Piccoli Crimini Coniugali: Coppie Corpo a Corpo

Creato il 30 gennaio 2014 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Alessandro Puglisi 30 gennaio 2014 primo piano, teatro, vedere Nessun commento

Éric-Emmanuel Schmitt è un nome che garantisce asciuttezza, introspezione, scavo. Tanto maggior merito, dunque, a chi riesce a portarlo in scena con consapevolezza, gusto, sobrietà. È il caso di Piccoli crimini coniugali, testo che il drammaturgo belga licenzia nel 2003, e che ha trovato un’ottima resa nella versione diretta da Alessandro Maggi, e interpretata da Elena Giusti e Paolo Valerio, che ha debuttato al Teatro Musco di Catania il 28 gennaio. Ogni coppia è una narrazione, un racconto di racconti, un caleidoscopio di attimi e ricordi e parole e gesti. Non fa eccezione la coppia al centro di Piccoli crimini coniugali; Gilles (Paolo Valerio) torna a casa, dopo un brutto incidente domestico, che gli ha fatto perdere la memoria, mentre Lisa (Elena Giusti) cerca di stimolare la “rimembranza”. L’uomo sembra, a tutti gli effetti, una sorta di revenant, straniero nella terra straniera che è diventata la sua casa, il suo rifugio, mentre la moglie appare come un sensuale e novello Virgilio. Purtroppo, o per fortuna, ciò che viene detto, o ricordato, non è sempre ciò che è stato, o che si crede sia stato.

Si gioca tutto in questo snodo, in questa piega, il testo di Schmitt, e non è dir poco; la complessità di un rapporto di coppia si può spingere fino a livelli inauditi, come è stato ampiamente “documentato” da molto cinema e teatro, non sempre con profondità e acutezza, e di rado come in questo contesto. Alessandro Maggi dirige Elena Giusti e Paolo Valerio con attenzione agli accenti, ai giochi di prossemica e cinesica, ri-suddividendo di continuo la scena, in certo modo kafkiana, di Marta Crisolini Malatesta, in partizioni rigorose. Con un po’ di azzardo, si potrebbe pensare a una sorta di Quad beckettiano, parlato, e al rallentatore. Così come per quella nello spazio, coadiuvata dalle luci di Enrico Berardi, anche la scansione del testo spettacolare nel tempo è precisa, punteggiata puntualmente dalle musiche di Germano Mazzocchetti. Ne risultano una serie di “quadri”, sempre più sofferti, sempre più violenti, nei quali la gestione delle informazioni si fa sempre più intricata e frammista a quella delle sensazioni, delle interazioni.

Fra i due attori-attanti-compagni intercorre un dramma di parola, e, per una volta, è possibile intendere questa espressione nel suo significato più pieno: l’azione, compiuta in un passato non lontano e allo stesso tempo rimosso e archiviato, almeno nelle intenzioni, si fa parola in senso pragmatico. Entrambi, marito e moglie, volevano e vogliono qualcosa di diverso, ed entrambi hanno fatto in modo da ottenerlo; entrambi, però, sono anche condannati a rifare i medesimi errori, giurarsi di nuovo interdipendenza, uccidersi e ritornare, insieme. La sconcertante complessità di Piccoli crimini coniugali è emanazione, e in ciò sta molta parte della bellezza profonda e contagiosa che l’opera trasmette, della grande semplicità del fraseggio, della estrema scarificazione della vicenda; del meta-discorso generato in questo “girotondo” (anche se senza accoppiamenti, come accade invece in un mirabile testo di Schnitzler) portato avanti con pulizia ed eleganza. Da ultimo, Piccoli crimini coniugali è tutto un grande gioco, una partita piccola, intima, e monumentale, di tattica e strategia raffinatissime, come nel noto componimento di Mario Benedetti. Solo che, in questo gioco specifico, non c’è finale. E senza un “finale di partita”, né possibile né attuato né ipotizzato, il gioco dialettico e fisico, feroce, ma dilettevole, può solo andare avanti all’in(de)finito.


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