Pet Therapy con Mercurio, un Alaskan Malamute straordinario

Da Mercuriomalamute @mercuriomalamut

mercurio, cucciolo di Alaskan Malamute di sei mesi gioca con cucciolo di Golden Retriever di un mese e mezzo

Un cucciolo di Alaskan Malamute come primo cane è una scelta che ti cambia la vita per sempre. L’effetto terapeutico degli animali è conosciuto e studiato sin da tempo immemore e Mercurio è per me un’esperienza di vita e di “profondo”  difficile da descrivere. A modo suo, sta svolgendo un’azione di pet therapy sulla mia esistenza e diecimila grazie sono troppo pochi per ogni singolo atto da lui compiuto per aiutarmi ad essere una persona migliore. Gli Alaskan Malamute sono molto utilizzati per la pet therapy in America, perché le loro peculiarità caratteriali ben si adattano a dei lavori di “soccorso d’anima”. 

Scegliere un Alaskan Malamute come primo cane è stata la decisioni più calzante con la mia personalità. Questo lupo, che assomiglia a un cane solo grazie all’opera umana, ha un potente istinto, un’intelligenza molto sviluppata e un rapporto con la terra particolare, selvatico quasi. E’ estremamente consapevole dei suoi bisogni e ha una presa “terrena”, è in grado di discernere la strategia di sopravvivenza più utile. Lui sa sempre di cosa necessita, soprattutto quando tu non lo sai. La sua capacità di lealtà è un qualcosa di sconfinato, ma proprio per questo è uno specchio che non perdona. L’Alaskan Malamute è iper percettivo e sensibile a livelli esponenziali alle emozioni umane ed è in grado di rimandarti quello che stai realmente provando dentro la tua anima, scavalcando con un balzo ogni bozzolo di giustificazioni o cavilli o paraventi che proteggono le parti più oscure di te.

Per questo non è semplice avere a che fare con lui: non esiste un momento in cui il Malamute “imboschi” i limiti umani. Te li mette davanti agli occhi con dovizia di particolari. Mi basta guardare Mercurio per capire com’è posizionata la mia bussola delle emozioni, quanto sono in ansia, quanto riesco a gestire la rabbia, quanto sono davvero felice, quanto mi sto impantanando nei ricordi non ancora smaltiti. Grazie a lui ho conosciuto l’elevato grado della mia aggressività repressa, che credevo di non avere, che non volevo sentire o riconoscere e che lui mi ha fatto provare, presentandomela su un piatto d’oro sotto forma di morsi alle mie gambe dopo nemmeno 24h insieme. Potevo avere tutte le giustificazioni del mondo per covare nel cuore un così alto grado di rabbia, ma Mercurio mi ha semplicemente fatto vedere che c’era e che dovevo riconoscerla. Lui è l’essere più spietatamente sincero che esista ed è per questo che è speciale.

Quando leggo gli articoli sul web che sottolineano quanto il Malamute non sia un cane per tutti, mi chiedo perché gli autori non citino mai questo aspetto del Malamute. Mi chiedo anche perché i tanti esperti della razza non tentino di esprimere a parole questi aspetti importanti della relazione con l’uomo, soffermandosi alle critiche sulle reali o presunte incapacità di quella o quell’altra persona. L’essere o meno in grado di diventare un capobranco efficace è, secondo me, un qualcosa di secondario nel rapporto con l’Alaskan. Il Malamute non è un cane per tutti perché è un cane immenso dentro, nel bene e nel male e il confronto mette molto in crisi, svela gli inganni, illumina le voragini d’amore conficcate a precipizio nel cuore. Bisogna dire queste cose perché, secondo me, il rischio di perdersi nella mitologia televisiva del capobranco, affrontata nei termini con i quali di solito si affronta la questione (cioè banalizzando e perdendo la dimensione simbolica ed esperienziale umana) dimezza la possibilità delle persone di conoscere. E scegliere. Mercurio non è un cane che ubbidisce a comando: non lo farà mai. Quando lo fa (e ciò succede molto spesso) è perché riconosce che, alla base della mia richiesta, c’è un motivo valido. Un motivo sensato, intelligente, molto più concreto del banalissimo biscottino come ricompensa, che pure è un canale di comunicazione e uno strumento di relazione. Quando non lo fa è perché mi sente in dubbio e, se non sono convinta di ciò che gli sto chiedendo, lui decide per il suo bene sul momento. Io, come si suol dire, “mi attacco al tram” ovvero prendo atto di ciò che è accaduto e, 10 volte su 10, mi trovo costretta a dovergli dare ragione sulla scelta che ha preso, in base al contesto in cui ci troviamo. Vivere questo per dodici anni è una sfida quasi omerica. Questa è la difficoltà e la più preziosa autostrada terapeutica che si percorre con un animale come Mercurio. Lo guardo ammaliata, esterrefatta. L’Alaskan Malamute è in grado di amare includendo la libertà nel concetto di amore che, se volessi ritrovare qualcosa di simile nella tradizione filosofica umana, dovrei far riferimento, forse, alle filosofie orientali. Lui c’è. Allo stesso tempo è fortemente consapevole della sua libertà e della tua.

L’effetto benefico di Mercurio sulla nostra vita è molteplice. Il suo arrivo ci ha sospinti fuori di casa, abbattendo le barriere dell’apatia, della diffidenza, della depressione e della solitudine cercata. Ci ha incoraggiato all’incontro con un numero non più quantificabile di persone, anime che, nella migliore delle ipotesi, avremmo continuato ad ignorare se non ci fosse stato  lui. Mercurio ci ha fatto scoprire anche una sorta di “lato genitoriale”, spingendoci a riflettere sul come ci prendiamo cura di una creatura piccola, sui nostri personali egoismi, sulle nostre reazioni di fronte alla rabbia e alla frustrazione, sulla nostra capacità di premiare un comportamento buono, che segue uno cattivo, che ci ha fatto tanto inalberare. L’effetto più dirompente sulla mia vita è stato proprio il “portarmi fuori di casa”, il darmi altro a cui pensare rispetto ai social network e il lavoro (o la ricerca spasmodica del lavoro). Mi ha aiutato a fare amicizia con persone che non avrei mai nemmeno osato guardare negli occhi o salutare se non avessi avuto la motivazione, per esempio, del portarlo a lavare dopo un mese di scorrazzate nel fango e tuffi nel lago, corse sotto la pioggia e staffette fra le pozzanghere. Prima di Mercurio ero una persona che passava volontariamente molto tempo lontano dalla società e dalle persone (e non ne soffrivo). Ora, grazie a lui, posso dire di aver iniziato ad integrare nel mio presente anche i rapporti umani con estranei alla mia famiglia, riuscendo a raccontare qualche briciola di me stessa dal vivo, senza ascoltare e basta. Mercurio mi ha dato la possibilità di mettere in discussione il mio rapporto di coppia e, lui da solo, ha messo in atto la magia insita nel suo nome di arcobaleno fra i mondi, messaggero fra forze vitali: ha dato nuova linfa positiva alle nostre famiglie allargate, appianando problemi o divergenze, lasciando emergere la bellezza dello stare insieme e del fare qualcosa insieme, noi umani e lui.

Per quanto molti critichino Cesar Millan come educatore cinofilo, c’è una cosa che dice nei suoi programmi e che condivido, perché ne colgo la portata innovativa, energica e vitale: “Non scegliere il cane che ti piace, ma quello di cui hai bisogno“. Se avessi scelto il “cane che mi piaceva” avrei optato per il Terranova. L’Alaskan Malamute è il cane di cui avevo bisogno. Nessun altro, nemmeno l’husky, avrebbe potuto darmi quello che lui, Mercurio, mi sta dando come esemplare di una razza spettacolare e mozzafiato e come individuo specifico. La forza insita in questa frase di Cesar Millan, potente come una propulsione catalizzatrice, è nella ricerca del mettersi in gioco per davvero. Proprio per questo ritengo che l’Alaskan Malamute sia un animale molto adatto alla pet therapy, ma vista con occhi e approcci diversi dal solito. Se esistessero delle ricerche in merito all’utilizzo dell’Alaskan Malamute con le persone colpite dal disturbo post traumatico da stress causato da vari tipi di violenza, sarei curiosa di conoscere i risultati relativi all’efficacia e alle tempistiche di “ritorno alla vita” dopo il trauma, proprio grazie alla quotidiana esperienza con un Malamute adottato. Questo cane richiede un grandissimo sforzo relazionale, cognitivo, decisionale e il suo potere evolutivo condiziona e modifica chiunque decida di passare del tempo con lui, entrando con ambo i piedi nel suo mondo. Si dice che il Malamute non sia un cane da guardia o da difesa, ma il fatto stesso che per lui il branco è qualcosa di fondamentale, mette in discussione tutto questo. Che esperienza vivrebbe una persona che si sente sola al mondo, senza punti di riferimento, senza la capacità di riconoscere le proprie emozioni o rispondere ai propri bisogni nel “qui e ora”, adottando un Alaskan Malamute? Come cambierebbe la vita di una donna che, per esempio, ha vissuto abusi sessuali, tornando ad uscire per strada con a fianco proprio questo lupo? Come diventerebbe, sforzandosi di esercitare la sua volontà, una persona abituata a non dire mai di no, a non mettere confini, a farsi sopraffare da tutto e tutti previo poi scaraventare all’aria ogni tipo di legame quando la rabbia ha raggiunto il culmine? La capacità di agire nel mondo migliorerebbe dovendosi confrontare con un animale con il quale devi dialogare sempre, imparando anche a non essere presente e ad allentare la morsa del bisogno atavico di presenza, certezza?

Un animale come il cane, sul quale si focalizzano una miriade di proiezioni umane, con un proprio mondo indipendente, è un compagno ideale per scandagliare i sentieri più reconditi della propria anima e della proprio ombra. Con il Malamute ci si deve sempre chiedere: sono io che ho bisogno di questo oppure è lui/lei che ne ha? E’ lui/lei ad essere realmente così oppure sono io che voglio vedere questo? Il concetto di realtà oggettiva è un sentiero in salita, ma la possibilità di essere più consapevoli di noi stessi è qualcosa che aiuta a costruire una vita migliore. Mettersi in relazione con un essere umano per davvero è difficile; farlo con un animale lo è ancora di più perché, oltre alle classiche difficoltà dell’uscire dal proprio guscio di concezioni, significati e rappresentazioni mentali, ci si espone al rischio di errare e fallire. Per molti è inaccettabile; per me è pauroso, talvolta, ma è anche una potente motivazione al non rimanere ferma, immobile, in una trincea infangata dalle titubanze e dai pensieri reietti dell’infanzia. Entrare in relazione con Mercurio mi ha mostrato la mappa della mia anima, i punti sui quali devo lavorare, le svolte che ho costruito riflettendo e agendo consapevolmente. Sapere di aver sbagliato molto con lui all’inizio, di non aver capito e interpretato correttamente il suo linguaggio, mi fa soffrire e mi sento in colpa spesso, nei suoi confronti, tanto che vivo momenti di ansia, talvolta smisurata, mentre cerco di essere il più perfetta possibile nel rapportarmi con lui.

Vengo criticata giornalmente per come vivo il mio rapporto con lui. Anche questo è “terapeutico”: nel mondo cinofilo esistono solo esperti. Non persone che hanno iniziato da zero e che riconoscono di aver sbagliato, a volte. Nel mondo dei Malamute, questo è ancora più forte. Essere un nuovo proprietario di questa razza significa anche mettere in conto che la solidarietà umana non è scontata, così come la disponibilità reale a fornire informazioni puntuali. Ci sono, però, le critiche aspre, che mirano a sminuire ogni sforzo e, sul web, questo è ancora più evidente e concreto: basta dare un’occhiata ai forum, ai rari siti con commenti, ascoltare le persone. Dicevo che questo è terapeutico, secondo me: imparare a separare la gramigna dal grano buono. Questo è. Imparare a non diventare protagonista dei film altrui, vissuti nella mente altrui, prendendosi sulle spalle le esplosioni vulcaniche di emotività nata dal pensare diversamente. Imparare anche a perdonarsi e a darsi una nuova possibilità: succede di sbagliare, questo non significa diventare mostri. E’ facile intuire il perché di questi tzunami di sillogismi errati in un mondo che dovrebbe includere solo la semplicità dell’amore per un animale. Gli animali, e il Malamute in particoalre, scavalcano la razionalità e le difese. Quando non si è consapevoli di ciò che ci agisce e ci spinge nudi nel bombardamento del fuoco amico, accade di perdere i confini umani, diventando quel drago a nove teste che il nostro Gandalf interiore non è ancora riuscito ad uccidere.

Rispetto alle critiche che mi sono state mosse, Mercurio non solo è il cane giusto per me, ma è anche un alleato prezioso, capace di insegnarmi molto sull’ambiente, sulle risorse, sulla prudenza, sul come amo, sulla pazienza, sul che cosa significa fare qualcosa per qualcuno per davvero. Molti dicono che non bisogna prendere un cane per risolvere i propri dilemmi interiori o per trovare sicurezza dalla protezione che genera la mole di un cane di taglia grande. Mi trovo d’accordo, ma non posso non aggiungere anche una ulteriore riflessione personale: è impossibile entrare in relazione con qualcuno senza lasciarsi contaminare e plasmare da questo intreccio di vissuti, anime, sensazioni, simbologie, credenze, bisogni. Credo sia anche impossibile scegliere qualcuno, persona o animale, di cui non abbiamo bisogno. Anche i nostri nemici sono, secondo me, la risposta a un bisogno di confronto e di evoluzione, che sicuramente non riconosciamo, ma da cui possiamo partire attraverso l’elaborazione della cronologia degli eventi, arrivando poi alle profondità dei nessi logici delle anime in conflitto.

Inoltre, mi piacerebbe conoscere qualcuno in grado di scegliere (o rifiutare) l’incontro con un essere vivente perché riesce a riconoscere consapevolmente e a priori il motivo per il quale si è sentito attratto da quel determinato esemplare (umano o animale). Se così fosse, probabilmente molti di noi avrebbero evitato i fallimenti che costellano la storia privata, soprattutto in ambito affettivo. Se per molti l’acquisto di un cane equivale al soddisfacimento di un bisogno primario secondo la piramide di Maslow (e mi riferisco all’amore), allora forse questo qualcosa andrebbe riconosciuto, piuttosto che demonizzato, perché riguarda tutti gli esseri viventi ed è, anche per gli animali, qualcosa capace davvero di “muovere il mondo”.  Il cambiamento è inevitabile  e un cane, un Alaskan Malamute in particolare, Mercurio per quanto mi riguarda, è una via preferenziale verso una conoscenza più importante di me stessa. Mi lascio attraversare e contaminare da lui, perché è speciale. Ho acconsentito all’adozione di Mercurio proprio perché è un cane nordico, proprio perché è un cane primitivo. Dire che amo la natura è riduttivo perché non è una questione blanda di fare qualche passeggiata ogni tanto in un parco pubblico. Per me la natura ha a che fare con la solitudine e l’incontro di immagini e riflessioni capaci di trasformare la mia vita. Dire che ho sempre sognato di avere accanto un lupo è riduttivo perché non è il “cosa” che fa testo: quello che conta, per me e solo per me, è il livello simbolico, evolutivo, mistico ed esperienziale che questa affermazione include al suo interno.

Sapevo del bisogno dell’Alaskan Malamute di avere un leader forte e sapevo che questa sarebbe stata una grande scuola per me perché non lo sono mai stata davvero, una via maestra per apprendere delle abilità affettive e relazionali che mai avrei potuto sperimentare nella mia vita. Sapevo anche di essere fragile dentro, inadeguata, come a molti piace definirmi. Sapevo, però, di poter dare qualcosa a questo cucciolo di Alaskan Malamute, qualcosa di ben diverso dalle canoniche quattro ore d’uscita giornaliera, dal cibo, dal guinzaglio firmato o dalle papere da ciancicare la sera, mentre io e il mio compagno giochiamo ad Assassin’s Creed. Sapevo di potergli dare disponibilità ad entrare in contatto con lui, voglia di mettermi in gioco, desiderio di dargli quel tipo d’amore che lui è in grado di recepire come positivo. Gli garantisco me stessa, fino in fondo.

Sono grata a tutte le difficoltà che abbiamo avuto all’inizio, anche ai morsi iniziali, perché sono stati la via maestra per scornarci, come due Alaskan Malamute che combattono per stabilire la gerarchia (e spero che “i corvi in agguato” capiscano che la frase include una similitudine e non accampino altre astrusità al riguardo). Ci siamo presi di petto, ci siamo impegnati tanto entrambi: ora il nostro rapporto è qualcosa di speciale, sempre in crescita e mai fermo, piatto o uguale al giorno precedente. Ogni giorno si arricchisce d’amore e di scoperte. Lui ha lavorato ogni giorno e ogni giorno ha saputo fare qualcosa in più per me, per noi, per lui stesso e con me e con noi.


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