Poco più di un’ora fa Silvio Berlusconi, in un comizio a Brescia, ha detto quanto segue:
Ieri sera ho voluto rivedere un filmato, e mi sono commosso. Sono le immagini di Enzo Tortora, che rivolgendosi ai suoi giudici disse: “Io sono innocente. Spero, dal profondo del mio cuore, che lo siate anche voi”. E’ questo il sentimento non solo mio, ma di tantissimi italiani[...]
Ora, a me queste parole fanno schifo. Sono favorevole alle larghe intese, ai governi “dell’inciucio” – per dirla alla Grillo, sono uno di quelli che non vede alcun problema nel guardare al di là delle barricate. Ma queste parole, a me, provocano uno sdegno personale e profondo perché strumentalizzano su un palco adibito a kermesse elettorale una vicenda terribile. Una vicenda e una battaglia – detto per inciso – che nulla ebbero a che vedere con le pistolettate anti-magistratura dei berluscones, quasi del tutto scevre di ogni significato che travalichi l’immunità del leader.
Enzo Tortora, quando venne condotto in carcere nel 1983, rinunciò all’immunità, alle centinaia di migliaia di preferenze che l’avevano portato a Strasburgo, ad una vita di professionismo integerrimo, senza sbavature. Il suo «dove eravamo rimasti?» del 1987, frase mite pronunciata a suggello della fine di un incubo, domina come un monolite il dibattito sulle carenze della giustizia italiana e – soprattutto – lacera ancora il cuore di tanti.
Citarlo per tornaconto personale, rimodellare la sua storia per farla rientrare nei canoni della battaglia farlocca pidiellina è un oltraggio alla sua memoria e alla sua dignità. La risposta della figlia, Gaia, oggi conduttrice del TgLa7, ha detto con classe ed eleganza tutto il resto.
Ero preparata. .Caro Silvio,mio padre era un’altra storia.Un’altra persona.Ognuno risponde alla sua coscienza.#nostrumentalizzazioni.
— gaia tortora (@gaiatortora) 11 maggio 2013
Fra poche settimane saranno passati trent’anni da quel giorno di giugno: per continuare a combattere nella direzione di Enzo Tortora riformiamo la magistratura, non strumentalizziamone il ricordo per imbonire una platea. È una mossa vile che quella storia – una storia diversa – non merita.
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