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Umberto Eco (a questo punto nei molti articoli scritti segue descrizione sul chi è: ma già il fatto che ce ne sia bisogno potrebbe bastare per chiuderla qui). Dicevamo, dunque, che Umberto Eco ha fatto un intervento molto critico sui social network e su Internet a latere di una lectio magistralis all'Uni di Torino dove ha preso una laurea d honerem (tu senti che giro di latinismi che è uscito fuori, che Madonna mia rosa rose rosam) Le parole di Eco non sono state pronunciate durante la lezione, che aveva come centro i complotti e i complottisti, e che per ragioni ovvie (siete in troppi schiantati, mannaggia!), trova terreno fertile nella critica alla Rete. Quello che ha detto Eco, e ripreso dai media, viene dal successivo incontro con i giornalisti: contestualizzare serve.
Uno dei passaggi più sottolineati è questo: «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». Dino Ameduni si è divertito a sostituire il termine "social network" con "giornali": provateci pure voi, funziona.
I social network sono uno spazio occupato da persone vere ─ sono uno spazio, non un mezzo, non uno strumento, sono come un bar, un ufficio, un teatro, un campo da calcio. Dunque quelle persone vivono un contesto sociale, dunque se le persone sono sceme, imbecilli che dir si voglia, non è che lo sono perché si trovano su un social network ─ oppure è possibile che una decida di fare lo scemo su un s.n., ma è come se decidesse di farlo al bar, mentre al lavoro fa il bravo ragazzo (niente di nuovo). Il problema, ammesso si volesse parlarne, è nelle persone, che sono sceme e non nei social network: che al più ci danno soltanto la conferma di quello che abbiamo di fronte. La differenza, rispetto a prima, è che adesso nei s.n. ci si può trovare insieme, contemporaneamente, a migliaia di persone, e dunque avere uno spettro molto più ampio (con molti più potenziali scemi, allora) rispetto ai quattro gatti del bar del paese: ma sempre lì stiamo. Come è ovvio, nei social network come al bar, ci sono anche un mucchio di persone in gamba, sorridenti, intelligenti, divertenti, colte e geniali. Il fatto che a queste persone venga data la stessa possibilità di espressione che viene data a un premio Nobel è un bene per il mondo: perché magari nel più remoto paesino della campagna umbra c'è un qualche genio che non si sarebbe mai espresso al di fuori del bar, e invece grazie a quella grossa piazza che è Twitter (per dirne uno) ha potuto condividere con tutti la sua genialità ─ per dire. È una fregnaccia al limite del settario, dunque, il "ora hanno lo stesso diritto di parola".
Stessa operazione di prima, quella della sostituzione dei termini, provate a farla in quest'altro passaggio: «La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità». Invertite la parola "Internet" con "libri". Ci siamo capiti, no?
Questo è un altro aspetto di quello che dice Eco, che invece riguarda l'informazione ─ che non è necessariamente la stessa cosa, diteglielo: Internet è una roba che va oltre il semplice concetto di informazione, e i social network ancora di più. Qui la questione, spesso affrontata da chi scrive, è che c'è un mare di ignoranza diffusa (siamo di nuovo a quel "ammesso si volesse parlarne" sulle persone sceme di poche righe sopra), che non permette alle persone di distinguere le fonti da cui informarsi: ma la colpa di questo, non è di certo di Internet.
Ad avallare questo ─ che non ne avrebbe bisogno, ma va beh ─ c'è una considerazione su fatti. È necessario sapere che benché voi continuate a leggere le notizia del sito "che la sa più lunga", perché pensate che in quel modo potrete arrivare a cena e saperla più lunga, il grosso delle informazioni che riceviamo oggi da internet non si contrappone a quelle che riceviamo dalle fonti di informazione tradizionali: i principali diffusori di notizie e informazioni online sono gli stessi che lo erano offline. Cioè, per essere chiari, le info in Internet vengono messe da media come il Corriere della Sera, RAI, TgCom, Ansa (e pure da quelli più improvvisati come Repubblica). Siti di giornali già cartacei, reti televisive, agenzie di stampa. Quando diciamo che su internet circolano molte notizie false, quelle sono in buona parte notizie false immesse o amplificate in rete dai siti dei giornali e che i giornali di carta già immettevano e immettono nell'informazione che offrono ai loro lettori ─ anzi, adesso, magari, incrociando più dati, riusciamo a capire meglio se ci sono degli errori. Per esperienza personale, vi posso assicurare che il grosso degli errori gira per colpa di (in)esperte redazioni giornalistiche, che magari hanno usato come fonte un social network, senza verificare adeguatamente (ma il problema è questo: prima dei social network usavate come fonte la gente al bar? Magari sì, ma volevate verifiche, essere certi di quello che facevate. Ora perché invece vi prendete un post su Twitter scritto da uno sconosiuto come oro colato? Siete voi che non avete capito un tubo su come funziona, non gli altri che sbagliano a darvi l'informazione. Tra l'altro, la cosa assume anche un valore socio-economico, perché se un giornalista non riesce a distinguere le bufale dalle notizie, allora a che serve la sua paga?).
Insomma, per chiuderla qui, la questione è che la considerazione di Eco è superficiale, che spinge su stereotipi vecchi e su generalizzazioni mal funzionanti. Ha una parte pure giusta, quella del recepire le informazioni per esempio, ma trova una soluzione sbagliata, incolpare Internet. Sul discorso degli imbecilli, stasera guardatevi intorno al supermercato, poi ne riparliamo.
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