È probabile che questo articolo mi attiri delle critiche, o addirittura qualche smorfia di indignazione. Ma pazienza, è mia abitudine dire comunque quello che penso.
Nella fattispecie mi riferisco alla vicenda della ragazza presunta vittima di uno stupro di gruppo, con allegata manifestazione forcaiola contro i presunti stupratori (presunti più che mai, visto che sono stati assolti). La faccenda mi ha ricordato un interessante episodio vissuto durante il mio soggiorno americano.
L’anno scorso mi sono trovato a passare un periodo di sei mesi presso l’università del Kansas. Per quanto mi è stato possibile, ho cercato di partecipare alle attività della comunità LGBT locale, incluso un grosso meeting per trattare il tema dello stupro e delle politiche, secondo i promotori dell’incontro inadeguate, con sui il problema della violenza sessuale era gestito dall’università.
Dopo l’introduzione, arrivano subito a quello che sarà il nucleo essenziale dell’incontro: le testimonianze delle vittime. Il tutto è arrangiato come la classica americanata, e ai miei occhi di estero/esterno suona molto stridente … le testimonianze sono probabilmente tutte vere, ma, eccetto una, le ragazze che le propongono sono chiaramente delle attrici, ed anche molto sopra le righe. Tutto un lacrimatorio generale, ma, ok, mi riesce comunque di alienarmi da quel contesto finto, grazie anche al fatto che durante una delle testimonianze vedo una ragazza del pubblico che piange … evidentemente, la vera vittime dell’episodio raccontato.
Le esperienze sono toccanti, alcune inquietanti, comunque di vario livello di gravità: una donna stuprata da un malato mentale che la minacciava con un coltello alla gola in casa di lui; un’altra ragazza che è riuscita a sottrarsi ma è stata costretta a tirare un pugno al suo assalitore per fargli entrare in testa che non voleva fare sesso con lui. Qualcuno fa notare che, giustamente e ovviamente, nessuno avrebbe mai potuto sostenere che in simili casi ci fosse anche solo un barlume di consenso.
Fin qui tutto mi suona giusto, al di là delle drammatizzazioni che non si confanno al mio palato raffinato da europeo semiautistico. Ascoltando testimonianze come quelle, da un lato ti domandi come sia possibile che effettivamente qualcuno affermi che le donne stuprate tutto sommato “se la cercano”, e dall’altro sei costretto a ricordarti che c’è chi lo dice e lo pensa veramente.
Ok. Poi arriva una testimonianza che però mi suona un po’ meno lineare. Non è drammatizzata ma raccontata in terza persona: la vittima aveva parlato con un amica, ovvero la ragazza che ora ci riferisce l’episodio, raccontandole di un incontro sessuale in cui lei non era diciamo … perfettamente consenziente. Almeno così l’ho capito io. La vittima aveva dichiarato all’amica di aver capito che “all’inizio il sesso non lo vuoi” e che non aveva pensato affatto di essere stata stuprata, visto che effettivamente non si era ribellata. Il racconto non è particolarmente dettagliato, ma emerge che la ragazza fondamentalmente non si era opposta al rapporto sessuale. Al massimo, a occhio e croce, era stata un po’ manipolata psicologicamente, ma non c’erano né violenza né alterata lucidità.
Qui qualcosa inizia a suonarmi un po’ male. Abbiamo visto una donna che ha rischiato la vita, un’altra che ha subito comunque violenza fisica … adesso abbiamo una ragazza che, alla peggio, è stata manipolata psicologicamente. Tutto quanto questo, però, gli organizzatori ci tengono moltissimo a sottolinearlo, va sempre e comunque chiamato stupro, senza attenuanti.
Mi sorgono le prime perplessità, ma esse diventano davvero preoccupanti solo quando sento una delle attrici dire: “anche voi uomini non potete sentirvi al sicuro dallo stupro solo perché siete più forti. Possiamo comunque manipolarvi, ad esempio dirvi che non siete veri uomini se non fate sesso con noi.”
Be’, partenza buona, sappiamo che anche i maschi possono essere stuprati, sia da altri maschi che da femmine (solo che non denunciano quasi mai). Ma se ho capito bene, e ho capito bene perché l’inglese lo mastico, la ragazza ha effettivamente equiparato la manipolazione psicologica al coltello alla gola.
Ora, una ragazza che manipola un uomo in quel modo è una stronza galattica. Ma siamo davvero pronti a definirla una stupratrice, con tutto il peso disastroso che un simile termine porta con sé? Lo stupratore è feccia della società, è uno dei due Uomini Neri della civiltà occidentale (l’altro è il pedofilo). L’accusa di essere uno stupratore è pesantissima, e le pene per lo stupro non sono un giocattolo. Siamo pronti ad equiparare un coltello alla gola o una droga nel bicchiere ad un’indefinita ‘manipolazione psicologica’, sotto il terrificante termine ombrello di ‘stupro’?
Io sono sempre abituato a fare i distinguo fra le cose, e ho sempre pensato sia importante discernere in particolare i vari livelli di gravità di un reato; anche perché se mi concedete l’autocitazione, “l’uguaglianza si ottiene sempre al ribasso”: nel momento in cui equipariamo due crimini di gravità diversa, la realtà è che se va bene la gravità dei due è ridotta alla loro media, se va male è sempre quello più grave ad assestarsi sul livello di quello più basso.
Esco dall’incontro che ho imparato una cosa sola: che la definizione di stupro a quanto pare è ampliata in maniera incredibile a quello che credevo; probabilmente è il messaggio che volevano farmi passare. Ma se l’idea era di convincermi che il ragazzo di quell’episodio di ‘manipolazione’ ha fatto la stessa cosa di quello che ha minacciato la vittima col coltello … ecco, quello mi spiace ma non mi è passato per niente. Prima non avrei mai pensato che potessero esserci circostanze attenuanti per uno “stupro”, o che potessero porsi seriamente problemi riguardo alla presenza o meno di un consenso (cazzo, ti mettono un coltello alla gola, ma quale consenso?!). Ma se lo stupro diventa un concetto così ampio, la situazione cambia: esco da lì pensando che se lo stupro è quello che dicono loro, allora ci sono molte, moltissime sfumature e zone grigie riguardo alla presenza o meno del famigerato consenso, e dunque moltissime attenuanti possibili. Cavolo, stando a questa vaghissima definizione, io sono stato stuprato un paio di volte e ho stuprato un paio di volte! Mi sorge il sospetto che ci sia qualcosa che non va in una definizione così sfumata …
Questo grigio gli organizzatori lo volevano trasformare tutto in nero, però. Ti mettono un coltello alla gola? Stupro. Ti drogano? Stupro. Hai bevuto come un cammello alcolizzato e hai strofinato il culo contro il pacco di tutti i ragazzi del locale per tutta la sera molte sere di fila, e un giorno uno degli altri avventori, brillo pure lui, ha fatto sesso con te senza manco che tu ti ribellassi, solo che poi il giorno dopo hai pensato che forse non eri proprio consenziente e non ti andava (sì, va letto tutto d’un fiato)? Stupro.
Ok, no, ragazzi; so che mi attirerò critiche per quello che sto scrivendo, ma non sono d’accordo con questa equiparazione. Capisco, o meglio, mi sforzo di capire, che una ragazza che è stata drogata e stuprata debba soffrire a sentirsi chiedere se avesse o meno dato segni di consenso. Ma è una domanda che va fatta, perché quello che ho ormai capito è che la ‘zona grigia del consenso’ esiste eccome.
Immaginiamo a ‘mo di esempio un possibile scenario di ‘manipolazione psicologica’. Ad esempio, che ci sia una ragazza che è ancora alle sue prime esperienze , si sente attratta dal sesso ma ha le sue remore, dovute magari ad un’educazione repressiva. Supponiamo che con lei ci sia un ragazzo più o meno coetaneo o poco più grande, anch’egli non particolarmente esperto ma con l’ormone alle stelle. Hanno tutti e due bevuto un po’, magari lei un po’ di più ma non cambia tanto: lui ci prova con lei. Lei ci sta. Poi cambia idea e si ritrae, perché ha i sensi di colpa. Poi però si sente di nuovo attratta e dice di sì. Poi di nuovo di no. Insomma è tutto un offrirsi e ritrarsi in cui lei stessa non sa cosa vuole davvero. Esistono questi casi?
Sì, esistono. Io avrei potuto essere uno di essi un po’ di anni fa.
L’altro, un po’ confuso, non capisce come deve comportarsi, lei non si decide, allora pensa: “ok, spingo un po’ io e vediamo che fa”.
Lei non è convintissima, magari all’inizio si ritrae pure un po’, però poi ci sta e si arriva fino alla fine.
Poi il giorno dopo si pente dell’accaduto e parla con un’amica smaliziata (che magari è una rape survivor, e che ovviamente come tutti filtra a sua volta il racconto attraverso le proprie esperienze e pregiudizi …), che le dice:
“Guarda che sei stata stuprata!”
“Ma io non mi sono opposta, infatti mi sento anche un po’ in colpa …”
“Ma no, è la società che ti fa sentire in colpa, tu sei la vittima, tu sei stata stuprata!”
Da lì è tutto in discesa.
È evidente che in questo esempio, nient’affatto inconcepibile, il consenso è quanto meno in zona grigia (per non dire bianca), e dunque grigia è anche la nostra possibilità di emettere condanne. Certo, potremmo comunque fare il facile gioco del moralista che dall’esterno sa sempre cosa è giusto fare in tutte le circostanze della vita di tutte le persone della terra: “ma lui vedendo che lei non era perfettamente decisa non avrebbe dovuto approfittarsene!”
Potremmo dirlo, ma sarebbe fuori luogo. Spesso queste cose succedono con un po’ di alcol in corpo e con gli ormoni impazziti, non sono circostanze in cui uno si mette a fare i massimi ragionamenti etici. E anche se li facesse, non necessariamente la conclusione più sensata sarebbe non fare niente: a volte il negarsi iniziale è parte integrante del gioco seduttivo, e richiede l’iniziativa del partner che vinca eroicamente quella negazione. Come se non bastasse, capita anche di assistere a casi veramente paradossali, al limite del patologico da parte della “vittima”: su un forum una volta lessi la testimonianza di un ragazzo che diceva di essere stato stuprato, e che la cosa gli era piaciuta. E l’esperienza che descriveva era effettivamente uno stupro a tutti gli effetti! Lo avevano preso e penetrato mentre si dimenava ribellandosi, ignorando le sue proteste. Ma gli era piaciuto. Ok, la gente è strana, il sesso è strano e non dobbiamo interpretare casi così come la regola. Servono però a confermarci che la questione del consenso può non essere così banale, e fare sesso non è un contratto da firmare davanti al notaio (non mi permetto di spingermi oltre e dire che le persone non dovrebbero spappolarsi il cervello di alcolici se vogliono evitare di perdere il controllo sulle situazioni in cui si trovano, o che nella nostra società strofinare il deretano sull’uccello di qualcuno di solito è considerato un approccio sessuale sia che tu lo intenda in quel modo o meno, oppure ancora che stando alla legge italiana a vent’anni dovresti sapere dire chiaramente ‘sì’ o ‘no’ ad un rapporto sessuale già da sei anni; sarebbe colpevolizzazione della vittima e la evitiamo).
Nonostante queste considerazioni, potrei essere disposto comunque a condannare chi “spinge troppo” su un consenso che non era così limpido, suvvia. Faccio il pubblico ministero moralista: brutto stronzo, dovevi aspettare che lui/lei ti dicesse “Sì, montami come un divano dell’Ikea!” prima di muoverti.
Posso farlo. Ma solo io mentre lo faccio mi sento di star dando i natali ad un mostro giudiziario di dimensioni terrificanti? Non mi preoccuperei di dover puntualizzare che anche nei casi di stupro, come in tutti gli altri casi di presunti crimini, può essere che il crimine in realtà sia immaginario, se non stessi avendo l’impressione che questa verità elementare venga messa in dubbio, al punto di dover assistere perfino all’invocazione, implicita o esplicita, di una sospensione della presunzione di innocenza nei casi di stupro.
Non posso fare domande troppo precise su come si era comportata la ‘vittima’, se effettivamente fosse consenziente o meno o in che grado, o in che grado il suo comportamento fosse fraintendibile come consenziente, perché quella è colpevolizzazione della vittima. Mettere in dubbio la sua testimonianza, nemmeno, perché poverina/o aveva bevuto ed era in confusione; quindi verificare se il soggetto è il tipo di persona che potrebbe aver mentito e perché, indagando sul suo passato, sul suo rapporto con il sesso eccetera, anche quello è fuori discussione. Insomma, se mi dice “non ero consenziente” mi devo fidare sulla parola, non fare altre indagini e mandare gente in carcere sotto una delle accuse più infamanti per la nostra società senza batter ciglio. Peggio! Visto che la vittima a volte si auto-colpevolizza, perfino se essa mi dice invece che consenziente lo era, non mi devo fidare: può essere che in fondo al cuore non fosse davvero consenziente, solo che non se ne rendeva conto! Con calma, il giorno dopo, o giorni dopo, o settimane dopo, si renderà conto se era consenziente o meno. Certo, come no, Dopo aver fatto sedimentare bene l’esperienza ed aver dato tempo a quel grande prestigiatore che ben conosco e che è il nostro cervello di alterare il ricordo dell’accaduto, inventare dettagli inesistenti, cancellarne atri reali eccetera. Per non parlare, poi, del caso in cui la vittima abbia bevuto una birra prima! Allora è praticamente un certificato di vittima perfetta!
Se questo non è il messaggio che una parte del mondo femminista voleva mandare, mi correggano subito (e magari ritirino manifestazioni ridicole con cui vorrebbero sostituirsi al potere giudiziario …), perché questo è il messaggio che ho recepito
Ragazzi e ragazze, obbiettivamente, spero che ci rendiamo tutti conto serenamente che non è possibile ragionare nel modo di cui sopra, dal punto di vista giudiziario. E per fortuna ci sono dei magistrati che lo capiscono!
Capisco il problema della colpevolizzazione della vittima, la sofferenza di una ragazza che è stata effettivamente stuprata e deve spiegare che si era effettivamente ribellata e non aveva dato nessun consenso. Ciò nonostante, una dura verità che bisogna dire è che le vittime immaginarie esistono. Gente talora in perfetta malafede, talora visionaria, talora manipolata da parenti e legulei senza scrupoli alla ricerca di risarcimenti, talora semplicemente irrisolta è che finisce con lo scaricare sugli altri un rapporto problematico col sesso e col proprio corpo.
Queste che ho elencato possono di certo essere semplici scuse per colpevolizzare la vittima di un autentico stupro. E possono anche altrettanto bene corrispondere al vero nel caso in esame. Se ci raccontiamo che ogni donna che dice di essere stuprata è stata effettivamente stuprata ed è una vittima assoluta senza alcuna responsabilità, ci raccontiamo una bugia. Una bugia gradevole, una bugia buonista, una bugia che, attraverso un meccanismo perverso, può sembrarci perfino giusta, in quanto controbilancia le bugie di chi afferma che “le donne stuprate se la cercano”.
Ma è una bugia, e neanche innocua. È una bugia che può fare e fa vittime innocenti.
Mi spiace ma non penso che un paese civile possa accettare una cosa simile.
Ossequi