Piazze e piazzate mediatiche

Creato il 03 gennaio 2012 da Zamax

Il 2011 è stato l’anno delle piazze mediatiche, da quelle della primavera araba a quelle russe a quelle okkupate dai nostri ancor benestanti indignados occidentali. Le prime hanno accompagnato rivoluzioni, le seconde forse non combineranno sfracelli, le terze si sono ridotte a lagnose piazzate mediatiche. Questi esiti diversi c’insegnano che dietro il fasto della tecnologia, che a prima vista sembra dettare nuove e vincenti regole di comportamento politico alle masse, e nuove regole alla sua interpretazione, la catena degli eventi storici conferma una sua stagionatissima fenomenologia. Il progresso tecnologico, infatti, ha celebrato il suo trionfo proprio nei paesi più arretrati e meno “democratici”, ossia là dove era meno presente una forte e variegata opinione pubblica. Di questi ultimi, però, a cadere sono stati i regimi con un certo grado di apertura, mentre quelli chiusi a doppia mandata rimangono ancora in sella. Il segreto di tutti i rivoluzionari è sempre stato quello di far coincidere piazza ed opinione pubblica, questo nuovo soggetto politico di massa della modernità creato dai mezzi d’informazione che ha fatto uscire l’agorà dal perimetro angusto della polis aristocratica o della corte. Il miglior momento per usare con successo questa massa d’urto è quello della sua prima infanzia, quando essa però ha cominciato a camminare con le proprie gambe e ad autoalimentarsi, quando è ancora nelle mani di un solo partito, ed è ancora concentrata nella capitale e nelle città. Alla vigilia della Rivoluzione Francese, nonostante i Lumi e la pubblicistica, i viaggiatori inglesi notavano come la distanza fra Parigi e la «provincia» fosse immensa, in termini di comunicazioni materiali ed immateriali, rispetto al paese dal quale provenivano. Il carattere «totalitario» del successo della Rivoluzione Francese, così come di quella russa degli inizi del novecento, si fondò sulle arretratezze del paese, non sulla capillare diffusione del verbo. In certi casi, in certi paesi dove il potere è fortemente centralizzato, è una sola piazza quella che conta.

La democrazia viene così a vincere in un paese dove lo spirito democratico è assente o gracile, perché non vi è ancora ad innervarlo la forte e variegata opinione pubblica sopramenzionata, tanto forte e tanto variegata da essere inservibile come falange. Lo stesso nascente spirito democratico collassa nel momento della sua presunta vittoria e le forme democratiche finiscono per sublimare un assolutismo od uno zarismo più pervasivo e lineare di quello che si è abbattuto. E’ per questo che l’entusiasmo per la primavera araba era frivolo e ingiustificato. Tanto quanto i sospiri, le perplessità e le delusioni di oggi. E’ per questo che risultano insopportabili sia coloro che sottovalutano il significato delle vittorie elettorali di partiti più o meno islamisti, sia coloro che le assimilano a vittorie fondamentaliste. I peggiori sono però quelli che, non avendo capito un bel nulla, hanno riversato tutto il loro deluso e salottiero afflato democratico sulla causa russa. Indifferenti alla storia di un paese dove la servitù della gleba è stata abolita solo a metà dell’ottocento; che è stato sotto lo scettro dello Zar fino alla prima guerra mondiale; che è collassato in un disumano dispotismo comunista fino a due decenni fa; che dopo un periodo di speranze e torbidi si è rimesso in marcia sotto la guida di un potere semi-autoritario e paternalista; che, bene o male, per quanto fragile e fortemente disomogeneo, ha raggiunto un livello di prosperità mai visto in passato; che, bene o male, vede lo svolgersi di una regolare vita parlamentare e di regolari elezioni politiche, talmente irregolari che alle ultime della serie il partito del «dittatore» è andato sotto il cinquanta per cento dei suffragi; indifferenti dunque a tutto ciò, questi signorini vorrebbero abbattere tutto e fare piazza pulita: bellamente ignorando che, sotto la pressione della piazza – ossia della demagogia – l’alternativa di massa – ossia «democratica» – a Putin o a Medvedev non saranno i club liberali di San Pietroburgo o Mosca, ma i neocomunisti o i nazionalisti, o i nazional-comunisti, premiati alla grande, guarda caso, dalle ultime «irregolari» elezioni, pronti ad egemonizzare il fronte popolare della «Russia Onesta».

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