Il prezzo del Crude Oil, ossia il petrolio greggio che si contratta sul Nymex di New York, è passato dagli oltre 100 dollari al barile di inizio luglio agli attuali 59,6 dollari, non serve nemmeno una calcolatrice per capire che in meno di sei mesi il prezzo è sceso di oltre il 40%.
E’ una buona notizia?
Insomma … dipende dai punti di vista.
Per chi viaggia parrebbe di sì, sappiamo perfettamente che una diminuzione del greggio non si ripercuote di pari passo alla pompa visto che il prezzo della benzina, soprattutto in Italia, è determinato principalmente dall’ammontare delle tasse, comunque la verde ora la paghiamo all’incirca un 15% in meno rispetto ad alcuni mesi fa.
Il comparto del trasporto aereo, poi, dovrebbe essere uno dei maggiori “beneficiari” di questi continui deprezzamenti del costo dei carburanti, ed ad avvantaggiarsi dovrebbero anche essere le aziende manifatturiere, soprattutto quelle più energivore.
Tendiamo a ritenere che, al contrario, siano i bilanci delle compagnie petrolifere a subire i danni maggiori dal calo del prezzo dell’oro nero, e, naturalmente, questo è vero, ma non si sottolineano mai abbastanza gli effetti negativi su altri comparti.
In particolare quello delle energie alternative.
E’ del tutto evidente, infatti, che se le fonti alternative si devono confrontare con un petrolio che costa 100/120 dollari al barile è un conto, se invece devono fare concorrenza ad un greggio che viene scambiato a 60 dollari per barile … beh … è tutta un’altra storia.
Ed allora tutti coloro che operano in quella immensa galassia alla quale diamo i nomi più disparati, eolico, geotermico, solare, fotovoltaico, agroenergie ecc. ecc. si troveranno in maggiore difficoltà.
Tutte queste aziende che lavorano nel campo delle fonti alternative, poi, sono perlopiù ancora in una fase economico/finanziaria di estrema fragilità, sappiamo tutti che senza i fortissimi aiuti che arrivano dai governi, dal sistema creditizio e, soprattutto, da tutti noi comuni cittadini che paghiamo mensilmente bollette più salate proprio per sostenere il comparto, non riuscirebbero certamente a sopravvivere sul mercato.
Ed allora un petrolio a basso prezzo non impatta negativamente solo sull’economia dei Paesi produttori ed esportatori, ma anche sugli Stati che hanno puntato massicciamente sulle fonti alternative, e non necessariamente quelle rinnovabili!!!
A tal proposito pochissimi hanno sottolineato le implicazioni che questo problema rischia di avere negli Stati Uniti. Si è fatto un gran parlare dell’ormai celebre shale oil, ma non si è sottolineato abbastanza che in Usa le aziende che si sono buttate su questo “business” sono migliaia e praticamente tutte sono state sorrette dalle Banche che, con il denaro facile di Obama, hanno fatto come prima, anzi MOLTO PIU’ di prima “credito facile”.
Le Banche statunitensi, quindi, potrebbero essere costrette a pagare, a caro prezzo, questa scommessa fatta sullo shale oil, e già nei prossimi mesi avremo i primi responsi.
Concludo con una precisazione perché non vorrei essere frainteso, voi tutti sapete come io sia assolutamente favorevole all’energia prodotta da centrali nucleari di ultima generazione, a mio parere assolutamente sicure ed “ecologiche”, detto questo eventuali sviluppi positivi nel campo delle energie rinnovabili li accoglierei con immenso piacere.
Basta che non mi si venga a dire che il problema energetico planetario si risolve piantando delle orripilanti e insensate pale eoliche che deturpano paesaggi da sogno o facendo diventare i nostri campi delle immense “specchiere”.
Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro