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Petrone da Vallo, una storia cinquecentesca di ribellione contro le tasse

Creato il 30 maggio 2012 da Berenice @beneagnese
 Petrone da Vallo Vallo di Nera brigante Picozzo Brancaleone   Il fumo spargeva un odore acre avvolgendo le case e le persone e si stendeva pietoso a nascondere i corpi di Petrone e del suo figlioletto, arsi vivi in un abituro.   Era il 1523. Scrive Severo Minervio che Spoleto ne ordinò la morte per porre fine al movimento di rivolta che i comuni della Valnerina avevano portato avanti per ben due anni, ribellandosi alla città per le imposizioni di tasse e per le continue richieste di arruolamento militare.   Capi della rivolta erano stati Petrone da Vallo e Picozzo Brancaleone.   I due, dopo aver costituito una banda di audaci e ribelli, si erano posti intorno ai castelli di Rocchetta, di Ponte, di San Felice e Vallo per sottometterli a operare con loro. Avevano già dalla loro parte Paterno, Cerreto e Sellano, mentre era fallita l’impresa contro Scheggino difeso dalle donne.   “Vallo assaltato con maggior impeto, fu preso, fatto pieno di rovine e di sangue e spogliato di ogni cosa”- si legge negli annali.   Lo spagnolo Alfonso da Cardona, giovane neo governatore di Spoleto, temendo di perdere il controllo di quei preziosi territori che controllavano la valle del Nera e una vasta rete di comunicazione, cavalcò alla volta di Vallo accompagnato da pochi familiari e da alcuni cittadini.   Petrone organizzò i suoi uomini armandoli di spiedi, panciotti e schioppetti, pronti a difendersi e a difendere i loro ideali.   Presso il ponte di Piedipaterno sul fiume Nera, il governatore e il ribelle si incontrarono.   Alfonso dette un colpo di giannetta a Petrone facendolo cadere da cavallo.   Ne seguì una mischia feroce che portò alla morte Alfonso, trucidato da squarcianti ferite.   La notizia portò a Spoleto un grave lutto e subito furono inviati in Valnerina più di mille fanti che obbedivano agli Orsini e ai Varano di Camerino. Tanti, troppi soldati per contrastare l’ardimentoso e limitato esercito di Petrone, composto da spericolati e canaglie –come scrisse la storia ufficiale- sovversivi e temerari.   I capi dei tumulti furono presi e per Petrone fu emessa la condanna a morte.   Il corpo del ribelle fu mutilato ed esposto a monito dei traditori di Spoleto, mentre le fiamme bruciavano lasua torre, che ancora oggi si intravede fra le case di Vallo di Nera, con accesso lungo la via di Mezzo.   E il fuoco cancellò il tentativo di uscire dalle antiche e pesanti convenzioni stipulate con Spoleto.   Agli abitanti di Vallo non restò che rinnovare la sudditanza e la fedeltà, sancendo l’impegno con un grande affresco dedicato alla Madonna nella chiesa di san Giovanni Battista. La comunità chiamò e pagò il pittore Giacomo Santoro da Giuliana, conosciuto come Jacopo Siculo seguace del grande Raffaello che datò l’opera 1536.   Anche la monofora dell’abside fu tamponata per aumentare lo spazio da decorare e per accogliere il bellissimo dipinto dedicato alle storie della Vergine su modello dell’opera di Filippo Lippi presente nel Duomo di Spoleto.   

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