Quando parliamo di “filosofia” la nostra mente corre con sospetto a ricordi che risalgono ai tempi del Liceo o dell’Università, magari anche a qualche professore severo. L’idea poi di accostarla all’infanzia sembra difficile da realizzare poiché consideriamo la Filosofia come qualcosa di complicato, quindi fuori dalla portata dei bambini. Tuttavia se pensiamo all’origine etimologica del termine (dove “filosofia” significa “amore per il sapere”) e ci ricordiamo di Aristotele, per il quale il bisogno di filosofare nascerebbe dallo stupore sperimentato dall’uomo quando comincia a riflettere sulla sua esistenza e sul suo rapporto con il mondo, forse l’accostamento filosofia – bambini non ci sembrerà più così paradossale.
Sulla base di queste riflessioni sorge, negli anni Settanta, in New Jersey, la Philosophy for children (P4C), un movimento educativo, creato per la fascia di età 5-16 anni, che propone l’insegnamento delle “abilità del pensare” attraverso l’implementazione di un curriculum didattico teso a favorire il pensiero complesso, ovvero critico e creativo. Esso utilizza il filosofare come mezzo per trasformare una classe scolastica in una comunità di ricerca che adotti un approccio dialettico, dialogico e argomentativo ai problemi. Come sostiene la Pulvirenti ‹un bambino filosofo è un bambino cui è permesso di giocare a pensare per imparare a fare un uso critico del pensiero›. Matthew Lipman, teorizzatore della Philosophy for children, ritiene che il concetto chiave di questo metodo didattico sia quello della comunità di ricerca, ovvero un modello di comunicazione educativa che permette al soggetto di decentrarsi e di andare incontro alle differenze pur mantenendo la consapevolezza della propria identità. Tale programma si traduce, quindi, nell’applicazione della ricerca all’educazione poiché agli alunni non si chiede di memorizzare i pensieri altrui, ma di esplorare ogni area disciplinare e di riflettere autonomamente. Viene, inoltre, praticato quello che Mortari chiama “esercizio del giudizio”, che consiste nel rinunciare alla presunta oggettività della conoscenza e accettare i punti di vista degli altri. In più, all’interno di una comunità di ricerca l’individuo scopre il valore della presenza in un gruppo, per dirla con Mead, si esprime la propria idea, si valuta la reazione degli altri e, così facendo, si mitiga il rischio che l’errore si trasformi in competizione o frustrazione. Infine, tale modello riprende l’idea di Dewey, secondo il quale partecipare ad una comunità di ricerca significa intraprendere un processo di ragionamento condiviso che rende possibile un approccio attivo, antidogmatico e democratico al sapere, condizione necessaria per un’autentica educazione alla politica e alla cittadinanza.
L’esperienza di P4C si svolge lavorando rigorosamente in cerchio: solitamente in piedi nella prima parte, caratterizzata da giochi di ascolto e relazione, utili al fine di creare un clima emotivamente coinvolgente e frizzante; seduti nella fase della lettura, dell’ascolto e del dibattito. Viene così letto uno dei racconti scritti da Lipman (in totale tredici, specifici per l’età di riferimento degli studenti) che contengono tematiche filosofiche quali la verità, la giustizia, l’amicizia, la bellezza, ecc. Compito del docente- facilitatore è quello di stimolare, gestire e orientare in senso produttivo il dialogo filosofico che sorge al termine della lettura del racconto nella classe- comunità di ricerca.
La valutazione delle esperienze di P4C avvenute in Italia come all’estero, ha messo in evidenza le importanti conseguenze dell’uso di tale prassi nel contesto scolastico: aumento di autostima, maturazione della coscienza di far parte di un gruppo, crescita nelle relazioni interpersonali, sviluppo di un pensiero critico e flessibile. Tale approccio, quindi, mette in pratica la promozione del concetto vygotskijano di “area di sviluppo prossimale” (cioè la distanza tra il livello di sviluppo attuale e il livello di sviluppo potenziale).
Il successo della Philosophy for children si è manifestato negli ultimi anni con la diffusione di tale metodo in tutto il mondo tramite percorsi sperimentali e la nascita di varie interpretazioni non strettamente scolastiche, legate, per esempio, agli ambiti della consulenza filosofica, del coaching aziendale e della formazione degli adulti.
Valeria Zinna
Bibliografia
- Lipman M., Educare al pensiero, Vita e pensiero, Milano, 2005.
- Pulvirenti F., Pratiche narrative per la formazione, I Quaderni di Magma- Aracne, Roma, 2008.
- Pulvirenti F., Responsabilità e formazione. Epistemologie personali in reti di incontro: Bateson, Lipman, Novak, Edizioni ETS, Pisa, 2004.