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Parliamo di nuraghe: perché il primo?
di Desi Satta
Su questa domanda ci si può sbizzarrire, però c’è un’ipotesi intrigante: che i nuraghe a corridoio abbiano preceduto la prima torre. Gli archeologi, sebbene le prove stratigrafiche siano lontane dall’indicarlo in modo indiscutibile, ne paiono convinti (ed effettivamente è un’ipotesi assai ragionevole). Se così fosse, l’avvento della prima torre apparirebbe assai meno improvviso di come tanti sembrano ritenere.
Si tratterebbe allora di porsi il problema della comparsa dei nuraghe a corridoio, ma, in questo caso, si tratterebbe di un chiaro esempio di proprietà emergente da un progressivo mutare della stratificazione sociale delle comunità neolitiche, con la formazione di una “classe elevata” che rivendica una posizione di prestigio attraverso l’edificazione di un edifico ad un tempo abitazione e simbolo di status, la stessa che, in un secondo momento, richiederà la costruzione di una torre. Il nuraghe a corridoio, stratigrafie alla mano, mostra lo stesso tipo di accumulo antropico delle torri, senza eccezione, indicando che funzione e senso dovevano essere gli stessi.
Posta in questi termini, la comparsa della torre non appare più come una cesura, piuttosto come un’evoluzione, anche se, apparentemente, parrebbe rimanere il problema delle differenze architettoniche tra le due tipologie di edifici (ne riparleremo oltre).
Allo stesso modo, la sovrapposizione delle tipologie stratigrafiche tra nuraghe a corridoio e torri, indicandone la medesima funzione e senso, chiarisce come le strampalate ipotesi che vorrebbero i nuraghe dei templi o degli edifici di mero carattere simbolico, sia da scartare (pur sottolineando che l’edificio, di per sé, riveste necessariamente un forte carattere simbolico come indicatore di status e/o centro di aggregazione simbolica della comunità e/o altro).
Nell’ipotesi ragionevole che il nuraghe a corridoio preceda la torre, ci troveremmo semplicemente di fronte ad una classe dirigente che, in luogo circoscritto e preciso, decide di realizzare la prima con le medesime finalità che hanno portato all’edificazione dei precedenti edifici, immaginando, a ragione, visto il successo, che un edificio di questo tipo avrebbe maggiormente soddisfatto le proprie necessità. La prima torre venne edificata pensando semplicemente ad un edificio che avesse le stesse finalità di un nuraghe a corridoio, ma ne rappresentasse una versione “evoluta” sia in senso funzionale che simbolico.
È bene ricordare, a tale proposito, che mentre le torri ci sono pervenute praticamente intatte, salvo la struttura del ballatoio (sulla quale si discute assai spesso), i nuraghe a corridoio sono mancanti dell’eventuale struttura lignea soprastante quella in pietra, la cui percentuale rispetto all’intero edificio, non è nota. Alcune osservazioni ragionevoli (ad esempio lo stesso Lilliu a proposito di Brunku Madugui), suggeriscono che ciò che noi chiamiamo oggi nuraghe a corridoio potesse essere un basamento per un’importante struttura lignea soprastante e, se così fosse, la struttura generale della successiva torre non sarebbe concettualmente così distante da loro. Si tratterebbe di costruire interamente in pietra un edificio fino ad allora ibrido, realizzato con un basamento in pietra ed una struttura aerea in legno. Detto per inciso, ciò spiegherebbe anche perché nacquero i nuraghe a corridoio, e precisamente come evoluzione dalla semplice capanna di pietre a secco e legno. Il nuraghe a corridoio, sarebbe insomma una capanna “elevata” e di maggiori dimensioni sviluppata da un processo di diversificazione sociale riscontrabile in tutte le società neolitiche.
A questo proposito, ho sentito spesso invocare l’argomento che mancherebbero gli edifici intermedi tra nuraghe a corridoio e torre, e da ciò la conclusione che si tratti per questo di edifici privi di un legame sia funzionale che architettonico. Tale argomento cade di fronte alla constatazione che non si può costruire un edifico intermedio (in pietra, a secco) tra un nuraghe a corridoio ed una torre, per il semplice motivo che non starebbe in piedi: una torre realizzata in pietra a secco è un sistema complesso di conci che interagiscono, e alcune delle proprietà macroscopiche dell’edificio nel suo complesso sono proprietà emergenti indipendenti dalla volontà dei costruttori e rese necessarie da precise richieste di stabilità strutturale. Detto in altre parole, una torre nuragica non è un edifico per architetti, perché si rifiuta di adattarsi a certe richieste, imponendo forme, dimensioni e soluzioni tecniche obbligate, come cercherò di illustrare in seguito. Di certo, vista la sua testardaggine ad adattarsi a, una costruzione sarda!
Alcune precisazioni.
La teoria della complessità descrive molto bene i fenomeni come la comparsa rapida, in confronto al periodo considerato, delle torri. Se la torre è una proprietà emergente della società dell’epoca, nel senso che lo è la sua giustificazione, la comparsa della prima deve aver indotto una rapida imitazione dei vicini e la sua diffusione (fenomeno non diverso da una transizione di fase in un materiale, ad esempio una fusione). Comunemente la chiamiamo “moda” ed è appunto una delle tante proprietà emergenti “misteriose” della società umana, o almeno ritenute tali finché non si ricorre alla teoria della complessità. Il fascino di quest’ultima sta proprio nel porre accanto sistemi apparentemente assai diversi tra loro (ad esempio la società umana ed un solido) ponendone in risalto la somiglianza dei comportamenti.
A questo punto, dobbiamo domandarci se la torre richiese la creazione di nuove nozioni tecniche, la presenza di risorse particolarmente corpose, e divertirci ad immaginare come venne edificata.
Gli elementi architettonici basilari per la realizzazione di un nuraghe a corridoio e/o di una torre non erano nuovi né particolarmente rivoluzionari. La tholos, in particolare, è presente più o meno in ogni parte del mondo da tempi ben più antichi ed è una soluzione obbligata al problema di ottenere una volta chiusa in una struttura a secco circolare con uno sbraccio ampio (è una proprietà emergente di un insieme di conci che interagiscono tra loro avendo come stabilizzazione l’azione della forza di gravità e l’attrito reciproco). La precisazione è d’obbligo per puntualizzare che i sardi non inventarono nulla: posti di fronte al problema, ottennero la soluzione corretta, come tutti gli altri, prima e dopo di loro, che si trovarono nella necessità di farlo. Se la si vuol vedere in altri termini, anche se un architetto fantasioso disegnasse una torre a secco (cava) a sezione quadrata con un profilo rettangolare, non la si potrebbe costruire: i sardi torreani non “decisero” l’uso della tholos, furono obbligati!
Quanto tempo impiegarono e quanti tentativi, non è dato sapere né lo sapremo mai, tuttavia un esame delle torri giunte fino a noi ne segnala di ben realizzate, di mediocri, di eleganti, di tozze, alcune necessariamente riprese con un rifascio al fine di stabilizzarle ed evitarne il crollo. Ciò valga a sfatare il mito degli eccelsi costruttori e delle torri del cielo: sono edifici come tutti gli altri. Si và dal capolavoro alla porcheria vera e propria, tra soluzioni geniali e incomprensibili fesserie. Allora, come adesso, c’erano i costruttori bravi, quelli mediocri e quelli incapaci: spero che questi ultimi siano stati posti in condizione di non nuocere, al contrario di quanto accade oggi in Italia.
Lo sviluppo delle torri in senso tecnico, a partire da realizzazioni meno sofisticate, non è ancora stato oggetto di indagine seria e completa (sebbene esistano ipotesi assai ragionevoli, ad esempio nell’introduzione dell’elemento architettonico costituito dalla nicchia) né lo sarà nel prossimo futuro perché richiederebbe uno sforzo enorme (la datazione di una torre necessita dell’esame stratigrafico degli accumuli antropici, quindi bisognerebbe scavare un gran numero di torri). Suppongo si possa concordare col fatto che si cominciò con torri semplici e si progredì come avviene in qualunque ramo della tecnica, non senza morti, crolli, rifacimenti e tentativi successivi di cui non c’è arrivata traccia.
La torre nuragica risponde (a spanne) alle seguenti richieste del committente:
“Voglio una torre in pietra nella quale si possa risiedere, con una scala interna che acceda ad un ballatoio superiore praticabile”.
Di fronte a queste richieste, non si può che ottenere una torre nuragica, per il motivo ovvio che non esistono altre soluzioni: la dimensione della torre ed i fattori di forma – cioè i rapporti tra le dimensioni – risultano inoltre assai ristretti. I nuraghe sembrano tutti uguali (e nelle linee generali lo sono) perché non è possibile altrimenti. Se non fosse così, non si potrebbe costruirli. Resta inteso che ciascuna torre, naturalmente, appare differente da qualunque altra nei dettagli, spesso non secondari, il che rafforza per l’appunto l’assunto che si sia trattato di atti costruttivi isolati e non coordinati.
Per chiarire (ahimè solo in parte) il concetto, sarà bene precisare che la dimensione di una torre cava a secco (diametro per altezza) dipende dalle dimensioni dei conci che si riesce a mettere in opera. Con i granelli di sabbia si può costruire una torre da osservare al microscopio, con conci di un metro cubo (possibilmente di forma allungata e di volume decrescente verso l’alto) una torre (cava) alta una ventina di metri.
La distribuzione statistica delle dimensioni e dei parametri di forma delle torri risulta ristretta proprio per questo: i nostri antenati massimizzarono ciò che può essere ottenuto dalle capacità di messa in opera che avevano. Disponendo essenzialmente di forza muscolare umana ed animale, di utensili di bronzo e pietra per la sbozzatura dei conci e di sistemi di cordami e legno, sistemi presenti nel bagaglio culturale delle società umane da millenni, quando decisero di realizzare la prima torre dovettero semplicemente mettere in pratica, in un progetto appena più ambizioso di un nuraghe a corridoio, il bagaglio di conoscenze che avevano già. Ci provarono un po’ di volte, e tirarono su la prima torre. Da quella, le altre. (Esistono comunque nuraghe a corridoio dotati di ambienti interni con copertura a tholos).
Quale fu la modalità di trasporto sollevamento e messa in opera dei conci?
Premesso anche in questo caso che non conosceremo mai i dettagli per mancanza di fonti storiche o iconografiche, possiamo tuttavia scartare le ipotesi che non vengano presentate sotto forma di catena operative (o tradotte in esperimento sul campo) e vagliate in ogni singolo passo della sequenza.
Esistono due principi generali per scartare un’ipotesi: l’inapplicabilità di un metodo o la poca convenienza “economica” del risultato.
Nella prima categoria si situa la curiosa ipotesi che vorrebbe la torre realizzata utilizzando una sorta di rampa “interna” alla stessa torre, un camminamento posizionato sul contorno esterno. Una verifica in termini di catena operativa, lo rende inattuabile per ragioni meramente geometriche. A questo proposito, si potrebbe chiedere a coloro che optano per questa palese assurdità di compilare una catena operativa per una torre del tipo Sa domu ‘e su Re di Torralba, o anche semplicemente per un monotorre – presumibilmente arcaico – privo di scala ed altri vani accessori.
L’ipotesi della “rampa esterna” al contrario, potenzialmente percorribile, risulta impraticabile da un punto di vista “economico” (vale il commento precedente per la torre di Torralba), poiché le dimensioni della rampa avrebbero richiesto, sia per la costruzione che per la successiva demolizione, tempi e risorse superiori a quelli richiesti per l’intera torre. L’uso di una rampa si giustifica (in mancanza di soluzioni alternative praticabili) solo se il volume della stessa è una frazione trascurabile del fabbricato o se lo stesso ne può contenere una parte rilevante (cosa che non accade per la torre) o se si dispone di risorse assi elevate in rapporto ai volumi da movimentare (ad esempio gli obelischi dell’antico Egitto, da decine di tonnellate, o i massicci architravi dei templi).
Nelle immagini: il nuraghe Erigranzanu, (purtroppo aggredito da un grosso albero e destinato alla distruzione), e il nuraghe Santa Cristina avvolto dalle piante
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