offrire quello che ti serve, o come trovare chi te lo può dare, e la vita assieme e il passaparola fanno il resto. Nessuno ci guadagna. Queste nuove aziende che offrono un surrogato di quella che dovrebbe essere una caratteristica fondamentale di ogni comunità, invece, nascono proprio perché vogliono guadagnare dal fatto che le persone non si conoscono più tra di loro e hanno bisogno di una mano per condividere.

In una società che non è basata solo su piccole unità territoriali, come è anche la nostra, esistono già le interazioni economiche tra sconosciuti, ma al tempo stesso ci sono delle regole per tutelare entrambe le parti e un sistema di tassazione sullo scambio. Le nuove aziende di sharing economy, invece, con la scusa di scambi tra privati possono aggirare le norme che sono state create per regolamentare le interazioni tra sconosciuti, e così entrano in concorrenza con chi offre un servizio simile al loro, ma deve sottostare a leggi, bandi, regole più o meno sensate – come gli albergatori, i tassisti, gli autisti… Questo potrebbe essere anche giustificabile come reazione all’ipernormazione delle nostre società ed economie, ma in pratica a trarne beneficio sono solo le aziende che organizzano questi servizi e prendono una percentuale su ogni transazione. Non sono riuscita a capire quanto guadagnano i fondatori di BlaBlaCar, né dove (o se) paghino le tasse, ma sta di fatto che si tratta di una multinazionale in espansione e io NON mi fido per esperienza di nessuna multinazionale in espansione.

Tra l’altro, sono le grandi aziende multinazionali, quelle che ottengono dei quasi monopoli, possono permettersi pratiche di elusione fiscale e hanno soldi per fare lobby sui politici, che alla fine schiacciano la concorrenza dei piccoli fornitori di beni e servizi che magari costano di più, magari ci provano anche loro a non pagare le tasse, ma sono più facilmente controllabili e se non altro creano ricchezza sul territorio. Non dico che il grande sia sempre peggio del piccolo, ma quando il grande per diventare grande non inventa niente ma si limita a far lavorare per sé dei privati cittadini, e con i soldi che raccatta apre una succursale dall’altra parte del mondo, che vantaggio c’è per la collettività?

(L’ultimo numero di Internazionale ha un articolo sui paradisi fiscali con una lista di aziende che li usano; molte si basano proprio su internet e operano in diversi paesi. La lista non è completa. Un numero recente della rivista Left accusa la cosiddetta sharing economy delle colpe di cui la accuso io, fornendo anche molti esempi; è lì che ho preso alcuni spunti.)

Non sto dicendo che BlaBlaCar stia facendo tutto questo, non lo sto nemmeno insinuando; dico solo che ci sono già abbastanza aziende più o meno simili che finiscono per creare problemi come quelli che vi ho descritto, e ho imparato a stare all’erta. Intanto, comunque, BlaBlaCar sta accumulando una mole immensa di dati su chi viaggia e dove, comprensivi di email e numero di telefono. Per ora, non mi sembra pericoloso, ma in futuro questi dati potrebbero essere acquisiti da governi e utilizzati contro gli stessi cittadini. E comunque, i dati hanno ormai un valore economico di per sé. Non dico altro perché è un argomento che non conosco benissimo.

Ed è inutile inveire contro la finanza se poi non ci si pone il problema di utilizzare servizi pagati dai fondi di investimento e non ci si chiede perché i fondi si siano buttati proprio lì.

Io non voglio idealizzare il trasporto pubblico: attualmente fa abbastanza schifo, nonostante l’impegno di molte delle persone che ci lavorano; permette comunque l’accumulo di grandi ricchezze e la fuga di capitali (la SAF manda buona parte dei soldi all’estero), e non è immune da rischi. Al tempo stesso, però, offre una vera alternativa e una vera indipendenza a chi vuole vivere completamente senza automobile; è accessibile a tutti e, venendo gestito principalmente a livello locale, è possibile per i cittadini battersi per ottenere un servizio migliore. BlaBlaCar è una compagnia globale, che indipendentemente dalle intenzioni iniziali ormai esiste solo per garantire un profitto (altrimenti chiuderebbe), e incentiva il possesso e l’utilizzo dell’automobile – che, nonostante l’occasionale viaggio condiviso, rimane un mezzo individuale e come tale verrà utilizzato, perché neanche l’utente di BlaBlaCar più accanito consulterà il mondo ogni volta che sale sulla sua macchina. I soldi che potrebbero finanziare il trasporto pubblico, le energie che potrebbero essere spese per migliorarlo, vanno ad ingrassare l’ennesima multinazionale. Molto meglio fare l’alba aspettando il primo treno.


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