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Piano città: cemento su fondamenta di argilla

Creato il 18 luglio 2012 da Albertocapece

Piano città: cemento su fondamenta di argillaAnna Lombroso per il Simplicissimus

“Piano Città” si chiama il programma governativo di “sostegno alla realizzazione di interventi di riqualificazione di aree urbane degradate”. Nella lingua “fuffese” prediletta dai versatili professori l’intento è quello di promuovere “ laboratori economici e sociali per innescare azioni condivise e visibili per la crescita, che adottino nuovi strumenti e nuove procedure, quali la Cabina di regia ed il Contratto di valorizzazione urbana, per stimolare la progettualità competitiva delle Città”.
Non so a voi ma a me quando questo governo parla di competitività vengono in mente immagini cruente: sanguinosi combattimenti di cani, incontri tra pugili suonati promossi da manager inesorabili e senza scrupoli, insomma un remake di non si uccidono così anche i cavalli? in salsa neoliberista.

E sarà una gara tra poveri, di quelle dove non vince nessuno, la tenzone tra comuni stimolati nella loro “progettualità” dal miraggio di spartirsi un ghiotto budget di 224 milioni di euro (10 milioni per il 2012, 24 milioni per il 2013, 40 milioni il 2014 e 50 milioni per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017) già stanziato dal magnanimo Governo per riqualificare le aree degradate, quelle cioè che non ispirano gli appetiti voraci di opulenti acquirenti di tesori pubblici a prezzo di saldo.

I soldi sono pochi ma il canovaccio è sempre lo stesso: si potrà contare su generosi contributi privati, di prodighi contractor, magari quelli che sono accorsi a concorrere alla Tav o al Ponte, convertiti a progetti “sociali”, grazie all’attrattiva esercitata da quel creativo Contratto di valorizzazione urbana che indicherà le eventuali “premialità”, sottoposto al giudizio della prestigiosa Cabina di regia. Sarà lei a selezionare le proposte sulla base dei criteri di immediata cantierabilità degli interventi; del coinvolgimento di soggetti e finanziamenti pubblici e privati e di attivazione di un effetto moltiplicatore del finanziamento pubblico nei confronti degli investimenti privati; oltre che, ça va sans dire, della “riduzione di fenomeni di tensione abitativa, di marginalizzazione e degrado sociale”. Avrà un bel da fare la Cabina, intanto per convocarsi visto che ne fanno parte 2 rappresentanti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di cui uno con funzioni di presidente; 2 rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle province autonome; 1 rappresentante del Ministero dell’economia e delle finanze, 1 del Ministero dello sviluppo economico, 1 del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, 1 del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, 1 del Ministero per i beni e le attività culturali, 1 del Ministero dell’interno, 1 dei Dipartimenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per lo sviluppo e la coesione economica, per la cooperazione internazionale e l’integrazione e per la coesione territoriale, 1 dell’Agenzia del demanio, 1 della Cassa depositi e prestiti, 1 dell’Associazione nazionale comuni italiani; 1 rappresentante del Fondo Investimenti per l’Abitare (FIA) di CDP Investimenti SGR e 1 rappresentante dei Fondi di investimento istituiti dalla società di gestione del risparmio del Ministero dell’economia e delle finanze (in veste di osservatori).
Ma d’altra parte non sarà troppo occupata a vagliare le proposte di piccoli enti locali per i quali è impossibile rispettare criteri e requisiti a cominciare dalla decodificazione delle linee guida e dalla loro traduzione da quella lingua da convention acchiappa-citrulli. E infatti i comuni che con solerzia hanno già risposto all’appello sarebbero per ora Milano, Genova, Bari, Verona.

È che c’è una gran fame, è vero, ma perfino l’Ance e l’Inu sembrano perplessi e accolgono il piano “con interesse” ma senza gran convinzione. Minuzioso nell’indicare i componenti della cabina di regia, il provvedimento è infatti un po’ meno scrupoloso nel definire quelle che dovrebbero essere le aree cruciali nelle quali impegnare idee, progettualità e investimenti. Quella dell’edilizia scolastica per esempio, per svecchiare un patrimonio obsoleto, visto che secondo i dati forniti dal ministero dell’Istruzione il 76% dei 64 milioni di metri quadri delle scuole italiane sono stati costruiti prima del 1980 e non rispettano i necessari criteri di sicurezza e efficienza energetica. O quella dell’edilizia abitativa, per attivare un’offerta di abitazioni, prevalentemente in locazione, a favore di coloro che non sono in grado di accedere al libero mercato e dare un po’ di ossigeno a un settore in profonda sofferenza.
Per carità non voglio dire che il Piano Città presenti – nel segno della continuità – inquietanti affinità con il piano casa del governo Berlusconi, simpatica acrobazia confezionata per legalizzare equilibrismi volumetrici, licenze funamboliche per abusi, superfetazioni e altre ignominie costruttive.
Sarà una pensata serissima, sorvegliata dall’occhiuta Cabina, attirerà investitori come le mosche sul miele, avrà di sicuro un “effetto volano” e perché no si accrediterà come un “catalizzatore!, ma per ora sembra più – lo dice perfino l’Inu – “una miscellanea di oggetti che possono fruire di (pochi) finanziamenti pubblici”, e condizionata da quella urgenza di un governo “prescioloso” soprattutto negli slogan, negli annunci, nell’ostensione e nell’apparenza.

Si a questo governo proprio il termine “investimento”, anche se non riguarda un malaugurato incidente a carico di un’auto blu, fa venire l’orticaria: sono allergici a una produttività che estenda i profitti ad altri da loro e dai loro affini, sono disinteressati a beni e benessere che non sia la manutenzione straordinaria dei loro utili e dei loro privilegi. La loro urgenza è quella di portare a casa quello che hanno promesso di realizzare per fare cassa e accontentare i padroni, svendite, liberalizzazioni estemporanee, opere esorbitanti perfino dalla progettualità europea. E non certo quella di mettere a punto un ‘edificio’ di principi, obbiettivi e regole fondamentali per la pianificazione ed il governo del territorio (che attende la indispensabile legge nazionale dal 2001), o di un pacchetto integrato di azioni efficaci per la riqualificazione urbana, il miglioramento infrastrutturale, l’efficientamento energetico, la realizzazione di scuole o parcheggi, il social housing, tutti quegli interventi che dovrebbero vedere lo Stato protagonista e manager di un new deal, di occupazione e sviluppo sostenibile.

Un piano mal progettato conferma una cifra sconcertante della compagine governativa, quella della assoluta incapacità “tecnica”: non sanno costruire bene neppure le macchine volte al male della loro “crescita” impari e disuguale, quella intenta a quella interpretazione marginale dell’aumento del Pil come incremento del valore della rendita immobiliare, quella che qualcuno ha chiamato l’“abominevole crosta di cemento e asfalto”, quando non contribuisce alla soluzione dei problemi urbani, ma al contrario li consolidano e perpetuano, facendo della città il luogo per eccellenza di quella «distruzione creatrice» su cui si fonda l’accumulazione, il simbolo di una lunga storia di «espropriazione» e di pratiche predatorie del territorio, il teatro terribile delle disuguaglianze e dell’inciviltà.


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