Foto di Jaime González
PERCHÉ SCRIVO? – La rubrica dedicata ai perché della scrittura
David Foster Wallace
La letteratura e la poesia riescono a farmi sentire umano, e di eliminare quel senso di solitudine, a mettermi in comunicazione profonda e significativa con un’altra coscienza, in un modo in cui non ci riescono altre forme d’arte.
Il progetto che vale la pena portare avanti è quello di scrivere qualcosa che abbia in parte la ricchezza, la complessità, la difficoltà emotiva e intellettuale dell’avanguardia, qualcosa che spinga il lettore ad affrontare la realtà invece che a ignorarla; ma farlo in maniera tale che il risultato provochi anche piacere a chi legge. Il lettore deve sentire che l’autore sta parlando con lui, non assumendo una serie di pose. L’effetto che vorrei che avesse quello che scrivo è far sentire le persone meno sole. O insomma, toccare le persone in qualche modo.
Scrivere è un lungo viaggio. Spero che tutto quello che ho scritto finora non sia neanche lontanamente la roba migliore che posso scrivere. Speriamo di non arrivare a cinquantacinque anni rifacendo sempre la stessa cosa. Bisogna evitare di bruciarsi, diciamo. Per me, il cinquanta per cento delle cose che scrivo sono brutte, punto, e sarà sempre così, e se non sono capace di accettarlo vuol dire che non sono tagliato per questo mestiere. Il trucco è capire quali sono i tuoi difetti e fare in modo che il lettore non li veda.
David Foster Wallace è morto suicida nel 2008, aveva 46 anni.
Estratti da un’intervista di Hugh Kennedy e Geoffrey Polk del 1993 tratta da Un antidoto contro la solitudine e tradotta da Martina Testa.