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Petali di passata rima – di Michelangelo Matilli

Da Clindi

Copertina Matilli

Una raccolta di poesie in bilico tra la malinconia delusa e la spinta vitale che anima ogni essere vivente. Scrive Giovanni Zavarella nella prefazione: “Bisogna che il seme muoia per tornare a vivere”. Nella silloge di Michelangelo Matilli, Petali di passata rima (Midgard Editrice), l’autore intraprende quindi un cammino di rinnovamento e di reazione alla delusione amorosa. Ciò è reso possibile grazie alle potenzialità, non tanto del linguaggio, ma dell’approccio poetico.

Partendo dalla rievocazione, sempre più dettagliata, del ricordo, Matilli scova la bellezza del passato nei bagliori della vita presente, rammentando la stagione d’un amore trascorso e accettandone la conclusione, come volontà divina delle cose. Ogni elemento animato e ogni emozione tende alla conclusione, ma non all’annullamento, lasciando dietro di sé una scia opaca che prenderà parte alla bellezza della “passata rima”. È un “cammino perfettibile” (citando ancora la prefazione) alla ricerca, inconsapevole al principio, di una verità celata, che rende tutto e tutti parte di un ciclo dell’animo che mai si interrompe: il poeta stesso è quindi costretto ad ammettere e attraversare una morte interiore per poi riconoscere, a tempo debito, la sacralità del ricordo che rende l’amore passato ricco di valori puri e sacrali. Tutti anelli della stessa catena, indispensabili per l’avvistamento, anche in lontananza, della fenice della rinascita.

Matilli, nel citare Giorgio Gaber, rende evidente il trasporto con cui ha vissuto tale evento e la sua volontà di liberarlo da sfumature eccessivamente drammatiche, quasi ad esorcizzarlo. È con tono ironico che Gaber riconosce quanto sia indifeso l’uomo di fronte ad un sentimento che lo avvicina al divino: (…) e ti rene tanto più ridicolo / quanto maggiore / è la sua bellezza.

La natura si fa mezzo, strumento per vivere l’amore passato, assaporarlo ed inghiottirlo, e per scovarne di nuovi, nella sensibilità della poesia, con l’occhio malleabile del poeta. Con atteggiamento nostalgico, quindi, l’autore procede alla ricerca della sua smarrita “Itaca”, che spera di raggiungere, una volta sepolte e svanite le polveri della battaglia trascorsa.

“(…) Puri, in un deserto

arido e vecchio,

com’è il poeta

o colui che vuol veder certo.

Passano armenti,

greggi e la cometa

alta e candida è specchio

per coloro consacrati ai venti”.


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