Lo scrittore austriaco Thomas Bernhard (1931 – 1989) è autore di numerosi romanzi e scritti autobiografici. Claudio Magris lo ha definito un “recensore del caos”.
“Perturbamento” (Verstörung), il suo secondo romanzo, risale al 1967 ed è uscito per la prima volta in Italia con Adelphi nel 1981. Dopo “Parturbamento”, Bernhard ha pubblicato più di venti volumi, fra romanzi, racconti, scritti teatrali e autobiografici.
In “Perturbamento” Bernhard esprime un disperato nichilismo attraverso figure patologiche, in uno stile ossessivo. Gli uomini, gli animali, la natura emanano cattiveria, squallore, tristezza, senso di oppressione.
Il principe Saurau vive segregato nel suo castello nella regione della Stiria. La solitudine e la tendenza al soliloquio ne hanno minato l’equilibrio mentale rendendolo vittima di frequenti deliri, alternati a fasi di lucidità:
“Ho un timore sempre più grande di me stesso. Ho veramente paura. Cerco di distrarmi da me stesso ma ormai ci riesco solo sporadicamente…Tutti siamo vittime di questi perturbamenti. Viviamo tutti insieme in un edificio che non è grande, come si potrebbe credere, in effetti è angusto, invece, e siamo lontani uno dall’altro centinaia di chilometri. Se uno chiama, l’altro non sente. Per settimane intere le condizioni del tempo opprimono il nostro sistema nervoso in maniera catastrofica, riducendolo a uno stadio primordiale. Finché a un certo punto, arrivati a uno stadio di assoluto abbattimento, solo allora, improvvisamente, ricominciamo a parlare, ci aiutiamo l’un l’altro a riprenderci, cominciamo a capirci, per poi tornare, pochissimo tempo dopo, a non capirci più, a non capir più niente uno dell’altro… Conversando, la gente ha sempre l’impressione di stare in bilico su una corda e gli esseri umani hanno costantemente paura di precipitare a quel basso livello che ad essi si addice. È una paura che provo anch’io. Così tutti i discorsi si svolgono sempre fra persone in bilico su una corda che hanno costantemente paura di precipitare giù, di essere ricacciate a quel basso livello che è il loro…”.
Il medico condotto e suo figlio sono gli unici due esseri umani con cui ancora si rapporta, ma in tutti i pensieri del principe è presente quel perturbamento perpetuo che ammorba anche i personaggi che vengono a contatto con lui. Così trasmette il suo male di vivere anche al giovane ospite:
“La fanciullezza si stanca presto, la vecchiaia è un ricordare la fanciullezza. Hai utilizzato bene la tua vita? penso. Se cominci a porti questi problemi, sei spacciato”.
La nostalgia dei tempi andati e la consapevolezza dell’impietoso fluire del tempo sono un’angosciante cappio stretto intorno al collo che lo sta per soffocare: “Camminando lunga queste mura, sento aprirsi le crepe e annunciarsi il crollo totale della fantasia del mondo”.
Persino la quiete che regna su al castello viene vista in una luce nefasta e distruttiva: “La quiete stessa si oppone alla natura…La quiete si dilata nella mia testa e finirà per farla a pezzi”.
Nonostante siano trascorsi quarantaquattro anni dalla prima edizione, la tematica del libro è, purtroppo, più che mai attuale e rispecchia l’angoscia ed il disorientamento dell’uomo contemporaneo di fronte a domande che rimangono senza una risposta.
Written by Fiorella Carcereri