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Perché si tradisce il futuro se non si legge il presente?

Creato il 03 maggio 2010 da Sulromanzo

Perché si tradisce il futuro se non si legge il presente?Di Morgan Palmas
Perché si tradisce il futuro se non si legge il presente, che cosa diamine gli starà passando per la testa all’autore dell’articolo? Un fatto semplicissimo: la letteratura italiana dove sta andando e dove potrebbe andare nella contemporaneità? Gli ingredienti fagocitati a ritmo serrato in maniera asistematica gli permettono di indicare timidamente alcuni corpi più o meno organici e tuttavia l’interesse di oggi volge lo sguardo non verso i contenuti, bensì all’attenzione che si potrebbe gettare sui mezzi che conducono ai contenuti, i quali, accanto alle considerazioni sui libri presi uno a uno o sulle relazioni fra loro, sono anche costituiti dalle modalità attraverso cui si generano le idee di frontiera oppure, per dirla con categorie note, le avanguardie. Le domande sono due: 
Come si genera un’avanguardia letteraria oggigiorno? 
Esistono in Italia gruppi di persone – scrittori, artisti, accademici, ecc – che riflettono con serietà sui possibili territori della letteratura del futuro? 
Non occorre menzionare nostalgiche accolite d’artisti per riportare alla memoria scosse sussultorie e ondulatorie nel mondo delle lettere quando i caffè letterari erano fucine di idee, quando le stanze del Caffè Greco romano o delle Giubbe Rosse fiorentine accoglievano proclami e sogni, anatemi e manifesti.
Oggi, sbagliando, non pochi ritengono che gli innumerevoli festival di letteratura siano, nonostante la foggia diversa, concentrazioni d’ingegno simili, in altre parole eventi durante i quali si mettono in moto scosse che tentino di sondare i territori inesplorati del domani. Sbagliano poiché l’effetto vetrina o l’intrattenimento non sottende il più delle volte sviluppi ulteriori (se non progetti condivisi che alimentano legittime visioni opportunistiche e/o autoreferenziali), magari crea nuove simpatie o imprevisti legami fra gli addetti ai lavori, ma tutto si ferma lì, inesorabilmente. Il tentativo di guardare assieme oltre, nella speranza di coinvolgere altri flussi caotici, nella gioia di sbreccare i limiti imposti dalla tradizione o dalla moda di turno, è, a dir poco, un’azione morta da tempo.
Ci si chiede se non si potrebbe creare nel nostro paese una Singularity University della Letteratura, e che cosa è una Singularity University? Non è un nome altisonante vuoto o uno scherzo, società come la Nasa o Google ci stanno credendo negli Stati Uniti, investendo denaro e promuovendo progetti. La Singularity University si trova nella Silicon Valley, una delle aree del mondo ad altissima concentrazione di futuro (traduzione: start up di società visionarie nell’arte e nella scienza), selezione ferrea e corsi intensivi estivi nei quali le eccellenze dei più diversi campi del sapere si incontrano, discutendo, creando ponti, interagendo ognuno con il proprio background specialistico. Lo scopo è creare legami fra saperi lontani soltanto in apparenza, il contrario di quanto spesso accade nelle università istituzionali: dipartimenti che non si sfiorano, addirittura singoli settori all’interno di uno stesso dipartimento che si guardano talvolta di bieco. La teoria della singolarità è frutto di un teorico che negli anni ha generato non poche polemiche, tale Ray Kurzweil, colui che prevede nel futuro umano una società nella quale tutto sarà differente da oggi, si consiglia il libro “La singolarità è vicina” (edizioni Apogeo, traduzione a cura di Virginio B.Sala), per citare il suo testo più celebre.
Fuor di metafora, evidente perché il nostro interesse non è parlare di biotecnologie o intelligenza artificiale, una Singularity University delle Letteratura potrebbe creare nuove strutture e visioni, progetti condivisi e gusto singolare per il futuro. E chi potrebbero essere i protagonisti? Scrittori, artisti, accademici, ecc, si diceva, gente amante della letteratura, ma con provenienze anche distanti: dal designer allo storico, dal redattore al giornalista, al pubblicitario. Le selezioni dovrebbero essere basate su test di cultura letteraria, indipendentemente dai titoli. Credo che sia superfluo scrivere qui che non di rado un signor X magari laureato in Storia o non laureato possieda una cultura di letteratura più considerevole rispetto a tanti laureati in Lettere (bene inteso, non si è scritto che ciò è la norma, ma che può accadere). Per tale motivo un test, puro merito, tanto poco amato nel nostro italico stivale.
È pronta l’Italia per sfide simili?


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