Performance isterica col botto

Creato il 22 maggio 2013 da Malvino

Ignoravo l’esistenza di Dominique Venner, ho recuperato leggendo i 146 post del suo blog, in gran parte editoriali e articoli pubblicati su La Nouvelle Revue d’Histoire, di cui era il direttore. Tutto in poche ore, troppo poco ovviamente per poter esprimere un giudizio articolato sulla sua persona, e tuttavia, dovendo abbozzarne uno, direi che le sue idee non fossero poi tanto diverse da quelle che in Italia hanno trovato megafono ne Il Foglio di Giuliano Ferrara (non escluse le simpatie per il cattolicesimo come ultimo saldo baluardo all’avanzare di un mondo «tout pourris»). Era un conservatore in patente disagio nei confronti della modernità, convinto della possibilità di una «révolution conservatrice» in grado di fermare la «contagion de chaos», ma questo, a mio modesto avviso, non spiega il suo suicidio come forma di protesta all’approvazione della legge che da poco autorizza in Francia i matrimoni gay, neanche a voler prendere per buona quella necessità «des geste nouveaux, spectaculaires et symboliques pour ébranler les somnolences, secouer les consciences anesthésiées et réveiller la mémoire de nos origines», ai quali faceva cenno nel suo ultimo post. D’altra parte è stato proprio il suo editore, Pierre-Guillaume de Roux, a dichiarare: «Je ne crois pas que l’on puisse lier son suicide à cette affaire de mariage, cela va bien au-delà». Senza dubbio odiava quella legge, ma il suicidio non è stato deciso come protesta estrema alla sua entrata in vigore: pensava ci fosse di meglio («Une loi infâme, une fois votée, peut toujours être abrogée»).E allora? Com’è da interpretare il suo atto estremo senza che entri in contraddizione con l’imperativo vitalistico che lo animava («Pas un instant je n’oublie les luttes du moment. Pas un instant je n’oublie les luttes du passé qui nous ont fait ce que nous sommes. Pas un instant je n’oublie qu’exister c’est se vouer et se dévouer, mais aussi lutter»)? Penso debba leggersi come gesto – insieme – estetico e politico: una rappresentazione plastica di rifiuto, una performance isterica col botto. A parte, poi, sarebbe opportuno interrogarsi – ma tutto sommato è superfluo, perché facilmente intuibile – cosa abbia reso mediaticamente suggestivo, dunque obbligato, almeno qui da noi, in Italia, il collegamento col matrimonio gay.   

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