Molti anni fa, quando presi a guardare più da vicino l’editoria, scoprii l’esistenza delle scuole di scrittura.
Allora (anni 80/90), erano molto meno di adesso, ma già allora suscitavano perplessità, e qualche discussione. Scrivo “qualche” perché il Web non era sviluppato come adesso, e tutto si risolveva con la lettura di un’intervista a questo o quello, che esprimeva la propria opinione.
Eppure noto ancora una forte ostilità nei loro confronti. Se qualcuno ci ricorre, non è un vero scrittore, perché quello autentico, verace, nasce “imparato”, come dicono a Napoli.
Ancora una volta, la scrittura come una sorta di investitura divina, quindi o ce l’hai, oppure è meglio che sparisci. Superfluo aggiungere che chi parla così è, nel 90% dei casi, l’investito.
Dostoevskij lesse alcuni capitoli de “Il sosia” in una serata organizzata dal circolo Belinskij: solo per ricevere complimenti? O per avere opinioni, ascoltare suggerimenti? Comunque si voglia giudicare questa condotta, è la dimostrazione che lo scrittore russo non faceva affatto calare le sue opere dall’alto, ma aveva bisogno eccome, di sentire altre voci.
Michelangelo era un genio? Certo. Ma perché frequentò la bottega del Ghirlandaio? Forse doveva imparare?
E Leonardo non era pure lui un genio? Probabilmente lo ignorava, e per questa ragione se ne andò a imparare il mestiere dal Verrocchio.
Anche in questo caso, si potrebbe obiettare: eh, queste botteghe toscane, che omologano, rendono tutti gli artisti uguali. Si perde la peculiarità, il genio.
Se c’è il genio, questo emergerà comunque. Il fatto è che è una caratteristica rara, totalmente antidemocratica. Se non ne sei provvisto, ti appoggi ai tuoi maestri, e invecchi alla loro ombra. Nel caso tu lo possieda, sarai tu a fare ombra a loro.
E le scuole di scrittura? Chi si rivolge a esse, non deve avere alcuna pretesa, e chi le organizza deve essere leale e trasparente. Non sfornano scrittori, ma nella maggioranza dei casi, persone che hanno conosciuto e imparato la fatica che c’è nella parola.
Il loro scopo, almeno all’inizio, è indicare i trucchi del mestiere. Come faceva il Verrocchio, certo. Anche raffreddare gli entusiasmi, perché molti credono che siccome a scuola avevano ottimi voti di italiano, possono sfornare dei romanzi meravigliosi.
Non funziona affatto così.
Essendo scuole, insegnano il valore della disciplina. Non è soltanto scrivere ogni giorno, ma piuttosto l’imporsi il distacco, la diffidenza nei confronti di ciò che si è scritto. Non di rado, lo scrittore esordiente non vede il testo, ma il proprio, sfolgorante profilo. E’ incline ad accogliere solo i complimenti, e nella migliore delle ipotesi, ignora i rilievi.
Credo che una buona scuola di scrittura sia quella che insegna a osservare senza pietà la propria storia; se si fanno sconti a se stessi, i lettori non ce ne faranno mai uno.